La fine del Paganesimo nell’Impero Romano

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Segue il testo utilizzato come base per la conferenza del 24/02/2019.
A differenza delle dispense fornite durante la conferenza questo testo è privato delle pagine dedicate alla definizione di “pagano” ed altri termini, dell’elenco di leggi ed atti a danno dei pagani a partire dal 313dc, e di una raccolta di Leggi antipagane e citazioni di autori cristiani dell’epoca.
La versione integrale può essere scaricata dal nostro shop.
Buona lettura.

Questo articolo non intende fomentare l’odio verso la religiosità cristiana, bensì intende narrare gli eventi per come sono accaduti, andando alla ricerca anche delle cause prime della caduta del politeismo romano.
Essendo un percorso complesso, con delle forti particolarità regionali, cerchiamo di concentrarci per lo più sul fenomeno nel suo complesso, facendo delle necessarie semplificazioni e trattando soprattutto del Culto Pubblico nell’Impero Romano.

Al contrario di come la cultura di massa e l’istruzione scolastica lasciano intendere oggi, le religioni pagane non finirono dalla sera alla mattina con l’avvento del cristianesimo, ma fu un processo lungo e complesso, ed anche molto traumatico.

Possiamo dire che tutto ha inizio con i mutamenti religiosi avvenuti all’interno della Res Publica durante la tarda repubblica.
Con l’espansione di Roma nel Mediterraneo e la vittoria delle Guerre Puniche, Roma si trova nella condizione di dover giustificare la sua preponderante presenza ed il suo diritto a conquistare altri popoli. Di tutte le ragioni che i romani trovarono scelsero quella di identificare sé stessi come eredi (e parte stessa) dei Greci.
Perché i Greci? Perché la loro era la cultura maggiormente diffusa nel mediterraneo. Infatti oltre alla larga produzione materiale, oltre all’imitazione che i popoli da essi definiti barbari (tra cui i romani) facevano dell’arte greca, anche la lingua era estremamente diffusa. Ricordiamo infatti che un secolo prima dell’inizio delle Guerre Puniche, l’Impero di Alessandro Magno aveva portato la cultura Greca nei più remoti angoli dell’oriente, ed in tutto il mediterraneo orientale. I regni che scaturirono dalla divisione dell’Impero non poterono far altro che portare avanti tale cultura ellenica.

Perciò Roma decide di utilizzare la cultura Greca come legittimazione alla propria espansione, e perciò inizia ad importare elementi culturali greci. Si badi bene che questo Roma l’ha sempre fatto, sia dalla Grecia sia da altri popoli. La differenza in questo caso è che nell’ambito religioso si inizia a sostituire quelli che erano culti italici tradizionali con culti greci, al punto da lasciare pochissime tracce delle divinità originarie.
Per fare alcuni esempi: la dea italica Vacuna scompare nell’oblio sostituita dalla Vittoria che è una copia della greca Nike; Venere perde molti dei suoi ampi attributi riducendosi ad una Afrodite romana; Diana similmente si riduce ad essere un’Artemide.
A dimostrazione che l’interesse era solo politico e non di onesta ammirazione per i greci (o una reale autoidentificazione come un popolo greco, checché ne dica il mito di Enea) è testimoniato da alcuni fatti relativi alle Guerre Macedoniche (quattro in totale dal 215 al 146ac): la distruzione di Corinto, il finanziamento dei “partiti” filoromani nelle città greche e l’assassinio degli appartenenti a quelli antiromani.

Questo processo di “grecizzazione” di Roma inizialmente era lento e relativo a pochi casi, poi divenne sempre più veloce favorito dal c.d. “Circolo degli Scipioni” che si resero promotori di attività di interesse culturale, artistico, filosofico di origine ellenica.
Unico ad opporvisi era Catone il Censore, che cercava invece di difendere il Mos Maiorum, che però non fu sufficiente anche perché l’ellenizzazione di Roma era favorita dall’enorme afflusso di schiavi greci (catturati durante le Guerre Macedoniche) i quali venivano utilizzati come educatori per i giovani figli dell’aristocrazia romana.
Di qui iniziarono una serie di eventi catastrofici prodotti dal personalismo che aveva iniziato a prendere piede durante le Guerre Puniche, e che in parte fu causa e conseguenza della decadenza del Mos Maiorum. Perciò troviamo due secoli e mezzo di guerre (dalla I Guerra Punica in un secolo di contano 18 guerre su più fronti contemporaneamente), conflitti interni (tre rivolte degli schiavi, di cui due in Italia, e la Guerra Sociale), l‘omicidio dei Gracchi (133ac), guerre civili (tre in 40 anni).
Lo stesso Polibio identifica in alcune azioni di Caio Flaminio (IIIsec. ac) l’origine della decadenza romana:
<ansioso di procacciarsi l’aura popolare, fece questa nuova legge, la quale certamente, se cerchiamo il vero, si deve pensare che fosse la causa e l’origine del cambiamento in peggio dei costumi del popolo Romano> (Storie, II,21)

Questo insieme di fattori portarono ad una profonda destabilizzazione nella cultura romana e soprattutto nell’attaccamento alla religione tradizionale. Sono stranoti i riferimenti ciceroniani a questo <non c’è un augure che incontrandone un altro non possa trattenere le risate>, <l’arte augurale è stata tanto corrotta da essersene perduta l’arte> (entrambi De Divinatione), e narra dei riti ripetuti senza capirne più il senso profondo. Non solo, durante le Guerre Civili fu più volte violato il confine sacro (pomerium) della città di Roma attraversandolo in armi.
Con la fine delle Guerre Civili, e l’arrivo di Ottaviano vi è un lungo periodo di pace e prosperità. Sul piano religioso egli inizia la c.d. “restaurazione” nella quale pone una serie di modifiche e di vincoli religiosi profondamente rigidi, riscrivendo un po’ a tavolino il Culto Romano, nel tentativo di porre un po’ di ordine e soprattutto di fiducia in esso. A prescindere dalla bontà o meno di questo tentativo, è certo che molti aspetti della restaurazione religiosa romana furono atti di chiara propaganda, insieme ad un’appropriazione del culto pubblico da parte di Ottaviano. Anche perché il potere politico venne ottenuto da Ottaviano con la violenza: il primo consolato lo ebbe mandando dei centurioni armati dentro la Curia a minacciare i Senatori, e facendo largo uso di proscrizioni, e di lì il Senato iniziò a prostrarsi approvando qualunque legge egli volesse. Al punto da ottenere su di sé personalmente (non sulla sua carica, e quindi fuori dai limiti della collegialità e della temporalità tipici della Res Publica) una serie di attributi e di poteri superiori a tutti gli altri.
Merita, per rafforzare queste mie affermazioni, riportare questa citazione:

<Per questa caratteristica ambivalenza della figura del princeps, il nuovo regime si può considerare, per certi versi, una sorta di peculiare sintesi tra due modelli organizzativi che hanno caratterizzato le organizzazioni politiche del Mediterraneo antico: la città, che ha al suo centro la comunità, il corpo civico; e lo “stato” territoriale dispotico, soggetto ad un monarca e i cui abitanti sono sudditi e non cittadini. È questa stessa ambivalenza che spiega anche l’assai maggiore franchezza con la quale nella parte greco-orientale dell’impero, dove le tradizioni della res publica romana avevano ovviamente minore significato e minore presa, si siano usati precocemente e senza infingimenti i termini indicativi della monarchia, basileus e basileia, per indicare il nuovo regime, e perché l’intraducibile appellativo di Augustus sia stato reso, nella lingua greca, e nello stesso linguaggio ufficiale, con un diverso appellativo, Sebastos, che, nel suggerire una differente legittimazione del potere imperiale (che avrebbe giustificato il culto dell’imperatore e poi dello stesso imperatore vivente), ne sottolineava la distanza dai sudditi.>
(“Introduzione alla Storia di Roma” E.Gabba, D. Foraboschi, D. Mantovani, E. Lo Cascio, L. Troiani, ed. LED, pag.280)

Merita ancor di più, per dare il sapore dell’epoca, l’illuminante citazione di Tacito (Annali, I 2-4):

<Dopo che, uccisi Bruto e Cassio, non vi furono più eserciti della Repubblica, e dopo che Pompeo fu vinto presso la Sicilia, neppure al partito giuliano, spogliato Lepido e ucciso Antonio, rimase altro capo se non Cesare Ottaviano, che, deposto il nome di triumviro, si chiamò Console, pago dell’autorità di tribuno della plebe. Quando questi ebbe attratto a sé i soldati coi donativi, il popolo con le distribuzioni di grano, tutti con la dolcezza della pace, cominciò ad elevarsi a poco a poco, a concentrare in sé le competenze del Senato, dei magistrati, delle leggi, senza che alcuno gli si opponesse, poiché gli avversari più fieri erano scomparsi o sui campi di battaglia o nelle proscrizioni, e gli altri patrizi colmati di ricchezze e di onori quanto più erano pronti a servire, ed innalzati delle nuove circostanze, preferivano la sicurezza delle condizioni presenti ai pericoli delle antiche. Le provincie non si opponevano a quello stato di cose, poiché diffidavano del dominio del Senato e del popolo a causa delle rivalità tra i potenti, della cupidigia dei magistrati, senza che le leggi sconvolte dalla violenza, dall’intrigo, e infine dalla corruzione, fossero di valido aiuto. Per altro Augusto, a sostegno del suo potere elevò [… elenco di tutti gli amici e parenti posti in una carica piuttosto che l’altra…]. Nella città tranquillo era lo stato delle cose, le magistrature conservavano gli stessi nomi; i più giovani erano nati dopo la vittoria di Anzio, la maggior parte dei vecchi nel pieno delle guerre civili: quanti mai rimanevano che avessero conosciuto la repubblica? Mutate, dunque, le condizioni della città, in nessun luogo più rimaneva qualche cosa dell’antico incorrotto costume: scomparsa l’eguaglianza fra i cittadini, tutti attendevano gli ordini del principe>

Forte quindi del suo potere politico iniziò ad appropriarsi del Culto Pubblico:
– a partire dall’uccisione dei cesaricidi ed il sacrificio di trecento notabili di Perugia agli Dèi Mani della gens Iulia con la successiva costruzione del Tempio di Marte Ultore (vedicatore) su suolo pubblico nel Foro (cosa orrenda attribuita normalmente a pazzi quali Catilina ed Eliogabalo);
– si fa nominare Augusto, un termine dalla valenza sacra che nemmeno Romolo o Numa vollero su di sé;
– asseconda la fondazioni di Templi al suo Genio personale nelle province e ne impone a tutti quanti il culto, cosa che finisce anche per modificare i culto privato dei cittadini i quali sostituiscono il culto del Lare domestico a quello del Genius del Pater Familias

– pose Apollo (un dio straniero) sul Palatino, colle dove nacque Roma, e vi pose la propria casa espropriando tutti gli altri terreni;

– fece raccogliere tutte le profezie greche e latine per farle bruciare, conservò solo i Libri Sibillini e li pose sotto alla statua di Apollo Palatino;

– fece si che il mese di Quintile (Luglio) prendesse il nome del suo padre adottivo, Giulio, e a Sestile (Agosto) diede il proprio;
– estese il potere di molti sacerdozi, ed altri li rifondò poiché non avevano più membri, in particolare delle Vestali, e tuttavia spostò il Sacro Fuco di Vesta nella sua casa sul Palatino;

In fine, contro la Tradizione, fu reticente a concedere la cittadinanza romana, ed impedì con ogni mezzo la mescolanza del sangue romano con quello di altri popoli. Sangue Romano fondato già dalla mescolanza di molti popoli.

Ho voluto dedicare ampio spazio a tutte queste cose perché mi sembra che siano tutte il “peccato originale” dal quale inizia la decadenza della religiosità politeista nell’Impero. Infatti tutte queste cose sono avvenute attraverso poche generazioni, le quali assistendo a tali e tanti cambiamenti tutti insieme devono aver provato un profondo senso di sconforto e sfiducia verso la religione tradizionale, trasmettendolo alle generazioni successive. Ed infatti il “boom” di culti stranieri, soprattutto orientali, iniziarono ad arrivare a Roma ed in Italia proprio dal periodo immediatamente successivo. Se infatti il Culto Pubblico rimase grossomodo invariato (salvo le iniziative degli imperatori di cui parleremo a breve), a livello privato troviamo moltissimi culti stranieri che vivevano nell’Italia Imperiale.
Pensiamo alla larghissima presenza di materiale votivo relativo ai culti egizi di grande successo nel nord Italia (solo a Verona su un totale stimato di una decina di templi abbiamo un Iseo e Serapeo, uno di interpretazione incerta forse dedicato a Serapide, ed un arco dedicato a Giove Ammone cioè l’interpretatio del dio Amon).

Il mancato rispetto della Tradizione ha portato all’imbarbarimento della Religione Romana, non la sua incapacità di aggiornarsi (come pensano in molti). E questo dovrebbe essere un monito anche oggi.

Tuttavia la nostra storia non finisce qui.
Nell’anno c.d. “zero” nasce Gesù, il quale compirà la sua opera di propaganda tra il 27 ed il 33dc, proponendo una serie di concetti diametralmente opposti a quelli delle religioni mediterranee, ispirandosi probabilmente al Mithraismo nato due secoli prima in medioriente. E tuttavia Gesù nella sua propaganda era abbastanza in linea con l’ideologia imperiale <date a Cesare quel che è di Cesare, e date a Dio quel che è di Dio>.
Tuttavia i suoi discepoli si allontanarono molto dal suo messaggio, tanto da partecipare in prima persona (sotto la guida di Pietro) all’incendio di Roma del 64dc. Cosa che ebbe come conseguenza la prima persecuzione dei cristiani, che tuttavia era difficile riconoscerli perché gli Imperatori pensavano si trattasse di una setta ebraica.

In questo periodo la figura dell’Imperatore è centrale nella religiosità romana. Infatti già a partire dalle Guerre Civili, e poi con gli Imperatori, chi comandava cercava di influenzare religiosamente i propri sudditi. Alcuni esempi: Ottaviano cercava d’impedire l’importazione del culto di Iside durante le guerre Civili perché era collegata a Cleopatra, ma in seguito alla sua vittoria smise di opporvisi. La magia neopitagorica e caldea vennero avversate dagli imperatori Tiberio e Claudio, mentre Nerone la accolse senza problemi. Insomma la religione risultava totalmente nelle mani degli imperatori, cosa che poteva, comprensibilmente, alimentare lo spaesamento in un popolo tradizionale come quello romano.
E di conseguenza la ricerca di punti di riferimento più saldi, ed il primo di questi fu il Mitraismo.

E’ interessante rilevare che mentre i Cristiani di Pietro davano fuoco a Roma, Paolo di Tarso (teologo cristiano) scriveva che gli scopi di Gesù e dell’Impero Romano erano gli stessi, cioè il raggiungimento della pace universale e che per questo la parola cristiana era più vicino all’Impero che non ai Giudei. Fu un’idea davvero astuta perché le sue parole verranno prese in futuro per giustificare la cristianizzazione dell’Impero e l’allontanamento dall’Ebraismo. Infatti mentre gli Ebrei desideravano solo la libertà della Palestina da Roma e portare avanti i propri culti tra di loro, i Cristiani volevano convertire tutti i popoli, ma per farlo avrebbero dovuto appropriarsi dell’Impero.
Queste differenze di vedute scaturirono in violenza già da prima, capitava regolarmente che Ebrei e Cristiani si aggredissero tra loro, motivo per il quale nel 52dc l’Imperatore Claudio ne ordinò l’espulsione da Roma. Evidentemente l’incendio di dodici anni dopo fu una sorta di vendetta.

Per essere precisi l’incendio di Roma scaturì dei piedi del Celio su ordine di Nerone poiché lì si trovava la villa di un notabile romano che non intendeva cedere i propri possedimenti all’Imperatore che intendeva estendervi la propria villa. Sfuggito però di mano l’incendio iniziò a propagarsi prima sul resto del colle, e poi verso la città. Quando dopo alcuni giorni l’incendio pareva essere domato si videro alcuni uomini che gettavano fiaccole sui tetti delle case inneggiando al fuoco purificatore del loro dio, era l’inizio del terrorismo cristiano.

Quando finalmente, dopo nove giorni, l’incendio fu domato al gravissimo costo di migliaia di morti ed oltre duecentomila sfollati, e ricordiamo (grazia a Tacito) tra queste perdite anche la distruzione di molti templi antichi, tra i quali quello alla Luna dedicato da Servio Tullio, l’ara ed il fano dedicati da Evandro in onore di Ercole, il tempio dedicato a Giove Statore da Romolo, la Reggia di Numa, il santuario di Vesta con i penati del Popolo Romano, insieme a questi anche una moltitudine di oggetti antichissimi e documenti, molte cose che i vecchi ricordavano e che non si sarebbero più potute rifare. L’incendio era scoppiato lo stesso giorno in cui i Galli avevano incendiato Roma dopo averla presa al tempo di Furio Camillo.

Come prima cosa si interrogarono i Libri Sibillini, i quali ordinarono di compiere pubbliche preghiere a Vulcano, Cerere e Proserpina, le Matrone fecero riti propiziatorii a Giunone prima in Campidoglio, poi sul mare di Ostia dove si attinse l’acqua per aspergere il tempio e la statua della dea; inoltre le donne sposate compirono banchetti in onore delle Dee e feste religiose notturne.
Si doveva trovare un colpevole.
In questo contesto tutte le fonti concordano nel dire che seppure l’azione di Nerone fu scellerata, egli la gestì in modo estremamente competente (anche grazie al reparto di vigiles istituito da Ottaviano), inoltre era difficile a quel tempo portare al processo un Imperatore.

Diversa questione era quella dei cristiani, i quali avevano coscientemente attentato alla Salute pubblica ed alla collettività sulla base di una propria convinzione religiosa, di qui nacque la prima persecuzione.

Tale fede veniva già indicata come perniciosa superstizione e che in quel momento aveva preso a proliferare in Giudea ed a Roma, luogo -quest’ultimo- dove ormai <tutto ciò che è vergognoso ed abominevole viene a confluire e trova la sua consacrazione> (Tacito, Annali XV,44).
Per primi furono arrestati coloro i quali facevano aperta confessione di tale credenza, quindi su denuncia di questi anche altri ne furono arrestati. La base dell’accusa non era l’incendio in sé per sé, bensì l’odio humani generis, cioè l’odio verso il genere umano, un’accusa comprensibile agli occhi di un romano essendo che essi proclamavano l’autodistruzione della società e degli uomini in previsione di una promessa di redenzione futura per un peccato non compiuto e non dimostrato. La pena fu la morte per uccisione da parte dei cani, crocifissi, oppure arsi vivi, e tali scene avvenivano nei giardini privati di Nerone.

Queste stesse pene vennero criticate dal popolo, e si generò in esso un senso di pietà verso i cristiani, non tanto perché ingiuste, quanto perché vennero uccisi non per la pubblica utilità, ma per la crudeltà di uno solo.

Questo a dimostrazione che ancora il popolo romano conservava quel senso tipicamente romano della comunità a dispetto di quanto gli era stato imposto dai suoi sovrani.

L’influenza degli Imperatori sulla Religione Romana iniziava a diventare sempre maggiore, apportando diverse imbarazzanti modifiche. Traiano, ad esempio, inizia a farsi chiamare Optimus (come Giove).
Per un periodo si cercò di cambiare i nomi dei mesi con quelli degli imperatori (imitando ciò che fece Ottaviano). Settembre si cercò di chiamarlo Germanico (sotto Caligola), maggio “Claudio” e giugno “Germanico” (sotto Nerone), poi nuovamente settembre “Germanico” ed ottobre “Domiziano” (sotto Domiziano), tutti tentativi volti ad alimentare l’Ego degli imperatori e delle loro famiglie.

Sotto Adriano e Marco Aurelio c’è un periodo di relativa pace con i cristiani, tanto che il primo cercò di assimilare Gesù nel Pantheon Romano, fondando sul Sepolcro un tempio di Venere (essendo quello un dio d’amore). I cristiani non gradirono, e nel 326dc Costantino lo farà distruggere.
Tale era la decadenza dei costumi della classe dirigente.

Come sempre accade nei momenti di difficoltà il popolo va alla ricerca di nuovi culti (spesso accadde nella storia di Roma) e durante la crisi del IIIsec dc assistiamo all’invasione dell’Impero da parte di numerosissimi culti orientali, è il momento di massima espansione del Mithraismo. Cioè un culto di origine Vedica che per molti aspetti somigliava al cristianesimo (o meglio: il cristianesimo gli somigliava), con la differenza che non era un culto monoteista, infatti essi riconoscevano ed accettavano gli altri Dèi, seppur ne venerassero soprattutto uno.
I cristiani no, erano fanatici.
E purtroppo di questo fanatismo ne abbiamo subito gli eccessi persino noi di Ad Maiora Vertite. L’apparente pacatezza che vige oggi è legata al fatto che la maggioranza è cristiana o cristianeggiante, ma come spunta un diverso, o strano, non c’è rispetto o interesse ma solo odio, anche nel nostro “moderno ed evoluto” millennio.

Lo stesso Culto Pubblico iniziò ad avere tendenze enoteiste, a causa degli imperatori, che accentravano il culto sulla propria persona e sulle proprie personalissime credenze: Aureliano sosteneva che il suo regno era garantito dal Sole da Giove e da Mithra, da lui visti come una divinità unica; e da Eliogabalo il quale prese il nome dal sacerdozio che ricopriva presso uno di questi culti solari orientali, pose la pietra sacra di questo culto sul Palatino in un tempio nel quale dovevano essere poste tutte le statue degli altri Dei romani, compresi il fuoco di Vesta e si paragonò ad Elios, e appese alla statua della Vittoria sita nella Curia una raffigurazione di sé stesso in abiti sacerdotali intento a sacrificare al dio siriano El-Gabal, in modo tale che i Senatori offrissero anche a lui i sacrifici che compivano alla Dea. Per fortuna un po’ di buon senso prese le menti del Senato, del popolo romano e dei pretoriani che lo uccisero.

Come è possibile dunque spiegarsi questi cambiamenti? Bisogna cercare di immedesimarsi nel romano che vede ad ogni imperatore modificare il Culto Pubblico, e l’introduzione di culti stranieri, questo causò diffidenza, questo insieme alla corruzione già esistente in età repubblicana deve aver causato un clima di sfiducia tale da spingere i giovani a muoversi verso nuove forme di religiosità, tra le quali il cristianesimo.
Ecco perché è importante il rispetto del Mos Maiorum!

Anche nel terzo secolo proseguirono le persecuzioni, che con gli imperatori Decio, Valeriano e Diocleziano videro il loro culmine. Infatti oltre all’obbligo di sacrificare agli Dei vennero sequestrati i beni della chiesa, imposto lo scioglimento dei gruppi cristiani ai quali venne tolta la cittadinanza, confiscati i beni, destituiti dalle cariche pubbliche, e costretti a venerare l’ormai lacero ed imbastardito culto imperiale.
E’ importante rilevare che Diocleziano attese venti anni prima di iniziare la propria persecuzione. Perché?
Siamo nella crisi del III secolo, l’imperatore fa diversi tentativi di migliorare l’economia dell’Impero, ed inizia a produrre moneta per svalutarla, ma la situazione non cambia. Allora fa il contrario immettendo moneta di alto valore, ma la gente non poteva concretamente usarla. Allora congela i prezzi, e allora i prodotti non si trovavano sul mercato. In fine inizia con la persecuzione.
Probabilmente questo si spiega perché la struttura cristiana dell’epoca prevedeva orfanotrofi, mense pubbliche, ma prevedeva anche qualcosa che assomigliava a delle banche. La chiesa infatti faceva prestiti ad usura a chi si convertiva, e con il surplus pagava mense ed orfanotrofi a chi si convertiva. Ovviamente in molti andavano alla ricerca di prestiti a causa della crisi, e questo metteva molti nella situazione di arricchire la chiesa sia di denaro sia di nuovi adepti. Quindi era un sistema economico chiuso che succhiava denaro dallo Stato senza reimmetterlo nel mercato. E perciò Diocleziano impiega vent’anni a comprendere questo sistema prima di iniziare a perseguitarli (dal 303 al 311dc).

Nel 313dc l’imperatore Costantino -forse sinceramente convertitosi al cristianesimo- emette l’editto di tolleranza concedendo libertà di culto a tutti, questo avvenne probabilmente a seguito di interessi politici ed economici. Innanzi tutto il parallelo tra la pace cristiana e la pace imperiale erano molto simili, inoltre per un maggior potere che poteva fornire una religione monoteista sul popolo in un momento di grave crisi. Resta il fatto che comunque ancora in questo momento altre religioni come il Mithraismo contendevano al cristianesimo l’animo dell’Impero.
Nel 324dc avvenne il Concilio di Nicea, quando cioè venne canonizzata la religione cristiana, cosa che permise di condannare prima di tutto i culti eretici (in particolare quello di Ario). Tuttavia Costantino non mancò di fondare nuovi templi romani e mantenne la carica di Pontefice Massimo.
Seguendo la logica imperiale precedente, nella quale l’Imperatore veniva venerato (come Genio e poi in prima persona), fu naturale dal punto di vista strettamente legale un obbligo non esplicitato (né perseguitato) alla conversione alla stessa religione dell’Imperatore, e fu qui che ci fu un “boom” di conversioni soprattutto nella classe dirigente. Anche perché essendovi questo stretto legame tra l’Imperatore e la chiesa cristiana opporsi al clero equivaleva ad opporsi all’Imperatore stesso.
Contestualmente a questi eventi Costantino nel 320-21dc proibì i sacrifici cruenti (di animali) ed i riti magici privati onde evitare che venissero in aiuto ad altri pretendenti al trono. E questa è una delle ragioni per le quali si dubita della reale conversione di Costantino.

Gli seguì l’Imperatore Costanzo II il quale vietò i sacrifici pagani ed impose la chiusura dei templi, ma l’ordine fu largamente disatteso essendo che vi erano ancora molti pagani nell’Impero, ed è in questo periodo, poco dopo la morte dell’Imperatore che il termine paganus inizia ad indicare quelli che prima erano indicati come gentiles o nationes. Tuttavia vennero sanzionati coloro i quali danneggiavano templi, statue o tombe. In occasione dei suoi vent’anni di regno nel 357dc conferì titoli sacerdotali ai cristiani e contemporaneamente confermò quelli dei pagani e delle Vestali, e tuttavia lo stesso anno vennero rimossi l’altare e la statua della Vittoria che erano in sede della Curia fin dal 29ac e la cui statua venne presa nel 272ac al tempo della guerra contro Pirro (seicentoventinove anni prima!)

In questo contesto continuavano le persecuzioni dei cristiani contro altri cristiani non allineati ai dettami del Concilio di Nicea, e nel 359/360dc il Concilio di Rimini decise di applicare gli editti persecutorii di Diocleziano e li rivolse contro quelli che erano definiti “eretici”; mentre in oriente assistiamo alla distruzione di statue e templi pagani poiché ritenuti demoni da esorcizzare con il silenzioso consenso delle autorità locali (alla faccia dell’idolatria!).

L’ultimo tentativo dell’antichità di restaurazione della religiosità romana fu quello dell’Imperatore Giuliano, il quale nato cristiano si convertì al culto gentilizio (un po’ come noi oggi), fu iniziato ai Misteri Eleusini ed al Mithraismo. Tentò di copiare l’organizzazione ecclesiastica e di applicarla al politeismo e chiamò questo culto “Ellenismo”, ripose l’altare della Vittoria in Senato, tentò di restaurare il politeismo neoplatonico con al centro una divinità solare a cui gli altri Dei erano subordinati (come si vede l’antica e gloriosa Triade Capitolina ed il dominio del Padre della Legge, Iuppiter, erano totalmente caduti nel dimenticatoio), chiuse alcune scuole dove veniva impedito lo studio delle filosofie pagane, inoltre scrisse diversi testi giunti fino a noi. Il suo dominio durò solo tre anni, dando poco margine di tempo al rinnovato culto di sopravvivere, egli fu infatti assassinato da un cristiano.

Tutti gli imperatori successivi furono antipagani, fino a raggiungere il culmine con Teodosio che nel 380dc promulgò l’editto di Tessalonica, detto anche De Fide Cattolica, con il quale si riconosceva come unica religione permessa nell’Impero quella Cristiana Cattolica, e quindi tutti i culti gentili vennero vietati così come anche i culti “eretici” ed ebraici, era proibito partecipare a tali riti, e chi si convertiva a questi culti perdeva il diritto di fare testamento. L’anno successivo venne permesso di conservare gli oggetti pagani di valore artistico, lo stesso anno la carica di Pontefice Massimo venne fatta decadere, togliendo a tutti i sacerdozi l’immunità, e vennero confiscati i loro beni.
Il 24 febbraio del 391 venne spento il fuoco di Vesta.

Il sacro fuoco rimasto acceso fin dalla fondazione di Roma morì. Quella struttura sacerdotale rimasta grossomodo immutata dai tempi di Numa Pompilio venne così spazzata via.

L’altare della Vittoria in Senato viene nuovamente rimosso.
Abbiamo ancora memoria di questi eventi, infatti Serena (sposa del magister militum Stilicone) a seguito dello spegnimento del Sacro Fuoco di Vesta, entrò nel tempio di Rea, la Madre degli Dei, si avvicinò alla statua della Dea e tolse la collana che la adornava, e reputandosi al suo pari la indossò. Un’anziana donna di nome Celia Concordia, l’ultima Vestale, vedendo la scena prese a protestare, ma venne allontanata con la forza, e quindi cacciò una tremenda maledizione su Serena, il marito e tutti i suoi eredi. Tale maledizione fu sbeffeggiata da Serena fino a quando non iniziarono ad apparirle notte e giorno visioni della morte propria e dei suoi figli: eventi che si avverarono con spietata precisione diciassette anni dopo con una condanna a morte da parte del Senato.
Per ironia della sorte (o come sottolinea Zosimo, “di Vendetta”) la decisione venne presa da un Senato a maggioranza cristiano.
Ancora oggi il 24 febbraio in Italia si piange ogni anno lo spegnimento del sacro fuoco di Vesta, e tutti i politeisti uccisi dall’intolleranza religiosa, con manifestazioni di lutto e triste commemorazione di varia natura presso varie realtà pagane e neopagane (anche non romane).

Dopo la morte di Graziano, Quinto Aurelio Simmaco ed altri senatori chiesero il riposizionamento dell’altare della Vittoria nel Senato. Tuttavia il Vescovo di Milano, Ambrogio, e dell’imperatore Teodosio lo impedirono. Il senso di riportare la statua della Vittoria in Senato aveva per molti un significato non religioso, quanto artistico e simbolico; in quel tempo infatti si tentò di stabilire una sorta di laicità dello Stato creando un potere che si contrapponesse a quello della Chiesa, ma questo non sarà realizzato fino alla nascita dei Comuni nel basso medioevo. Nell’incremento del potere della chiesa il Vescovo Ambrogio ebbe un potere enorme, al punto che dopo la Strage di Tessalonica costrinse l’Imperatore a sottomettersi a lui minacciandolo di non recitare più messa in suo presenza.

L’Imperatore si sottomise al Vescovo, e così Roma cadde definitivamente sotto il dominio clericale.

Nel 407dc abbiamo definitivamente più Senatori cristiani di quanti non fossero quelli pagani, e la sua autorità è ridotta ad una sorta di consiglio comunale della città di Roma, terminando così lo scontro con gli Imperatori e la Chiesa.

Tre anni dopo abbiamo il Sacco di Roma da parte di Alarico, il quale essendo privo di macchine d’assedio non poteva assediare la città di Roma.
Tuttavia egli riuscì ad entrare grazie alla gens cristiana degli Anici Probi che gli aprirono le porte dall’interno.

Si noti che era dal 390ac che un esercito barbaro non entrava nella Capitale.
Poco dopo esser uscito da Roma, Alarico si ammalò di una terribile malattia, e morì improvvisamente. Evento che richiama alla memoria la maledizione lanciata da Romolo su chiunque avesse violato il confine sacro della città in armi.

Nel 415dc abbiamo la morte della famosa Ipazia, filosofa, astronoma, matematica, figlia del filosofo Teone. Scrisse anche diversi testi che a noi non sono giunti. Per quanto ci riporta Sinesio ella inventò l’astrolabio, l’idroscopio, e gestiva la Scuola di Alessandria. Il fatto di essere donna ed al contempo di insegnare e parlare non coincideva con i dettami della cristianità del tempo, ciò la mise in contrasto con il Vescovo Cirillo che era già impegnato a sovrastare il potere del Prefetto Oreste (cristiano, che tuttavia pensava allo Stato come un’entità laica).

Ipazia prima di esser uccisa da un gruppo di monaci cristiani su ordine del Vescovo venne stuprata, martoriata, e sacrificata sull’altare cristiano posto all’interno della -già saccheggiata- biblioteca di Alessandria, ed il corpo smembrato in quattro parti e bruciati separatamente.

Il 28 agosto del 476 Odoacre, prese la città di Roma per sete distruggendone gli acquedotti, deponendo l’ultimo imperatore che, per amara ironia, si chiamava Romolo Augustolo.

Erano 1229 anni da quando Romolo tracciò il primo sacro confine sul Palatino.

La città venne rasa al suolo.
Quando Odoacre iniziò a scendere lungo l’Italia, Romolo Augustolo chiese aiuto all’Imperatore d’Oriente Zenone, ma egli rispose che non aveva uomini da inviargli.

Spesso immagino il povero messo a cui vengono dati in mano i Sacra Imperiali, gli oggetti sacri simbolo del potere romano, esistenti fin da prima della nascita di Roma.

Lo immagino con le vesti logore, sbattuto su una barca e spedito a Costantinopoli. Arrivato cerca di entrare nel palazzo imperiale, le guardie lo fermano perché appare come uno straccione, lui gli fa vedere la missiva imperiale e allora lo lasciano passare.
Entra nel palazzo dell’Imperatore d’Oriente, pieno di ori ed inutili decori, si trova davanti Zenone e gli porge i Sacra Imperiali, e gli dice che Roma non esiste più.

Gli dice che l’Impero Romano d’Occidente che per oltre cinquecento anni fu il mondo più di quanto non ne fosse il suo centro, non esisteva più.
Da quel momento quel territorio inizia a chiamarsi il Regno d’Italia di Odoacre…. Siamo nel Medioevo.
Così finisce il mondo antico.

Emanuele Viotti

BIBLIOGRAFIA:
– “Introduzione alla Storia di Roma”, E.Gabba, D. Foraboschi, D. Mantovani, E. Lo Cascio, L. Troiani, ed. LED;
– “Storia di Roma: dalle origini alla tarda antichità”, R. Arcuri, E. Caliri, C. Giuffrida, A. Lewin, R. Marino, A. Mastrocinque, L. Mecella, C. Molè, D. Motta, A. Pinzone, U. Roberto, R. Sassu, J. Thornton, coordinamento M. Mazza, ed. Del Prisma, 2013;
– “Storia di Roma dalle origini a Cesare”, F. Càssola, ed. Jouvence, 1985;
– “Le guerre macedoniche” di John Thornton, ed. Carrocci editore, 2014;
– Atti Accademia Nazionale dei Lincei, 2001, scienze morali storiche e filologiche, rendiconti, serie IX, vol. XII, fascicolo 3, “Sacrifici umani e uccisioni rituali nel mondo etrusco”, Massimiliano di Fazio;
– “Legalizzazione contro il paganesimo e cristianizzazione dei templi”, E. Testa;
– “Sacrifici umani in Roma antica” di Emanuele Viotti, pubblicato su “Ad Maiora Vertite”, 2018 e relative fonti e bibliografia;
– “Il Culto Privato in Roma Antica” vol I, Attilio de Marchi;
– conferenza “La fine del paganesimo nel mondo antico” di Emanuele Viotti e Vanessa Piccinelli, con Communitas Populi Romani, presso sede ass. Italus, 2015

– Tacito, Annales;
– Svetonio, “Vite dei dodici cesari”;
– Tertulliano;
– Zosimo, Istoria Nova;
– Giuliano Imperatore, opere varie
– Tertulliano, Ad nationes
– Polibio, Storie
– Cicerone, De Divinatione

Un commento su “La fine del Paganesimo nell’Impero Romano”

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