Sacre leggi

Annunci

<Vi sono determinate espressioni legali, Quinto, non così antiquate come nelle vecchie XII tavole e nelle leggi sacrate, e pur tuttavia un po’ più arcaicizzanti di questa nostra conversazione, tali da assumere una maggiore autorità. E, se mi sarà possibile, cercherò di accompagnare questo stile con la brevità. Infatti non riporterò delle leggi complete – cosa che andrebbe per le lunghe -, ma solo il sommario ed il contenuto dei vari paragrafi.

“Si accostino castamente agli dèi, facciano uso della pietà, allontanino lo sfarzo. Se qualcuno agisse in maniera diversa, dio stesso lo punirà. – Nessuno abbia dèi particolari, né nuovi né forestieri, se non pubblicamente riconosciuti; in privato coltivino i [culti che ricevettero ] secondo il rito dei loro padri. – Vi siano templi [nelle città]; vi siano boschi sacri nelle campagne e sedi dei Lari. – Conservino i riti della famiglia e dei padri. – Onorino gli dèi, sia quelli da sempre ritenuti celesti, sia quelli che i loro meriti abbiano posti in cielo, Ercole, Libero, Esculapio, Castoro, Polluce, Quirino, cosi quelle Virtù, per cui è concesso all’uomo l’ascesa al cielo, Mente, Valore, Pietà filiale, Fede, e di queste virtù vi siano templi, nemmeno un’ombra dei vizi . – Celebrino solenni sacrifici. – Dalle feste tengano lontani i litigi, e le osservino per i servi, una volta terminate i lavori, e sia stabilito in modo che ciò cada negli intervalli dell’anno. Determinati frutti e determinate messi, i sacerdoti le offrano pubblicamente. Questo sia compiuto in sacrifici e giorni fissati; e parimenti riservino ad altri giorni una quantità di latte e di animali appena nati; perché ciò non possa essere trascurato, i sacerdoti determinino norma e annue ricorrenze; e provvedano quelle vittime che siano a ogni dio belle e gradite. – Vi sia per ogni dio un sacerdote, per tutti il pontefice, ai singoli i flamini. E le vergini Vestali nella città custodiscano il fuoco perenne del focolare pubblico. – In quale modo e secondo quale rito questo si faccia in pubblico ed in privato, lo apprendano i profani dai pubblici sacerdoti. Di questi, tre siano i tipi, uno che presieda le cerimonie ed i sacrifici, l’altro interpreti le oscure risposte degli indovini e dei vati, che saranno approvate dal senato e dal popolo; inoltre gli interpreti di Giove Ottimo Massimo, i pubblici àuguri, facciano previsioni dai presagi e dagli auspici, osservino la regola, i sacerdoti, facciano pronostici per i vigneti, i vincheti e la salute del popolo, e quelli che si occuperanno di duelli o deliberazioni per il popolo, consultino gli auspici e li osservino. Prevedano le ire degli dèi e obbediscano, e distinguano le folgori, determinate le regioni del cielo; tengano purificati e consacrati la città, le campagne, i templi. Tutto ciò che l’augure avrà dichiarato iniquo, nefasto, irrituale, di cattivo augurio, sia privo di effetto e come non fatto; e chi non l’osservi, a morte sia condannato.  Della ratifica degli atti di pace, di guerra, di tregua siano i feziali giudici, messaggeri, discutano della guerra. -Riferiscano i prodigi, i portenti ad aruspici etruschi, se il senato lo comandò, e l’Etruria ammaestri nella disciplina gli ottimati. Agli dèi cui sia stato attribuito per decreto, facciano sacrifici ed i medesimi facciano espiazioni delle folgori e delle cose folgorate. – Non vi siano riti notturni di donne, salvo quelli che legalmente si faranno secondo decreto del popolo; né inizino alcuno secondo il rito greco, se non a Cerere, come consentito dall’usanza. Un sacrilegio commesso che non potrà essere espiato, sia come una empietà commessa; quello che potrà essere espiato, lo espiino i pubblici sacerdoti. – Nei pubblici giochi, ove avvengano, sia con corse, sia con gare ginniche, moderino la popolare letizia nel canto e nelle cetre e nei flauti, e questa uniscano alle onoranze agli dèi. – Dei patrii riti coltivino gli ottimi. – Eccetto i servi della madre Idea, e questi in giorni fissati per legge, nessuno faccia collette. -Chi ruberà o rapirà cosa sacra o consacrata, sia parricida. – Dello spergiuro pena divina sia la morte, quella umana l’infamia. – I pontefici puniscano con la pena massima l’incesto. – L’empio non osi placare l’ira divina con doni. – Vi sia cautela nel fare voti; vi sia una pena per un diritto violato. Perciò nessuno consacri campagne. Vi sia un limite nel consacrare oro, argento, avorio. – I riti privati siano perpetui. – Inviolabili siano i diritti degli dèi Mani. Considerino dèi i buoni deceduti; per essi siano ridotti la spesa ed il lutto.>

Cicerone, De Legibus, II, 7.18-22

 

 

traduzione: Vittorio Todisco

Sul merito della gloria

Annunci

<Ho detto poco prima che, delle tre condizioni necessarie al conseguimento della gloria, la terza si adempie quando gli uomini, professandoci la loro ammirazione, ci stiamo degni dei più alti onori.
Ebbene, gli uomini ammirano generalmente tutte quelle qualità che ai loro occhi appaiono grandi e straordinarie. Ma riservano la loro particolare ammirazione a quelle buone qualità che, inaspettate ed insospettate, si rivelano nelle singole persone.
Pertanto, essi, guardano riverenti ed innalzano al cielo quegli uomini nei quali credono di scorgere certe eminenti e singolari virtù, e guardano invece dall’alto in basso e disprezzano coloro nei quali, secondo la loro opinione, non c’è ombra né di valore, né di coraggio, né di energia.
Perché essi non disprezzano già tutti coloro dei quali hanno cattiva opinione.
Infatti quelli che, a loro giudizio, sono malvagi, malefici, fraudolenti, e pronti a fare oltraggio, essi non li disprezzano affatto, eppure ne hanno cattiva opinione.
Perciò, come ho detto ora, sono oggetto di disprezzo soltanto coloro che, come si sul dire, non sono buoni “né per sé né per gli altri”, coloro, cioè, che non hanno nessun amore al lavoro, nessuna attività operosa, nessun interesse per nulla.
Sono invece grandemente ammirati quelli che, nel comune giudizio, vanno innanzi agli altri per valore e che sono puri e privi d’ogni bruttura morale, come anche di quelle debolezze alle quali gli altri uomini non sanno facilmente resistere.
In verità, i piaceri, lusinghieri tiranni, distolgono e sviano dalla virtù l’animo della maggioranza; e quando avanzano le fiaccole del dolore, i più si sgomentano oltre misura; la vita e la morte, le ricchezze e la povertà turbano profondamente tutti gli uomini.
Ma quando si vede che alcuni, dotati di animo nobile e grande, e se si offre loro qualche onorevole e gloriosa impresa, a quella si volgono e si consacrano con tutto l’ardore, chi, allora, non ammira lo splendore e la bellezza della virtù?>

Cicerone, de officis, II,10

SACRI ALBERI E CULTI MASCHILI

Annunci

Se nel precedente articolo abbiamo parlato di alcuni alberi connessi alla femminilità, qui passeremo invece in rassegna alcuni di quelli maschili.

Partiamo da quelli che, per la dirittura del loro tronco, si collegano direttamente alla virilità, ossia le conifere. Si tratta di una presenza piuttosto insolita nel Lazio (1), relitto di epoche precedenti e più fresche: in epoca arcaica, a causa del cambiamento del clima, alle conifere erano già da tempo subentrate le latifoglie (faggi e querce, soprattutto). I culti legati a questi alberi, specie al pino (il cui nome deriva Continua la lettura di SACRI ALBERI E CULTI MASCHILI

Virtù e poteri del numero 7

Annunci

<Marco Varrone, nel primo dei libri intitolati “Hebdomades vel de imaginibus” espone le molte e varie virtù e poteri del numero sette, detto in greco hebdomás.
Egli dice “questo numero forma in cielo i due Settentrioni [altri nome delle Orse/Carri n.d.r.], maggiore e minore, nonché le Vergile dette “Pleiadi” dai Greci; forma inoltre le stelle che alcuni chiamano “erranti”, che Nigido Figulo chiama “vagabonde””.
Egli dice poi che sette sono anche i cerchi ne cielo intorno alla lunghezza dell’asse: di essi i due più piccoli che toccano le estremità dell’asse dice che si chiamano “poli” ma per la loro piccolezza non sono compresi nella sfera c.d. “armillare” [sfera tolemaica che rappresenta le orbite delle stelle n.d.r.]. Nemmeno allo zodiaco manca il numero sette: si ha il solstizio estivo nel settimo segno a partire dall’invernale, e si ha il solstizio invernale nel settimo a partire dall’estivo. E ancora sette segni separano gli equinozi [dice “sette” e non “sei” per via del computo romano inclusivo n.d.r.].
Dice poi che sette sono anche i giorni durante i quali gli alcioni fanno il nido sull’acqua in inverno. Scrive inoltre che il corso della luna si compie quattro volte sette giorni interi: “infatti al ventottesimo giorno la Luna ritorna nel medesimo punto da cui è partita”, e come fonte di questa teoria cita Aristide [Aristarco] di Samo.
A riguardo fa osservare che i giorni del ciclo lunare sono quattro volte sette, cioè ventotto, ma che il numero sette se, partito dall’ultimo, somma tutti i numeri che percorre nella sua progressione verso se stesso, e infine aggiunge se stesso, fa il totale di ventotto, quanto sono i giorni del ciclo lunare.

Dice poi che la virtù di questo numero raggiunge e riguarda anche la nascita umana: “il seme, una volta immesso nell’utero, nei primi sette giorni s’agglomera e si coagula e diventa adatto a ricevere figura. Poi nella quarta settimana, prendono forma: ciò che è destinato ad essere maschio, la testa, la spina dorsale. Di norma alla settima settimana, cioé il quarantanovesimo giorno, l’intera persona nell’utero è compita”.
Varrone riferisce un’altra virtù di questo numero: il primo del settimo mese non può nascere felicemente e secondo natura, né maschio né femmina, e chi è dentro l’utero nei termini regolari nasce 273 giorni dopo il concepimento, all’inizio della quarantesima settimana. Anche i momenti pericolosi per la vita ed i beni degli uomini (climaterici nel linguaggio dei Caldei [astrologi n.d.r.]), egli afferma che i più gravi capitano ogni sette anni. Oltre a ciò, dice che la misura massima nella crescita di un uomo è di sette piedi (207cm), e ciò riteniamo che sia più esatto della leggenda ascoltata da quel raccontatore di favole che è Erodoto, nel primo libro delle Storie: che il corpo disseppellito di Oreste risultò lungo sette cubiti, vale a dire dodici piedi e un quarto [362cm, la sepoltura ritrovata più alta dell’evo antico è datata al IIIsec. dc ed è di un uomo alto 202cm]. A meno che, come pensava Omero, i corpi degli uomini antichi siano stati di proporzioni gigantesche e ora, col mondo che invecchia, gli uomini e le cose rimpiccioliscano.
Anche i denti, afferma, spuntano nei primi sette mesi, e sette per ciascuna arcata; cadono a sette anni, ed i molari nascono generalmente quando gli anni sono due volte sette [probabilmente si riferisce ai denti del giudizio n.d.r.].
Anche le vene degli uomini, o meglio le arterie, egli osserva, secondo i medici musicisti [chi praticava la musicoterapia in antichità n.d.r.] sono ritmate dal numero sette: essi parlano di “accordo di quarta”, che si realizza nel rapporto di quattro a tre.
Varrone ritiene che anche le fasi acute delle malattie si sviluppano com maggiore gravità nei giorni determinati dal numero sette: e particolarmente risultano “critici”, come dicono i medici, i giorni che compiono la prima settimana, la seconda o la terza. A sottolineare le virtù ed i poteri di tale numero egli cita anche il fatto che chi ha deciso di morire d’inedia, muore proprio il settimo giorno.
Questo ha scritto Varrone, con molta accuratezza, sul numero sette. Però nel medesimo scritto egli accumula anche delle osservazioni insignificanti: per esempio che sono sette le meraviglie del mondo, sette gli antichi sapienti, sette i giri di pista tadizionali nel circo, sette i comandanti scelti per l’assedio di Tebe. Aggiunge poi che anche lui personalmente era entrato nel dodicesimo settennio di vita e fino a quel giorno aveva scritto settanta volte volte sette libri: un bel numero, dei quali, con la proscrizione subita [a causa di Marco Antonio n.d.r.] ed il saccheggio delle sue biblioteche, non erano più accessibili.>

AULO GELLIO III,10

Interessante è stato poi scoprire lo studio dello psicologo Miller intitolato “Il magico sette, più o meno due” che fu molto importante nella ricerca sulla memoria a breve termine, e che il corpo sostituisca interamente le proprie cellule (comprese quelle ossee) ogni sette anni circa.
Non mi sento di citare la settimana, per via della sua tarda introduzione, infatti nonostante l’imposizione da parte di Costantino del festeggiamento del solis dies quale dominicia, nei Fasti la settimana compare conteggiata come lettera (e non come giorni) solo a partire dalla metà del IVsec dc. Non solo, il collegamento tra i pianeti ed i giorni compare non prima della tavola nundinale datata al Isec dc, messa in paragone ai giorni di mercato in varie città dell’Italia.
Al contrario, invece, i pianeti conosciuti in antichità nel sistema solare erano sette (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno), ed è sulla base di questi che Tolomeo ideò le ore magiche (sulla base degli omonimi giorni) che arriveranno poi a Roma (pur non entrando mai nei calendari ufficiali).

In fine mi sento in obbligo ad aggiungere: i sette Colli ed i sette Re di Roma.

Emanuele Viotti

La fine del Paganesimo nell’Impero Romano

Annunci

Segue il testo utilizzato come base per la conferenza del 24/02/2019.
A differenza delle dispense fornite durante la conferenza questo testo è privato delle pagine dedicate alla definizione di “pagano” ed altri termini, dell’elenco di leggi ed atti a danno dei pagani a partire dal 313dc, e di una raccolta di Leggi antipagane e citazioni di autori cristiani dell’epoca.
La versione integrale può essere scaricata dal nostro shop.
Buona lettura.

Questo articolo non intende fomentare l’odio verso la religiosità cristiana, bensì intende narrare gli eventi per come sono accaduti, andando alla ricerca anche delle cause prime della caduta del politeismo romano.
Essendo un percorso complesso, con delle forti particolarità regionali, cerchiamo di concentrarci per lo più sul fenomeno nel suo complesso, facendo delle necessarie semplificazioni e trattando soprattutto del Culto Pubblico nell’Impero Romano.
Continua la lettura di La fine del Paganesimo nell’Impero Romano