Il dio Vertumno

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Nella letteratura latina non è così insolito che il compito di descrivere una divinità venga lasciato alla divinità stessa: è il caso ad esempio del Lar familiaris nel capolavoro plautino, l’Aulularia (1), oppure di Giano (2), che apre i Fasti di Ovidio dopo una breve introduzione sulla questione calendariale. Vertumno invece si presenta a noi con dovizia di particolari in un’elegia di Properzio (riportata sopra, e che seguiremo passo passo), gettando su di un culto estremamente arcaico della luce in assenza della quale la comprensione sarebbe stata assai ardua. Ciò è merito collaterale di Ottaviano: l’opera di Properzio, come del resto quella di Ovidio, si configura all’interno del processo di “restaurazione” augustea della religiosità tradizionale; se questa bieca ed empia operazione di propaganda fallì nei suoi scopi dichiarati ha però il merito di costituire per i moderni un’enorme miniera di informazioni. Il teonimo (4) restituisce immediatamente la funzionalità di Vertumno: è lui stesso a spiegarne l’etimologia nei versi properziani, facendolo derivare da vertere “volgere, cambiare”; è infatti il dio che presiede ai cambiamenti (vi torneremo in seguito).

L’origine del culto resta controversa: Varrone lo vuole portato a Roma da Tito Tazio, benchè con una felicissima espressione ne riconosca il nome patrimonio comune di Sabini e Latini (5); inoltre, avrebbe goduto di somma devozione in Etruria, rappresentandone la divinità principale, “deus princeps Etruriae” (6). Properzio, sempre per bocca del dio (vv. 3-4), lo dice addirittura etrusco e portato nell’Urbe durante la guerra contro Volsinii, che condusse alla distruzione della città. Ciò potrebbe fare riferimento alla stessa statua stessa “parlante” di Vertumno, forse una delle duemila (7) che facevano parte dell’ingente bottino ottenuto dal saccheggio della città, o più probabilmente riferirsi al riconoscimento ufficiale del culto da parte dello stato, adottato con il rituale dell’evocatio (8). A sostegno di questa, oltre all’implicita dichiarazione del dio (vv. 3-4), vi è la dedica del Tempio di Vertumno sull’Aventino risalente proprio al 264 a.e.v, anno della presa di Volsinii per opera di M. Fulvio Flacco; all’interno di esso, rimase conservato fino in epoca molto tarda un dipinto del console in trionfo (9), che trova riscontro nei Fasti Trionfali. Il dio veniva celebrato nel suo tempio aventino il 13 Agosto come attestano i Fasti Amiternini (10), i Fasti Vallensi (11) e i Fasti Allifani (12). Sappiamo però che la statua di Vertumno presiedeva quello stesso luogo, cioè il Vicus Tuscus, almeno dai tempi di Romolo: un suo simulacro ligneo assistette allo scontro tra Latini e Sabini conseguente al Ratto (vv. 53-54), rimpiazzato poi da una statua bronzea opera di Mamurio Veturio, colui che fabbricò le copie degli Ancilia, durante il regno di Numa (vv. 60-61). La stessa statua, o la base atta a sostenerla (ritrovata nei pressi di una seconda, precedente, base), venne restaurata sotto il principato congiunto di Domiziano e Massimiano (13), a testimonianza della sua notevole continuità cultuale. L’ufficialità di Vertumno venne estesa anche ai municipia, come dimostra la sistemazione di un tempio o di un’area sacra a Canusium (14), realizzata dai quattuorviri della città con gli introiti di munera gladiatoria. Oltre che in Apulia, Vertumnus è attestato in Lucania a Potentia (15), sull’arco alpino a Segusio (16) ove è presente in una dedica insieme al Genius municipi, in Umbria presso Tuder (17), ad Ancona (18) e in area sabellica a Marruvium (19), importante centro dei Marsi; il che secondo alcuni autori (20), costituirebbe una conferma di Varrone sull’origine sabina del culto; sempre nella Marsica è presente, nel territorio di Opi e sulla sinistra del Sangro, la Sorgente di Ortunno (21). Il dio si trova persino fuori dall’Italia: in Macedonia quasi sul confine con la Tracia presso Filippi (22), in Germania a Treviri (23), dov’era identificato con il dio locale Pisintus (su cui non sappiamo nulla); altre due dediche si presentano invece più controverse: quella di Ancona (CIL IX 5792) e  quella di Narbona, in Gallia (CIL XII 5963).

Paradossalmente è proprio in Etruria che mancano tracce di Vertumno: la sua associazione all’etrusco Voltumna non risolve la questione, perché non ci sono conferme di alcun genere, se si esclude l’eventuale presenza della divinità accompagnata dalla scritta Veltune,(la figura a destra, armata di lancia), nel celebre Specchio di Tuscania; databile al III secolo a.e.v. e conservato al Museo Archeologico di Firenze, rappresenta una divinazione. La valenza di Veltune in questa scena è oscura, benchè il nome ricordi quello di Arrunte Veltimno, a cui lasa Vegoia avrebbe rivelato la celebre profezia cosmogonica ed escatalogica relativa alla sacralità e all’inviolabilità dei limiti imposti da Giove (23); non abbiamo elementi bastevoli per sostenere questo legame, comunque. Sappiamo inoltre che il Fanum Voltumae era il centro sacro e politico di tutta la Confederazione Etrusca, che proprio lì si riuniva per prendere decisioni della massima importanza, inerenti soprattutto la guerra (24).

Il luogo esatto non è ancora stato ritrovato: potrebbe trattarsi di Volsini stessa o dei suoi dintorni,  sebbene altri indizi rimandino a Bolsena e a Tarquinia. Questo divario tra la rinomanza che Voltumnae ha nelle fonti letterarie e la pressochè assenza di fonti materiali a lui ascrivibili ha alimentato diverse argomentazioni: Voltumna potrebbe essere un semplice epiteto funzionale o gentilizio di Tinia/Giove, che deteneva l’incontestato predominio del pantheon etrusco, tale da giustificare pienamente l’espressione varroniana di Etruria princeps. Altri autori disquisiscono su questo aggettivo, sostenendo che il significato reale, anziche “il più importante”, consisterebbe ne “il primo”: la prima divinità etrusca introdotta a Roma oppure primo nella funzionalità, alla stregua di Giano (25).

Per risalire invece alla natura del dio è necessario partire dai suoi luoghi; non l’Aventino, che per la sua posizione (26) giustifica naturalmente la collocazione del tempio di una divinità importata, ma proprio dove avviene il monologo del dio (27): il Vicus Tuscus.

Questa strada (in parte coincidente con le attuale vie di S. Teodoro e S. Giorgio al Velabro) originariamente partiva dal Foro passando tra la Basilica Sempronia e il Tempio dei Castori per giungere al Velabro, attraversava la Porta Flumentana per arrestarsi sul fiume, in prossimità del Ponte Sublicio che immetteva in Etruria. Il nome Tuscus, “etrusco”, secondo Properzio (vv. 49-52) e Varrone (28) fu scelto dai Romani quale pegno di riconoscenza agli Etruschi per l’aiuto loro prestato nella lotta contro i Sabini; secondo altri autori antichi (29) si tratta invece dell’area dove trovarono ospitalità e rifugio gli Etruschi superstiti della Battaglia di Aricia combattuta contro Latini e Greci di Cuma; Festo (30) aggiunge ulteriori ipotesi. Si trattava di un punto ad alta vocazione mercantile, abbastanza vicino al Tevere ma a ridosso del centro nevralgico e amministrativo dell’Urbe e vi trovavano spazio le botteghe più lussuose come quelle degli argentarii, testimoniate dal grandioso Arco (a torto detto “di Giano”) ancora conservato; si trattava di cambiavalute o di orafi specializzati nella lavorazione dell’argento, e proprio alla corporazione di questi ultimi si deve un’altra dedica a Vertumno (31).

Si trovavano anche i thurarii, ossia i venditori d’incenso e profumi, tanto che il vicolo prendeva anche il nome di vico Turario (32). Altra figura presente era quella del librarius, copisti/editori/venditori di libri: assai celebre era la bottega dei fratelli Sosii, menzionati da Orazio (33) come prossimi alla statua di Vertumno. Era anche il luogo della prostituzione maschile (34), che a differenza di quella femminile era generalmente molto dispendiosa. La posizione di Vertumno in questo luogo potrebbe risultare casuale, considerando che l’area è disseminata di numerosi culti; eppure non è così. Sebbene la dozzina di dediche a Vertumno, talvolta frammentarie, siano troppo poche per trarne una casistica è difficile non notare che, su cinque iscrizioni in cui è nota la posizione sociale dei dedicanti, ben due fanno riferimento al mondo del commercio: il faber argentarius di Roma (nota 31) e il dispensator di Ancora (nota 18), vale a dire un funzionario addetto all’amministrazione delle finanze; del resto questa connessione è ribadita esplicitamente da grammatici di epoca tarda (35), che oltre a definirlo come dio degli scambi commerciali ne riconducono il nome a vertundo, “commerciare”. Questa paretimologia rischia però di farci finire fuori strada. Altre dediche, come quella di Marruvium, sarebbero legate tra loro tramite gli itinerari della transumanza (36), per via di elementi figurativi a carattere pastorale o per la posizione di specifiche località: la Sorgente di Ortunno nella Marsica, luogo di raccolta delle greggi; eppure il dominio di Vertumno non è quello di Pales. Il suo accostamento a Pomona nei Fasti, la prescrizione dell’offerta di frutti e fiori, ribadita a più riprese nell’Elegia di Properzio (vv. 11-12, 17-18, 41-46) e da altri autori (37), potrebbero portarci a ritenerlo anche un dio della vegetazione, un equivalente di Libero/Bacco. Ma così non è. Anche il rimando all’autunno (ricordiamo che i Vertumnalia avevano luogo alle Idi di Agosto!) o ad un generico volgere delle stagioni risulta estremamente riduttivo o persino ingannevole; addirittura strampalati i tentativi di farne una divinità preposta al trionfo (38).

Ma Vertumno non è un emulo nè un paredro delle divinità testè citate, è semplicemente sé stesso: il dio preposto alla trasformazione; affibbiargli funzioni belliche (per via del rapporto con Voltumna/Veltune), mansioni idrauliche (a lui viene infatti ricondotta la deviazione del Tevere e la bonifica del Velabro, vv. 7-10 dell’Elegia) o funzione sul rigoglio vegetale significa misconoscere la sua natura e il linguaggio religioso romano in generale. Vertumno non ha nulla a che vedere con l’attività vegetativa linfatica, poiché essa è dominio di Flora e di Pomona: l’omaggio costituito da fiori e frutti costituiscono il semplice simbolo di un’avvenuta trasformazione (del seme prima e del fiore poi); egli interviene per favorire o per ostacolare il cambiamento, quale che sia (vedremo sotto). Vertumno presiede al passaggio da uno stato all’altro, sociale (e quindi anche al trionfo) o materiale che sia (il passaggio di un oggetto ad un altro oggetto o al denaro, che contraddistingue ogni transazione commerciale). E’ del tutto normale che una divinità intervenga nei più disparati ambiti in conformità alla sua specifica funzione: Marte ad esempio è invocato nel Carmen Lustrale (39) a tutela del campo coltivato non per sue ipotetiche vesti agrarie solo in relazione alla sua natura difensiva; Giove (40) è invocato dai Feziali non come divinità bellica ma unicamente in virtù della sua maestà sui giuramenti e sul rispetto dei trattati, la cui violazione porterà all’indizione della guerra.

Vertumno dunque non presiede agli ambiti ipotizzati, commercio o fertilità, più di quanto Marte faccia con l’agricoltura o Giove con la guerra: esso ha la facoltà di volgere per il bene o anche per il male, se debitamente spronato: un’espressione di malaugurio (41) conserva la radice del nome del dio. E’ infine Elio Donato, commentatore di Terenzio, a chiarire al di là di ogni ragionevole dubbio la natura del dio: “Tale potestà che le cose hanno di volgersi nell’uno o nell’altro senso, gli antichi pensavano che facesse capo al dio Vertumno” (42). Potrebbe non essere un caso, come scrive giustamente Laura Aresi (vedi nota 25), che uno dei pochissimi episodi a lieto fine di tutte le Metamorfosi sia proprio quello di Pomona e Vertumno: lui solo, non con la corruzione o con la minaccia, riesce a volgere i sentimenti della riottosa all’amore. Lui, il dio del vertere.

Adriano Mattia Cefis

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NOTE

1) Plauto, Aulularia 1: “Vorrete sapere chi sono. Perché nessuno rimanga con questa curiosità, ve lo spiegherò in due parole. Io sono il Lare domestico..” Vedi Maurizio Bettini, “Lar familiaris: un dio semplice” in Dèi e uomini nella Città.

2) Ovidio, Fasti I 90 e sgg: “Ma che dio dirò che tu sei, Giano Bifronte?” [..] “Non essere spaventato, laborioso cantore dei giorni, ascolta quello che vuoi sapere e tieni a mente le mie parole..”.

3) Per una disanima più completa vedasi Maurizio Bettini, Il dio elegante.

4) Dumezìl, La Religione Romana Arcaica, pag. 300: “Il suo nome, che sembra assolutamente latino, sta a uorti « volgersi, trasformarsi» come alumnus « lattante» sta ad ali « essere nutrito».” Giorgio Ferri, “Voltumna – Vortumnus” in  ον παν εφημερον. Scritti in memoria di Roberto Pretagostini II, pag 993-994: “L’accordo delle fonti viene meno già per quanto riguarda il nome: Vertumnus lo chiamano Properzio e Ovidio, Vortum-nus Varrone. L’oscillazione tra le due forme è diffusa e corrisponde a quella tra vortere e vertere. Anche l’etimologia è discussa. Lo Schulze ha ritenuto il nome etrusco, facendolo derivare dai gentilizi etruschi del tipo Veltymnus, Veldumniuse *Vertumna. Per un carattere «pro-tolatino» propende invece Giacomo Devoto. Questi distingue due gruppi di nomi: il primo, sicuramente indoeuropeo, è definito dal suffisso alternante morfologicamente del participio presente medio (-mno-, -meno-, -mono-), aggiunto a una radice verbale e preceduto dalla  vocale tematica e/o; ad esso apparterrebbe Vortumno. Il secondo invece, certamente non indoeuropeo, presenta un suffisso -mn- ag-giunto a radici nominali e con alternanze fonetiche; a differenza del-la vocale libera del primo, le parole di questo gruppo hanno sempre la vocale u davanti a -mn-, come Volumnia, Picumnus e infine Voltum-na, da considerarsi quindi esso solo come pienamente etrusco. Ancora, con l’accostare Vertumnus ad alumnus, la cui latinità è certa (da alere), Devoto rileva come nel primo nome vi sia stata un’identica formazione, in questo caso dalla radice verbale indoeuropea *wer-t-, «volgere»: il nome del dio sarebbe quindi entrato in etrusco nella fase antichissima del protolatino come attributo di una divinità connessa con il volgere dell’anno. Il Radke pensa invece a Vortumno come a «colui che porta o avvia il *vorta (compimento, esaudimento)» del rito, funzione che lo collegherebbe a Giano, nominato all’inizio di ogni sacrificio..”.

5) Varrone, De Lingua Latina V 10, 73: “E di sabino sanno le are che sono state dedicate a Roma per voto del re Tazio. Infatti, come si legge negli Annali, egli dedicò are a Vertumno [tra gli altri ndt]. Alcuni di questi nomi hanno le radici in ambedue le lingue, come alberi che sorti sul confine di due campi diffondono le loro propaggini nell’uno e nell’altro.”

6) Varrone, De Lingua Latina V 8, 46.

7) Altri esempi, certi, di evocatio son quelli di Iuno Regina dal dictator Marco Furio Camillo durante l’assedio di Veio e quello di Uni/Astarte adempiuto dal console Scipione Emiliano durante l’assedio di Cartagine. Per ulteriori informazioni, vedi (ARTICOLO EVOCATIO)

8) Metrodoro di Scepsi accusa i Romani di aver mosso guerra a Volsinii dietro falso pretesto, al fine di impadronirsi delle statue della città. Plinio, Naturalis Historia XXXIV 7 34: “..se Metrodoro di Scepsi, che ricavò il soprannome dall’odio del nome romano, non rinfacciasse che i Volsinii furono sconfitti a causa di duemila statue”. Metrodoro di Scepsi si era guadagnato il soprannome di misoròmaios, “Odiatore dei Romani”: consigliere di Mitridate VI, fu inviato a fomentare Tigrane II re d’Armenia Tigrane II contro Roma, riuscendo infine ad ottenere il giusto premio dei suoi sforzi venendo messo a morte da Mitridate stesso.

9) Festo, pag 228 (alla voce, PICTA): “..due quadri collocati nei templi di Vertumno e di Conso, rispettivamente ritraente uno M. Fulvio Flacco, l’altro T. Papirio Cursor, in trionfo e vestiti con la toga purpurea.Fasti Trionfali, AE 1930, 60 (CDXC):

M[ARCUS] FULVIUS Q[UINTI] F[ILIUS] M[ARCI] N[EPOS] FLACCUS AN[NO] CDXXCIX CO[N]S[UL] DE VULSINIENSIBUS K[ALENDIS] NOV[EMBRIBUS]

10) CIL IX 4192

VORTVMNO IN AVENTINO

11) CIL IX 2320

VORTVMNO IN AVENTINO

12) CIL IX 2380

VORTVMNO IN AVENTINO

13) CIL VI 803 e CIL VI 804:

  VORTVMNO                                        VORTVMNVS

     SACRVM                                           TEMPORIBVS

DIOCLETIANI ET

   MAXIMIANI

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14) CIL IX 327:

       VORTVMNO . SACRVM

   P. CVRTIVS .P. F. SALASSVS

      P. TITIVS. L. F. III/. VIR

DE . MVNERE. GLADIATORIO

           EX              S . C
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15) CIL X 129:

              CERERI

VERT[UMNO] SACR[O]

             BOVIA

           MAXIMA

          SACERDOS

          XV VIRAI[..]

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16) CIL V 7235, ILS 3590:

         GENIO

 MVNIC . SEGVS

EX . TESTAMENTO

  MINICIAE . P. F

       SABINAE

DE. PECVNIA . QVE

 SVPER . FVIT. OPE

  RIS . VERTVMNI

C . PINAR . TAVRVS

       HERES . F . C

Emanuela Murgia, Culti Romani e non-romani nella fase di romanizzazione dell’Italia nord-orientale: resistenze e sopravvivenze, strutture, rituali e funzioni, pag 124 e nota 518: “La devozione al Genius loci in generale è da interpretarsi in modo antitetico, ovvero da un lato come indicativa di una volontà politica di autonomia, dall’altro, come culto a forte connotazione ufficiale, incluso «nella fascia dei culti lealistici» [..] non è consequenziale desumere connotazioni epicorie o addirittura di rivendicazione di identità locale in una dichiarazione pubblica di ossequio della personificazione numinosa dell’istituto cittadino nella sua pienezza giuridico-operativa.

17) EDCS-32700031:

[..] VER[T]ONMO [..]

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18) CIL IX 5892:

                    VERTVMNO

(pila) V . AVGVSTO SACRVM . S (pila)

                   KARVS A[…]

                DISP[ENSATOR]

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19) CIL XI 4644a:

  VERTVNNO

TVM . SOLVIT

      VTVS

19) C. Letta, S. D’Amato, Epigrafia nella regione dei Marsi, pagina 105.

20) Si trova tra il fiume e la S.S. 83 al km 50,7. C. Letta, S. D’Amato, ibidem: “ogni eventuale dubbio sull’origine e sul significato di questo toponimo scompare se si pensa che poco oltre al km 52,5 esiste anche una Sorgente di Giove”.

21) AE 1928, 00190, EDCS-11201754

                         DEO

                  VERTUMNO

                        SIVE

                      PISINTO

                  C. FRUENDUS

V(OTUM) S(OLVIT) L(IBENS) M(ERITO)

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22) CIL III 14206, 10:

                        DEO VERTUMNO

                        DOMINO ARAM

                         EVOTAM ZIPAS

MARGULAS V[OTUM] S[OLVIT] L[IBENS] M[ERITO]

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23) Gromatici Veteres, pag. 350 (ed. Lachmann). Vegoia, figura divina della religione etrusca, avrebbe insegnato agli uomini la dottrina fulgurale, ossia l’interpretazione dei fulmini, redatti nei Libri Vegonici che dai lei prendevano il nome.

24) Livio, IV 23: “Dopo la presa di Fidene, l’Etruria viveva in stato d’allarme: infatti, in seguito a un tale massacro, erano terrorizzati non soltanto i Veienti, ma anche i Falisci, i quali, benchè non li avessero sostenuti quando avevano ripreso le ostilità, ricordavano di essere stati al loro fianco agli inizi della guerra. Così, quando questi due popoli inviarono ambasciatori alle dodici città confederate e ottennero che si convocasse un raduno di tutte le genti etrusche presso il tempio di Voltumna.” IV 25: “Nelle assemblee dei Volsci e degli Equi e in Etruria presso il tempio di Voltumna in Etruria si parlava di muovere guerra. Ma in quest’ultimo raduno si decise di rinviare le operazioni all’anno successivo e si stabilì, con un decreto, di evitare ogni assemblea prima di allora, benchè i Veienti si fossero lamentati sostenendo che sulla loro città incombeva la stessa sorte della distrutta Fidene.” IV 61: “Furono loro i primi ad assediare Veio. All’inizio di questo assedio gli Etruschi tennero un’affollata assemblea presso il tempio di Voltumna, ma non riuscirono a decidere se tutte le genti etrusche dovessero entrare in guerra accanto ai Veienti.V 17: “..le genti di ceppo etrusco si riunirono in assemblea plenaria presso il tempio di Voltumna. Durante la seduta, Falisci e Capenati proposero che tutti i popoli etruschi unissero forze e strategie per liberare Veio dall’assedio.VI 2: “Da una parte i Volsci, nemici di vecchia data, avevano infatti preso le armi determinati a cancellare dalla faccia della terra il nome di Roma. Dall’altra, stando a quanto riferivano certi mercanti, i capi di tutti i popoli dell’Etruria si erano riuniti presso il santuario di Voltumna e avevano stretto un patto di guerra..”

25) Le precedenti argomentazioni e questa connessione sono frutto del lavoro di diversi autori, sviluppate da Laura Aresi in “Vertumno e Giano tra Ovidio e Properzio”, in Saeculum Aureum (a cura di Igor Baglioni), Vol. II, pag. 247 sgg.

26) Varrone, De Lingua Latina V 7, 43: “..il suo nome antico sarebbe Adventino, detto così dall’adventus hominum (arrivo di gente).” Posto al di fuori del pomerium e a diretto contatto con il traffico fluviale, qui trovavano spazio i culti (come quello di Diana o di Giunone Regina) delle città straniere conquistate e i loro abitanti ivi deportati.

27) Cicerone, Verrine II 1, 154: “Chi ha percorso il cammino della statua di Vertumno al Circo Massimo senza che ogni passo gli richiamasse alla mente la tua avidità?

28) Varrone, De Lingua Latina V 8, 46: “Nella regione Suburrana il primo santuario è situato sul monte Celio, così chiamato da Cele Vibenna, famoso capo etrusco, che venne in aiuto di Romolo – come si dice – contro il re Tazio. Da qui dopo la morte di Cele la tradizione vuole che gli abitanti fossero fatti scendere in pianura, perché occupavano una posizione eccessivamente fortificata, epperò non erano immuni da sospetti. Da essi derivò il Vicus Tuscus e per questo lì era la statua del dio Vertumnus, perché – si dice – questa era la principale divinità etrusca.

29) Dionigi di Alicarnasso, Antichità Romane V 36: “..più ancora, sbandati, ridotti senz’arme né in grado di fuggire oltre a causa delle ferite, fuggirono nelle campagne nei pressi di Roma. I Romani allora li condussero in città nelle proprie case, trasportanto i più malconci a cavallo, su carri o cocchi: e ciascuno a proprie spese lì nutrì e curò, ristorandoli con sollecitudine molto affettuosa. Cosicchè molti di loro avvinti da tanta benevolenza desiderarono rimanere fra tali benefattori, senza tornarsene in patria; e perché vi  fabbricassero case il Senato assegnò loro la valle tra il Palatino ed il Campidoglio, lunga presso quattro stadi. Ancora oggi quell’area è detta etrusca, nella lingua dei Romani, e vi si passa venendo dal Foro al Circo Massimo.” Livio II, 14: “..pochissimi superstiti, privi del loro comandante e di un qualsiasi rifugio più vicino, si trascinarono fino a Roma, disarmati e nelle condizioni e nell’aspetto tipici dei supplici. Furono accolti benignamente e ospitati qua e là presso privati cittadini. Una volta rimessisi in sesto alcuni fecero ritorno a casa e riferirono dell’accoglienza fraterna ricevuta. Molti invece rimasero a Roma, per l’affetto che li legava alla città e ai loro ospiti. Il quartiere, che venne loro assegnato perchè vi abitassero, in seguito prese il nome di Vico Etrusco.”

30) Festo, pag. 271: [Vico Tusco]: “..tutti gli altri autori sostengono che a Roma è così detta quella parte della Città dove gli Etruschi rimasero allorquando Porsenna si ritirò levando l’assedio; altri che questo distretto deve il nome dal fatto che fosse abitato dai due fratelli Celes e Vibenna da Vulci, che il re Tarquinio [in realtà si tratta di Macstarna, Servio Tullio, ndt] ebbe piacere di condurre a Roma. E Varrone assicura che questo luogo fu così chiamato perché vi portarono gli abitanti del Monte Celio.”

31) CIL VI 9393:

post aedem CASTORIS . DECVRIO

INIANAE

nicePHOR . FABER. ARG

ad uoRTVMNVM

VIXIT . CVM . SVIS

32) Pseudo-Asconio, ad Cic. Verr. II 1, 154: “..il simulacro di Vertumno si trova alla fine del Vico Turario, all’angolo della Basilica, dove volge verso i Rostra..”. Porfirione, Scholia ad Horatii Epistulas I 20: “..aveva il suo tempietto nel Vico Turario”. Da notare che il grammatico usa l’espressione sacellum, “tempietto” appunto.

33) Orazio, Epistule I, 20: “Libro mio, mi sembra che guardi a Giano e Vertumno, s’intende, per metterti in mostra lisciato dai fratelli Sosi”.

34) Plauto, Curculio 482: “..nel Vicus Tuscus ci sono gli uomini che si vendono da soli, o quelli che si mutano o danno agli altri l’opportunità di mutarsi.”

35) Porfirione, Scholia ad Horatii Epistulas I 20: “Vertumno è il dio che presiede alle cose da scambiare, ossia da comprare e da vendere.” Pseudo-Asconio, ad Cic. Verr. II 1, 154: “Vertumno è il dio di ciò che viene scambiato, cioè del commercio.”

36) C. Letta, S. D’Amato, Epigrafia nella regione dei Marsi, pagina 105: “Interessante anche la rappresentazione schematica degli animali nella nostra base [quella di Marruvium, ndt] , che ricorda analoghi rilievi pastorali nel museo civico di Sulmona e nel museo provinciale di Lucera”. Oltre a loro, anche in Marcella Chelotti, Marina Silvestrini e Vincenza Morizio in Le Epigrafi Romane di Canosa, pag. 10.  Nella dedica di Potenza è scolpita una protome di capro; inoltre essa è stata trovata insieme a bassorilievi rappresentanti una cerva e una vacca che allatta.

37) Columella X 308: “Or voi, contadini, che i teneri fiori con dita incallite cogliete, riempite di azzurri giacinti il piccolo paniere intessuto di vimine bianco, e fasci di floride rose distendano i giunchi intrecciati dei cesti, si rompa portando infinite calendule smaglianti il vostro canestro. Vortumno di primaverili ricchezze più ricco si senta, e tornando dalla città con passo ondeggiante, ubriaco per molto vino,  il villano felice riporti la veste gonfia di soldi..

38) Secondo Coarelli, Foro Boario pag. 424, Vertumnus deriverebbe da vertere annus, il che lo legherebbe al volgere delle stagioni. Secondo Paolo Galiano e Massimo Vigna, Il Tempo di Roma, pag 278-284, la posizione della statua lungo il percorso della via triumphalis e un ipotetico legame con Fortuna lo renderebbero dio del trionfo.

39) Catone, De agri cultura, 141, 2-3.

40) Vedi, tra gli altri, Livio, Ab Urbe Condita I 32, 5-14: “Il feziale allorchè giunge nel territorio dei nemici, ai quali si chiedo nono riparazioni, con il capo cinto da un filo, ossia da una benda di lana, esclama «Ascolta, Giove, ascoltate terre – e qui pronuncia il nome del popolo cui appartengono quelle terre – ascolti la giustizia divina: io sono un pubblico inviato del popolo romano, inviato secondo la legge umana e in pace con gli dèi, vengo, e sia prestata fede alle mie parole». Quindi espone le sue domande, poi chiama Giove in testimonio: «Se io, contro la legge umana e in ira con gli dèi, richiedo che mi siano consegnati quegli uomini e quei beni, allora non lasciarmi più vivere nella mia patria.»”

41) Terenzio, Adelphoe II 1, 37: “..quae res tibi vertat male”, Orazio, Satire II 7: “..era nato sotto il malefico influsso dei Vertumni, tutti quanti sono.

42) Donato, Commentarius in Terentii comoedia, Adelphoe 191: “Ha nome Vertumno il dio che presiede alle cose che prendono la piega che si desidera. Spesso infatti va a finir male ciò che si credeva bene, ed questo ciò che si dice volgersi in male.”ed ibidem 728: “..in tutte le cose che accadono secondo il nostro desiderio, si suole dire che gli dèi lo volgano al bene, perché spesso capita agli uomini che le cose vadano in modo diverso da come avevano desiderato. Tale potestà che le cose hanno di volgersi nell’uno o nell’altro senso, gli antichi pensavano che facesse capo al dio Vertumno.”

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