La sacralità dell’avvoltoio

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Tutti conoscono la storia della fondazione di Roma. Quando Romolo e Remo dovettero scegliere chi dei due sarebbe dovuto essere il Re fondatore della nuova città interrogarono gli Dèi. Questi mandarono sei avvoltoi a Remo, e successivamente dodici a Romolo, permettendogli così di ottenere il diritto a regnare. Il dettaglio degli avvoltoi ci viene riportato da numerose fonti.[1]
Ma ci sono gli avvoltoi in Italia?

Gli avvoltoi che vivono in Italia sono degli Accipitridi inseriti nell’ordine recentemente creato[2] degli Accipitridiformi, che vanno distinti dagli avvoltoi del nuovo mondo chiamati generalmente “condor” (famiglia dei Cathartidi) che non hanno alcun legame genetico con il Vecchio Mondo ma sono frutto di una mera convergenza evolutiva.
Gli avvoltoi sono uccelli rapaci di grandi dimensioni, si caratterizzano per avere tendenzialmente il capo privo di piume, artigli rotondeggianti adatti a camminare, ali di grandi dimensioni (fino a tre metri!). Si tratta di uccelli saprofagi (c.d. “spazzini”) che si alimentano principalmente di carcasse di animali morti, posseggono una vista acutissima che gli permette di identificare le più lontane occasioni di cibo.

Gli avvoltoi del gruppo eurasiatico sono dunque l’avvoltoio testarossa (Sarcogyps calvus), l’avvoltoio monaco (Aegypius monachus), il grifone eurasiatico (Gyps fulvus), il capovaccaio (Neophron percnopterus) e il gipeto (Gypaetus barbatus).
In Italia gli avvoltoi attualmente presenti sono quattro: il Gipeto, il Grifone, il Monaco ed il Capovaccaio.
Tuttavia va precisato che l’unico avvoltoio ad essere sopravvissuto senza reintroduzione è il Capovaccaio. Il Gipeto ed il Grifone erano estinti rispettivamente dal 1912 e dal 1960, e sono stati reintrodotti con una serie di programmi a partire dal 2013. L’a. monaco sembrava estinto, l’ultima nidificazione fu segnalata nel 1961 in Sardegna fino al 2010 quando, a seguito dei miglioramenti ambientali, venne nuovamente avvistato. Per quattro anni consecutivi l’avvoltoio monaco si presentò nella zona del Lago di Cornino (una riserva naturale in provincia di Udine) a scopo nidificatorio, un segnale positivo di ritorno dell’avvoltoio più grande del mondo (alti 110cm e fino a tre metri di apertura alare!) sul suolo Patrio.
La causa principale dell’estinzione è la mancanza di grandi carcasse animali, infatti l’allevamento riduce la disponibilità di carcasse (che vengono macellate), e la riduzione degli areali riduce la disponibilità di fauna selvatica, quindi di predatori, quindi di carcasse e di conseguenza anche di saprofagi, tra cui gli avvoltoi.

Abbiamo visto nell’articolo su Volturno (qui) l’ipotesi di collegamento con l’avvoltoio, anche per le ambivalenze che questo dio presenta. Anche l’avvoltoio presenta numerose ambivalenze che si tramutano in altrettanti simboli. Sebbene la percezione odierna di questo rapace sia complessivamente negativa, in epoca romana l’avvoltoio (lat. vultur) incarnava diversi simboli positivi legati tanto alla Fondazione di Roma quanto al suo ruolo nel mondo naturale.
Pur essendo goffo a terra chiunque lo veda in cielo non può non ammirare l’ineluttabile maestosità del suo volo. È un animale saprofago e questo sebbene ci risulti orrido è fondamentale per la sopravvivenza delle specie viventi in quanto evita il diffondersi di malattie. Alcuni avvoltoi (come il capovaccaio o il gipeto) assomigliano per forma ad un’aquila, questo ha portato alcuni a ritenere che i vultures della Fondazione fossero in realtà delle aquile. È vero che era l’uccello sacro agli Sciti, ripreso poi dai Goti quando ne occuparono il territorio che ne fecero il loro emblema nazionale; venne poi trasmesso ai Gallo-Romani che lo intesero come una vera e propria aquila, attribuendogli tutti i simboli dell’aquila cristiana;[3] perciò un po’ di confusione l’abbiamo. L’argomento sostenuto da alcuni che il problema sarebbe meramente tassonomico non è sostenibile. Se infatti la tassonomia latina avesse inteso col termine vultur tutti gli “avvoltoi-formi” mentre con aquila tutti gli “aquili-formi” (compresi dunque il gipeto ed il capovaccaio), premessa che non mi sento di rifiutare a priori, si andrebbe ancor più a confermare che quelli di Romolo e Remo fossero dei veri e propri avvoltoi; e non, come vogliono loro, a causa della nostra diversa tassonomia che spingerebbe a ritenere che intendessero delle aquile. Perciò questo argomento va ancor più a sostegno dell’ovvia ipotesi che quando i latini scrivono vultur intendono proprio l’avvoltoio (che per altro è la sua traduzione).

Il termine italiano “avvoltoio” deriva dal latino vultur, is. L’etimologia di questa parola è ancora discussa, e non si è trovata una risposta definitiva. Superata è l’ipotesi che il termine vultur, arcaic. voltur, derivi da volando (da volo, volare).[4] Più di recente si è proposto che vultur derivi dalla radice indoeuropea wel-3 (strappo, taglio) da cui anche i termini latini vulnus (ferita, vulnerabile), vulsum (strappato); a questa radice corrisponde *uel- che ha vari significati che ci interesseranno successivamente che sono: “volgere, girare attorno” (da cui volvo, volgere, girare) e “vedere, percepire accorgersi” (da cui voltus [vultus], volto aspetto)[5]. Tuttavia l’ipotesi dell’origine indoeuropea trova un ostacolo nell’ipotesi etrusca. L’aggettivato volturinus è forse da connettere col lat. vol(u)tus, “volto, voltato, girato”, col significato di “rapace che gira intorno alla preda” prevedendone la morte, tutti termini da confrontare con il prenome o gentilizio etr. Velthur e coi gentilizi Velthura, Velthuriu (lat. Volturius, Voltorius, Vulturis). Il termine etrusco sarebbe anche riscontrabile nel nome Velthur e al dio etrusco Velthurna. Vulturnum, antico nome di Capua[6], è un adattamento dell’etrusco Velthurna[7], che corrisponde al dio romano (importato) Vertumno che aveva una festa a Roma il 13 agosto. Simile analogia la si ritrova in moltissimi toponimi: Volturno (il fiume), Volterena, Volturena, Velithri (Volterra), Volsinii, Vulci, ma anche il dio Velxans (Vulcano). Sottolineiamo invece che i toponimi Volturara Appula (FG), Volturara Irpina (AV), Volturino (FG), e il monte Vulture (PZ) derivano direttamente dal latino vultur.
Questa estesa partecipazione della radice vel- si giustifica col fatto che è una base aggettivale con il significato di “elevato” che è alla base del dio che tutela la Dodecapoli Etrusca, per usare le parole di Varrone il deus Etruriae Princeps, cioè Vel o Veltha o Velthurna.[8]

Come dicevo non vi è una concordanza univoca sull’origine del termine vultur, se sia un’origine etrusca o indoeuropea, ma possiamo dedurre che esista un legame tra Velthurna ed il vultur, anche perché le due radici che abbiamo citato, l’indoeuropea *uel- e l’etrusca vel-, nel mondo latino avrebbero avuto il medesimo suono. Non stiamo affermando che l’avvoltoio fosse l’animale sacro a Velthurna, ci stiamo limitando a sottolineare un legame della radice linguistica, che forse potrebbe essere indizio di un legame tra i due concetti, anche in virtù dell’intimo legame tra Etruria e Roma, e della forte influenza che la prima ha avuto sulla seconda soprattutto nei primi secoli della storia dell’Urbe.
L’avvoltoio si era notato già in antichità per il fatto che ripuliva la terra dai morti «l’avvoltoio è il nemico dei cadaveri; piomba dal cielo quasi volesse assalire un avversario e lo divora, oppure si mette a spiare l’uomo che sta per morire. Segue gli eserciti che entrano in un paese straniero e indovina con molta perspicacia che essi si avviano alla guerra, consapevole anche di questo, che ogni battaglia produce dei cadaveri»[9]
Ciò ha stimolato interpretazioni sia positive che negative.
Le negative sono quelle note anche ai nostri giorni: rapacità, opportunismo, predatorietà. Il termine “avvoltoio” era già presente come insulto con lo stesso significato che gli diamo oggi[10].

Tra le positive ricordiamo la capacità di prevedere il futuro in quanto si credeva che volgesse lo sguardo verso l’esercito vinto[11], era uno dei principali uccelli augurali vista la rarità con cui appariva tanto che comparvero anche ad Ottaviano traendo l’auspicio per il suo primo consolato[12]. A tal proposito l’avvoltoio delimitava i confini delle battaglie recandovisi già sette giorni primi, col doppio significato non solo divinatorio ma anche di uccello di confine[13], come accade spesso per gli animali psicopompi.
Tra gli Iberi aveva funzione psicopompa[14], elemento che troviamo anche nel caso delle “sepolture celesti”. Questa usanza tibetana chiamata Bya Gtor -viva ancora oggi- prevede di consegnare il caro estinto ad un sacerdote preposto (il Tomden), che lo prepara scuoiandolo, per poi porlo in un luogo preposto (il durtro). Qui viene bruciato del ginepro per attirarli ed il sacerdote con le parole shey shey (cibatevi, cibatevi) invita gli avvoltoi a spogliare l’anima del defunto dei suoi resti materiali, cedendo alla natura quanto non è più necessario, e con questo dono ripulisce il karma del defunto. Dopo circa un quarto d’ora gli avvoltoi hanno terminato il loro compito, lasciando solo le ossa. Allora i sacerdoti rompono il cranio e le ossa, raccolgono il cervello, mescolano il tutto con farina d’orzo e la gettano a corvi e falchi. Dopo mezzora solo il ricordo rimane, e la collina sito del durtro, torna alla sua quotidiana serenità.[15]

Un’ antica credenza riteneva che nei primi centoventi giorni dalla nascita dei piccoli non volassero via dal nido, occupandosi solo di nutrirli; e se il cibo era insufficiente, si aprissero una ferita sulla zampa per dar loro da bere il proprio sangue per non farli morire[16]. La valenza positiva per quanto concerne l’avvoltoio non è data solo da questo o dalle varianti del mito fondativo[17] ma anche dal fatto che Erodoto Pontico ci informa che Ercole quando vedeva un avvoltoio all’inizio di una nuova impresa ne era lieto. Ciò perché, come spiega Plutarco[18], l’avvoltoio non danneggia le sementi o il bestiame, si nutre solo di corpi morti, non assale né fa male agli animali, non mangia gli altri uccelli perché sono della sua specie (al contrario degli altri uccelli), inoltre appaiono di rado, tanto che si ritiene che in natura non esistano, dimostrazione del fatto che quando appaiono sono chiaramente inviati dagli Dèi.

L’avvoltoio è anche manifestazione della vendetta divina, ed è questo forse il significato più interessante. L’avvoltoio compare nel mito di Tizio[19], il titano nato da Gea (o da Elara) di dimensioni gigantesche. Un giorno tentò di sedurre Latona e farle violenza, ma Zeus intervenne cacciandolo nel Tartaro, dove sarebbe rimasto eternamente incatenato mentre due avvoltoi gli avrebbero mangiato il fegato che ad ogni novilunio si sarebbe rigenerato. Questo mito ha un evidente parallelo con quello di Prometeo che, incatenato sulle montagne per aver rubato il fuoco agli Déi, gli veniva mangiato il fegato da un’aquila, che poi ricresceva. Va detto anche che in una variante del mito di Prometeo, anche in quel caso non si trattava di un’aquila bensì di un avvoltoio[20]!
In questa stessa variante del mito riportata da Petronio ci viene precisato che l’avvoltoio di Giove puniscee Prometeo mangiandogli il fegato per punire la sua invidia e lo sfarzo.
Quindi è  Giove che manda l’avvoltoio a manifestare la propria vendetta, cosa che ci farebbe propendere per considerare l’avvoltoio un animale sacro ad un aspetto di Giove. Ma quale aspetto di Giove? Non certo l’Ottimo Massimo il cui simbolo è indubbiamente l’aquila. Secondo G. Ferri[21] è possibile identificare il Giove etrusco con Vertumno (Velthurna) sia per la radice vel- (elevato), sia per il fatto che fosse considerato deus Etruriae princeps, sia perché era venerato nel centro della Dodecapoli etrusca, e perciò ipotizza l’esistenza di un Tinia Velthumna. Posizione sostenuta anche da P. Tamburini «Voltumna è epiteto di Tinia, il padre degli Déi etruschi che, però, nel territorio volsiniese, era immaginato e venerato nella sua particolare valenza di massima divinità degli inferi».[22]
Possiamo quindi ipotizzare che se l’aquila è del Giove supero, l’avvoltoio è del Giove infero, il che può forse spiegare -quantomeno a logica- la presenza dell’aquila nel mito più tradizionale di Prometeo, mentre nel molto simile mito di Tizio troviamo l’avvoltoio. Prometeo, incatenato su una montagna (quindi vicino al cielo), viene castigato da un’aquila, l’animale del Giove celeste; mentre Tizio che è sepolto nel tartaro deve subire gli avvoltoi, gli animali del Giove infero. Un altro indizio sull’equiparazione tra l’aquila e l’avvoltoio con funzioni diverse è quella secondo cui la bile dell’avvoltoio col porro ha gli stessi effetti curativi della bile d’aquila[23], se i due uccelli non fossero simili in qualche loro aspetto magico-religioso l’equivalenza di carattere magico-terapeutico non sarebbe presente. La componente della vendetta divina è quindi assodata e la troviamo anche in moltissimi casi fuori dal mito: «Le sporche macchie di malvagità sono marchiate sul tuo cuore, i tuoi crimini hanno impressionato il tuo spirito e i tuoi peccati non possono essere nascosti. […] L’avvoltoio lascerà la sua precedente preda e festeggerà per sempre nel tuo cuore.» (Claudiano, In rufinum, 2,2,510)


Uno degli elementi più noti legati all’avvoltoio è certamente quello della Fondazione di Roma (figura[24]).
Abbiamo già chiarito il fatto che si trattassero di avvoltoi, sei per Remo e dodici per Romolo. Poiché è Giove che normalmente viene invocato negli auspici possiamo dedurre che fosse stato proprio Giove ad inviare gli avvoltoi ai due fratelli. Ricordiamo inoltre quanto abbiamo poco prima detto: il Giove latino corrisponde al Tinia etrusco, ed essendo che Roma venne fondata con rito etrusco non mi sento di escludere un’influenza culturale al momento della costruzione del mito fondativo.
Anche sul numero degli avvoltoi possiamo dire qualcosa. Sei avvoltoi a Remo e dodici a Romolo. Sul numero sei non mi sento di poter fare delle considerazioni senza decontestualizzare andando a pescare dalla cultura greca che, all’origine della storia romana, non aveva ancora prodotto quegli studi tipici del pitagorismo e di altre filosofie successive. Invece sul numero dodici vediamo che ritorna con una certa frequenza: oltre ai dodici mesi comuni a molte culture, abbiamo l’ancile con le undici copie fatte da Mamurio Veturio, i dodici littori forse originari della dodecapoli etrusca, indice di una forte valenza religiosa forse connessa all’aspetto temporale (per via delle dodici costellazioni che si susseguono nell’anno solare). Questa valenza temporale del dodici è stata applicata agli avvoltoi per indicare la durata stessa di Roma. Durante la Guerra Gotica si manifestarono diversi segni da cui la gente rimase impietrita nonostante fossero stati interpretati come segni positivi, perciò «la paura, sempre povera interprete, legge il disastro nel presagio. “Mani mozzate” fu detto “e la lupa nutrice minacciò la distruzione di Roma e del suo impero”. Poi fecero il conto degli anni e, interrompendo il volo del dodicesimo avvoltoio, cercarono di accorciare i secoli di esistenza di Roma affrettandone la fine».[25] La Guerra Gotica a cui si riferisce è quella del 402-403dc tra Alarico e Stilicone, facendo i conti si evince facilmente che dal 753ac erano passati 1155anni perciò undici secoli erano passati (non dodici), e ritenere in quell’occasione la caduta di Roma avrebbe significato “non far volare il dodicesimo avvoltoio” che rappresentava il dodicesimo secolo prima della caduta. Oggi sappiamo che nel dodicesimo avvoltoio, cioè nel dodicesimo secolo dalla Fondazione entro la sua prima metà Roma vide due catastrofici eventi, il saccheggio del 455 e la caduta formale del 476 che posero definitivamente fine all’Evo antico. È da notare che la prima fonte che gli dà un valore temporale è Varrone, citato da Censorino[26], dicendo che i dodici avvoltoi stavano a significare 120 anni di pace, e che il popolo romano ne avrebbe vissuti 1200, ma non sappiamo se prima di questo periodo gli si attribuisse questo significato, o se sia il frutto di una ricostruzione erudita. Va detto che esempi di previsioni della scomparsa di un popolo in ambito italico li conosciamo, e non si può che non pensare alla profezia della ninfa Vegoia che aveva predetto la fine della civiltà etrusca nel suo ottavo secolo di vita[27], quindi non è da escludere che la previsione della propria scomparsa appartenesse alla Tradizione Romana ben prima di Varrone, in pieno contrasto con il mito dell’età imperiale di un impero universale.

Gli avvoltoi che sembrerebbe fossero presenti nell’evo antico in Italia, in base ai ritrovamenti archeologici, erano l’Aegypius monachus e il Gyps fulvus,[28] purtroppo non sempre distinguibili per via delle poche differenze morfologiche tra i reperti ritrovati appartenenti certamente ad una delle due specie. L’antica distribuzione non è comunque nota in termini quantitativi, tuttavia è possibile rivederne alcune tracce, come quelle rinvenute in Sardegna[29] o come il ritrovamento di Blanc di ossa di avvoltoio nell’area del Comitium di Roma, indice di una funzione rituale di questi uccelli[30]. Questi resti vennero più precisamente ritrovati all’interno del Lapis niger, un heroon datato al VIsec. ac (l’età dei Tarquini, re etruschi di Roma), cioè una sepoltura fittizia finalizzata al culto eroico del defunto che in questo caso era Romolo[31]. All’interno della sepoltura vennero rinvenute[32] tre ossa di un’ala destra di avvoltoio insieme ai resti di cane e di capra (riconducibili ai Lupercalia) e più abbondanti resti della suovetaurilia (porco, vitello, montone, nota soprattutto per i riti purifatorii grazie a Catone). Le ossa dell’avvoltoio presentavano chiare tracce dei tagli effettuati per rimuovere i tendini.
L’uso di sacrificare gli avvoltoi non è particolarmente attestato, né prima né dopo, anche per la sua carne coriacea e poco commestibile, perciò non è chiaro il motivo di questo sacrificio. Possiamo però tentare di comprendere almeno il contesto ideologico che sta alla base di questi avvoltoi analizzando -brevemente- gli altri animali presenti.
La suovetaurilia è quella presente in maggioranza, forse per la maggiore frequenza d’uso, e veniva utilizzata nei riti di purificazione (le lustrationes), forse sulla base del principio per cui questi animali girando intorno all’area da sacrificare si riempissero delle negatività presenti per poi venir sacrificati (generalmente a Marte)[33].
Il cane ed il capro vengono utilizzati nel rito dei lupercalia, questo rito è finalizzato alla fertilità, infatti i luperci frustavano il terreno e le donne al fine di aumentare la capacità generatrice. In particolare il cane sembrerebbe esser considerato un animale immondo[34] tanto che gli era interdetto l’accesso al tempio di Ercole e al foro Boario. Per questo motivo il suo sacrificio aveva forse un valore catartico e agisce come agente purificatore[35]. Questa interpretazione però non spiega né perché Plutarco parla dell’uso di strofinarsi il cane per purificarsi, del motivo della crocifissione dei cani al 3 agosto[36], né della presenza di cuccioli di cane sacrificati rinvenuti nell’area sacra di S. Omobono[37], e nemmeno ci aiuta a comprendere la notizia pliniana secondo la quale “è scritto nei memoriali dei pontefici: si fissino in giorni in cui si deve fare l’augurium canarium prima che i grani di frumento [frumenta] escano dalle guaine [vaginae] e prima che entrino nelle guaine”.[38] Anche perché il cane ha la funzione di protezione, come il Lare[39], e anzi i Lari Praestines erano raffigurati con un cane, perciò come si può considerare contemporaneamente immondo e protettivo un animale? Vi erano poi sacrifici di cani alla nascita dei fanciulli a Genita[40] (identificata con Ecate) forse a fini protettivi. Altri riti che riguardano i cani sono alcuni agrari come il sacrificio propiziatorio di un cagnolino da farsi prima della semina[41] o il sacrificio di un cucciolo che veniva celebrato nei pressi di una delle porte della città di Roma, che dall’animale immolato prendeva il nome di Porta Catularia[42].
Ecco che quindi il cane non è da intendersi come un animale immondo, bensì come un animale legato alla protezione dei confini. La sua presenza nei Lupercalia è quella liminare, mentre la capra è connessa a Fauno e alla sfrenata fertilità (compare anche in Veiove al fine di distinguerlo da Giove) oltre ad essere il tipico esempio di sostituto dei sacrifici umani,[43] questi ultimi spesso presente nei sacrifici di fondazione. Il cane sacrificato al 3 agosto serve per porre un limite alla calura estiva, sopprimendo la canicula[44] cioè quella costellazione che i romani ritenevano fosse causa della calura estrema. I Cani nell’area di S. Omobono andrebbero quindi connessi al culto di Mater Matuta ivi presente, la grande dea madre, che in questo caso si potrebbe connettere all’augurium canum prima citato.
Perciò lo scopo dei sacrifici di cani è legato alla protezione di certi limiti fisici o temporali, e non a caso compare spesso nei sacrifici di Fondazione, e «a questo tipo di rito infatti potrebbero ricondursi i resti di cane rinvenuti a Fidenae, come quelli documentati a Roma nei pressi della Porta Mugonia (Carandini-Carafa 2000: 278, nota 225; Ricci et al. 2000) o nelle mura coloniali di Ariminum (Ortalli 1990; 1995) o del bastione settentrionale della porta Marina di Paestum (Robert 1993);;; Altri casi di cani sepolti nelle fondazioni di opere difensive della città si hanno anche in Inghilterra nella città Romano-Britannica di Chester-le-Street, in particolare sotto il pavimento di una delle due torri della porta occidentale, e a Caerwent sotto la torre nordoccidentale delle mura cittadine; entrambi i contesti sono databili al III-IV sec. a.C. (Merrifield 1987).»[45]
Rimandiamo al testo di J. De Grossi Mazzorin più volte riportato in nota per approfondire ulteriormente l’interessante questione del cane.

Rimane quindi fuori dall’elenco l’avvoltoio.
In questo elenco abbiamo visto che la suovetaurilia riguarda l’aspetto purificatorio necessario ai campi, connesso al dio Marte; la capra ha la funzione di garantire la fertilità ed è connessa perciò a Fauno/Luperco e a Veiove; in fine il cane rappresenta la protezione dei confini affidata ai Lari. Ovvero Marte il dio della seconda funzione delle divinità indoeuropee, Fauno/Luperco che in questo caso legato alla fertilità ricoprono il ruolo della terza funzione (ruolo in parte collegabile a Romolo/Quirino), i Lari protettori dei confini delimitano lo spazio in cui vengono esercitate queste leggi.

Cosa manca alla fondazione di una città se non il potere centrale? Manca quel potere centrale, magico religioso, appartenente alla prima funzione che nella Religione Romana viene incarnato da Giove. Se è vero quanto detto prima sul fatto che Vertumno è il Giove infero, e che a Vertumno è connesso l’avvoltoio, ecco che il sacrificio dell’avvoltoio nel luogo centrale e più sacro di Roma si spiega con l’inserimento della fondamentale funzione del governo. Ma perché infero? Perché i riti di fondazione erano già stati compiuti, mentre questo è il luogo di sepoltura del mitico fondatore. Inoltre il templum grazie al quale si può fondare una città prevede l’esistenza di tre templa: uno celeste, uno terreno ed uno infero. Forse si era percepita la necessità di assicurarsi la tutela di quello infero, o forse il fatto che gli avvoltoi fossero tre ne venne sacrificato uno per ogni piano. Si possono solo fare delle ipotesi.

Abbiamo già citato nel precedente articolo su Volturno la notizia secondo cui la bile dell’avvoltoio col porro ha gli stessi effetti curativi della bile d’aquila[46] cosa che metterebbe in paragone l’uccello per antonomasia di Giove con questo, e che nel mito l’avvoltoio compare come variante dell’aquila.
L’avvoltoio secondo la Tradizione è inoltre potente contro i serpenti, le sue piume bruciate li fa fuggire, e chi porta il loro cuore indosso è al sicuro dai loro morsi, dagli animali selvaggi, dai ladri, e dalla collera dei sovrani[47]; ciò significa che l’avvoltoio ha il potere di allontanare i mali (in questo caso il serpente assume evidentemente un valore negativo), il mondo selvatico, garantisce la protezione del confine dai ladri, e placa l’ira del potere centrale. Questi elementi li troviamo perfettamente paragonabili alle offerte prima dette presenti nel lapis niger: la purificazione, il mondo selvatico, la protezione dei confini, ed il potere centrale. Forse ciò accade per il suo legame con Giove che, in quanto dio dei summa, è presente in ogni aspetto della vita quotidiana. Ma sacrificare l’animale sacro a Giove supero (l’aquila) è forse un atto di empietà, ma non quello infero (l’avvoltoio). Questo legame col “potere centrale” (la prima funzione) è presente anche nella notizia secondo cui il teschio dell’avvoltoio indossato possa curare le emicranie[48], così come nella costruzione del tempio di Giove Ottimo Massimo venne trovata una testa (caput da cui Capitolium, Campidoglio), e nel fatto che la pena per il tradimento cioè per la violazione del giuramento fatto davanti a Giove fosse la decapitazione[49].

Ulteriori indicazioni che possiamo estrapolare dalle fonti sono che l’avvoltoio è un animale coraggioso al contrario dell’oripelargo[50].
In fine riporto un passo, sempre di Plinio, che riguarda l’avvoltoio:
«Degli avvoltoi i neri [l’avvoltoio monaco ndr] sono i migliori. Nessuno trova mai i loro nidi: infatti nessuno c’è mai stato, perciò hanno pensato, benché falsamente, che vengano dall’altro mondo. Essi in verità fanno i nidi in altissime rupi. Umbricio, il più eccellente aruspice della nostra età, dice che fanno tredici uova, e che con uno di essi purificano[lustrare] le altre uova e poi lo gettano via; e che due o tre giorni prima gli avvoltoi volano dove ci saranno corpi morti.»[51]

Come si vede ritornano alcuni elementi a cui abbiamo fatto accenno prima: si evidenzia il riferimento al mondo infero, che si collega a quanto abbiamo detto in merito a Vertumno come Giove infero; al numero dodici (le dodici uova più una rotta per purificare le altre) ed alle lustrazioni.

Per completezza riportiamo altri suggerimenti magici di Plinio.
Il sangue d’avvoltoio cura la lebbra (XXX,8). Il polmone dell’avvoltoio bruciato con legno di vite cura chi sputa sangue (XXX, 16). Il fegato dell’avvoltoio pestato col suo sangue, e bevuto per tre settimane, oppure il cuore dell’avvoltoio indossato, curano l’epilessia (XXX, 27).

Da tutte queste cose evinciamo che l’avvoltoio si lega simbolicamente a cacciare i mali della mente, del cuore, dei polmoni e del fegato[52], e forse -per associazione- a questi andrebbe legato anche Vertumno.

In conclusione.
Pur non essendo l’avvoltoio fortemente presente nella Religione Romana si mostra in numerosi punti cardine di essa. Dal culto pubblico a quello privato finisce per presenziare con multiformi significati.
Questa multiformità, e la povertà di fonti, non aiutano a chiarirne il significato e lo scopo. Di certo il contesto augurale, che dovrebbe essere il principale per l’avvoltoio, non ci è chiaro per nulla tranne che per il fatto che è un segno positivo. Anche il resto dei suoi significati possono essere solo indiziari, cercando di capire a quale divinità si leghi, e quale possa essere il suo intimo uso e significato. Questo articolo si presenta quindi solo come una carrellata di ipotesi, anche per il fatto che nessuna delle fonti disponibili può dare una risposta certa, o confermare pienamente gli indizi. Se tuttavia le ipotesi proposte possono considerarsi valide concludiamo che l’avvoltoio è l’animale sacro a Vertumno/Volturno che si presenta come un Giove Infero il cui ruolo è presente fin dalla fondazione di Roma e poi mantenuto con la creazione del sito del lapis niger. L’avvoltoio compare anche incarnando il ruolo della vendetta divina, di scacciare i mali ed il potere di prevedere il futuro. Seppur non esplicitato dalle fonti risulta chiaro dall’evidenza del suo ruolo di saprofago la capacità di purificare l’ambiente, un ruolo fondamentale per la salute della vita, e -forse anche in Roma- di psicopompo. L’avvoltoio incarna anche la purezza ed il sacrificio per le generazioni future. Si presenta quindi come un simbolo molto interessante nonché cardine per la religione romana che meriterebbe maggiori studi.
Voglio quindi sperare che questo contributo possa fornire spunti interessanti per il futuro, ricordando che sarebbe meglio integrarlo con l’articolo che abbiamo pubblicato su Volturno (qui).

Emanuele Viotti

 

NOTE:

[1] Primi fra tutti Livio, I, 7; Servio (Aeneid I,273) e a. La lista completa in A. Carandini, “La leggenda di Roma”, vol. 1, mondadori 2006, in particolare tabella pag. 402

[2] Prima facevano parte dello stesso Ordine dei Falconiformi

[3] A. Cattabiani, “Volario”, Mondadori, 2010, p. 429 e rispettivi riferimenti

[4] Totius Latinitatis Lexicon, J. Facciolati e A. Forcellini, 1839

[5] G. Tokarski, “Dizionario indoeuropeo della lingua latina”, LAS-Roma,2016

[6] Livio, IV, 37

[7] M. Pittau, Dizionario di Lingua Etrusca, Ipazia Books, 2018

[8] Si veda anche G. Capdeville, “L’uccello nella divinazione in Italia centrale”, in “Forme e strutture della religione nell’Italia mediana antica”, III Convegno Internazionale dell’Istituto di Ricerche e Documentazione sugli Antichi Umbri” 2011, L’Erma di Bretschneider, 2016; J. Schnetz (1926-27) avvicina il termine avvoltoio al dio Vel; G. Alessio (1950-51) lo ricolleva all’oronimo etrusco-mediterraneo *uel- “altura” (presente ad esempio in Velia); J. Heurgon (1936) ha proposto che l’avvoltoio fosse l’uccello sacro al dio Vel e dei suoi “derivati” Velthur, Velthurna, ai quali corrispondono a Roma Volturnus, Vortnumnus.

[9] Eliano, Storie, II,46

[10] Seneca, Epistole a Lucilio, 95,43

[11] Cattabiani ibid.

[12] Abbiamo già citato Romolo e Remo (Liv. I,7; Servio (Aeneid I,273) e a.); per Ottaviano invece: Svetonio, vite dei cesari, augusto, 95

[13] Orapollo  Geroglifici, I,11; Plinio, N.H.,X,19

[14] Silio Italiaco, Punica, 3, 340

[15] Riassunto da P. Logan “Witness to a Tibetan Sky-Burial A Field Report for the China Exploration and Research Society” Drigung, Tibet; September 26, 1997

[16] A. Cattabiani, ibid. 432

[17] A. Carandini, op. cit.

[18] Plutarco, Vita di Romolo, IX, 6ss

[19] Virgilio Eneide, VI,595; Orazio lib. III, carmen 4

[20] Petr. Fr. 25

[21] G.Ferri, “Voltumna-Vortumnus”

[22] P. Tamburini,”La scoperta del fanum Voltumnae, il santuario federale della Lega etrusca”, in “Archeologia e Storia a Nepi” a cura di S. Francocci; sullo stesso argomento G. Colonna, “I santuari comunitari e il culto delle divinità catatonie”, in “Annali della Fondazione per il Museo “Claudio Faina””, XIX, 2012, pp 204-206

[23] Plinio, N.H., XXIX, 38

[24] La figura rappresenta l’opus sectile Colonna, tratto da A.Carandini, “La leggenda di Roma”, vol. 1, Mondadori, 2006

[25] Claudianus, Claudius, de Bello Gothico, 260

[26] Varrone visse dal 116ac al 27ac, mentre Censorino nel IIIsec dc; Censorino, 17,15

[27] GROMATICI VETERES, Campbell, 2000, 256.33

[28] U. Albarella, “Crane and Vulture at an Italian Bronze Age Site”, in “International Journal of Osteoarchaeology”, Vol. 7, 1997

[29] Risalenti all’età nuragica B. Wilkens, “ArcheozoologiA: il Mediterraneo, la storia, la Sardegna”, EDeS, 2012, pag.92

[30]G.A. Blanc-A.C. Blanc, Ossa di avvoltoio nella stipe sacrificale del Niger Lapis nell’area del Comitium al Foro Romano, «ArchClass», X, 1958; anche  J. de Grossi Mazzorin, “Ossa di avvoltoio”, in “La Grande Roma dei Tarquini” a cura di M. Cristofani, L’Erma di Bretschneider, Roma, 1990.

[31] Lo ribadiamo onde evitare fraintendimenti: non si tratta della tomba di Romolo, ma di una sepoltura fittizia avente il solo fine del culto!

[32] Raccolte ma ignorate da G. Boni nel 1899; riesaminando i resti ossei animali provenienti dallo scavo G.A.Blanc e C.A. Blanc identificarono queste ossa perciò è da attribuire a loro la scoperta (Blanc-Blanc 1958); J. De Grossi Mazzorin, ibid.

[33] Oltre al già citato e noto rito di Catone, vedasi anche gli interventi degli Arvali.

[34] J. De Grossi Mazzorin, “L’uso dei cani nel mondo antico nei riti di fondazione, purificazione e passaggio”, in “Uomini, piante e animali nella dimensione del sacro”, edipuglia, 2008

[35] Mainoldi 1984, Rudhart 1958

[36] Lyd., de mens. 4,114; Serv., ad Aen. 8, 652; Plin., n.h. 18,3,3

[37] Tagliacozzo 1989

[38] Plin. n.h. 18,3,3

[39] Ovidio, fasti, V, 131

[40] Plutarco, Quaestiones Romanae, 52, 277

[41] Columella, Res Rustica, II, 21, 4

[42] Festo, 39, 50

[43] Chiaro esempio nelle Leggi delle XII tavole che danno come pena per l’omicidio involontario il sacrificio di una capra anziché del reo. Esistono anche altri animali sostitutivi, per esempio la menula, oppure dei fantocci. Per approfondire vedasi E. Viotti, “I sacrifici umani in Roma antica”, Ad Maiora Vertite, 2019

[44] D. Sabbatucci, “La Religione di Roma antica”, Il Saggiatore, 1988

[45] J. De Grossi Mazzorin, “L’uso dei cani nel mondo antico nei riti di fondazione, purificazione e passaggio”, in “Uomini, piante e animali nella dimensione del sacro”, edipuglia, 2008, pag.77 e nota 49

[46] Plinio, N.H., XXIX, 38

[47] Plinio, N.H., XXVIII, 24

[48] Plinio, N.H., XXIX, 36

[49] Ne abbiamo parlato più approfonditamente di E.Viotti, “I sacrifici umani in Roma antica”, Ad Maiora Vertite, 2019

[50] Plinio, N.H., X,3, non sono riuscito ad identificare questo uccello, viene descritto come dall’aspetto di avvoltoio, con ali molto piccole, pauroso e degenere tanto che il corvo lo batte.

[51] Plinio, N.H., X,7

[52] In Valerio Flacco, Argonatutica, IV, 68 a mangiare il fegato di Prometeo è l’avvoltoio. Bisogna sottolineare però che anche all’interno della tradizione testuale prometeica si trovano alcune fonti che parlano di un avvoltoio che divora il cuore di Prometeo. Tra gli autori classici che indicano il cuore al posto del fegato è Igino nella Fabula 144 (Promfc29), mentre l’avvoltoio si trova in Valerio Flacco (Promfc26) per poi essere ripreso in alcune fonti tardoclassiche e medioevali, come Servio (Promfc44).

Un commento su “La sacralità dell’avvoltoio”

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