Archivi categoria: citazioni

Preghiera per la fondazione di Roma

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<Assistetemi, o Giove, nel fondare la città,

e tu padre Mavors* e tu Vesta madre.

Volgete a me la mente voi tutti, o dei, cui è pio rivolgere

l’invocazione! La mia opera sorga con il vostro auspicio.

Duri a lungo la sua potenza sul mondo conquistato,

e siano a lei sottomessi l’Oriente e l’Occidente>

 

<condenti, Iuppiter, urbem 

et genitor Mavors* Vestaque mater, ades; 

quosque pium est adhibere deos, advertite cuncti.

Auspicibus vobis hoc mihi surgat opus. 

Longa sit huic aetas domitaeque potentia terrae, 

sitque sub hac oriens occiduusque dies>

Romolo alla fondazione di Roma, (citato in Ovidio, Fasti IV, 827)

*Mavors è un’antica divinità italica legata alla vegetazione e alla guerra, forse è il risultato di un nome composto dal latino arcaico vert (volgere) e magh(e)s (combattere, battaglia) quindi “colui che volge le sorti della battaglia” probabilmente secondariamente assimilato a Mamers e quindi a Marte. [J.P. Mallorys, Douglas Q. Adams, Encyclopedia of Indo-European Culture 1997 pag 630]

Anaciclosi di Polibio e Cicerone

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<4[11] Il necessario ciclo delle costituzioni appare vero a chiunque consideri l’archè (inizio), la genesi (formazione), la metabole (mutamento) di ogni forma di costituzione, che avvengono secondo natura.

[12] Solo chi ha compreso l’origine delle costituzioni potrà comprender quando, come e dove avverrà DI NUOVO la crescita [auxesis], l’acme, la metabole e la fine [telos] di ogni costituzione.1

[13] Ho ritenuto che il metodo espositivo trascelto sia soprattutto adatto allo studio della costituzione romana: ché la sua prima origine, come poi il suo sviluppo e la sua crescita, furono dovuti esclusivamente a cause naturali. Continua la lettura di Anaciclosi di Polibio e Cicerone

Sul merito della gloria

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<Ho detto poco prima che, delle tre condizioni necessarie al conseguimento della gloria, la terza si adempie quando gli uomini, professandoci la loro ammirazione, ci stiamo degni dei più alti onori.
Ebbene, gli uomini ammirano generalmente tutte quelle qualità che ai loro occhi appaiono grandi e straordinarie. Ma riservano la loro particolare ammirazione a quelle buone qualità che, inaspettate ed insospettate, si rivelano nelle singole persone.
Pertanto, essi, guardano riverenti ed innalzano al cielo quegli uomini nei quali credono di scorgere certe eminenti e singolari virtù, e guardano invece dall’alto in basso e disprezzano coloro nei quali, secondo la loro opinione, non c’è ombra né di valore, né di coraggio, né di energia.
Perché essi non disprezzano già tutti coloro dei quali hanno cattiva opinione.
Infatti quelli che, a loro giudizio, sono malvagi, malefici, fraudolenti, e pronti a fare oltraggio, essi non li disprezzano affatto, eppure ne hanno cattiva opinione.
Perciò, come ho detto ora, sono oggetto di disprezzo soltanto coloro che, come si sul dire, non sono buoni “né per sé né per gli altri”, coloro, cioè, che non hanno nessun amore al lavoro, nessuna attività operosa, nessun interesse per nulla.
Sono invece grandemente ammirati quelli che, nel comune giudizio, vanno innanzi agli altri per valore e che sono puri e privi d’ogni bruttura morale, come anche di quelle debolezze alle quali gli altri uomini non sanno facilmente resistere.
In verità, i piaceri, lusinghieri tiranni, distolgono e sviano dalla virtù l’animo della maggioranza; e quando avanzano le fiaccole del dolore, i più si sgomentano oltre misura; la vita e la morte, le ricchezze e la povertà turbano profondamente tutti gli uomini.
Ma quando si vede che alcuni, dotati di animo nobile e grande, e se si offre loro qualche onorevole e gloriosa impresa, a quella si volgono e si consacrano con tutto l’ardore, chi, allora, non ammira lo splendore e la bellezza della virtù?>

Cicerone, de officis, II,10

Lettera di nomina dell’ultimo Console di Roma

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<Re Alarico a Decio Paolino, Uomo Chiarissimo e Console (533dc)

Gli assenti dalla nostra Corte non hanno bisogno di temere di essere trascurati nella distribuzione degli onori, specialmente quando nascono da una stirpe illustre, come la progenie del Senato. Nella tua famiglia, Roma riconosce i discendenti dei suoi antichi eroi, i Decii, i quali, in una grande crisi, hanno salvato il loro paese da soli.

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M. Decio discorso contro Coriolano

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<Poiché, oh popolo, i patrizi hanno assoluto Marcio dalle parole dette in Senato, e dai fatti violenti e superbi che le seguirono: nè vi hanno lasciato mezzi con cui accusarlo; udite, non le parole, no, ma l’egregia cosa che questo valentuomo vi preparava; uditene l’orgoglio , il carattere soverchiante, e conoscete qual vostra legge egli, privatissimo uomo, violasse.

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Il giuramento di Lucio Giunio Bruto

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<Bruto, mentre essi erano in preda al cordoglio, brandendo innanzi a sé il coltello grondante di sangue che aveva estratto dalla ferita di Lucrezia, esclamò

“Per questo sangue, purissimo prima del regio oltraggio, io giuro, e chiamo voi a testimoni, o Dèi, che da questo istante perseguiterò Lucio Tarquinio Superbo, Continua la lettura di Il giuramento di Lucio Giunio Bruto

Discorso di Gneo Manlio Vulsone

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Discorso di Gneo Manlio Vulsone ai suoi uomini

<Non mi sfugge, soldati, che i Galli eccellono in fama bellica su tutti i popoli che abitano l’Asia(1). Una nazione feroce, che ha vagato in guerra per quasi tutto il mondo, ha fissato la sua dimora tra una delle stirpi di uomini mitissima. Continua la lettura di Discorso di Gneo Manlio Vulsone

Decio Mure ed i plebei al pontificato

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Molti mi chiedono perché pur definendomi un tradizionalista romano non condivido una certa visione di “aristocrazia dello spirito” né strutture “occulte” o eccessivamente chiuse, ebbene per come la vedo io è necessario affidarsi a quanto trasmettono i nostri antenati e al loro costume (il mos maiorum) e tra i moltissimi esempi che esistono un buon riassunto è concentrato in questo discorso fatto da Pubblio Decio Mure “figlio” in occasione della discussione della Lex Ogulnia del 300ac.
Durante la solita disquisizione se era lecito o meno aprire il pontificato e il collegio degli auguri ai plebei Livio riporta quando in suo favore disse Decio:

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Patri de liberis consulatus imposuit

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<[…] conspectius eo quod poenae capiendae ministerium patri de liberis consulatus imposuit, et qui spectator erat amouendus, eum ipsum fortuna exactorem supplicii dedit. Stabant deligati ad palum nobilissimi iuuenes; sed a ceteris, uelut ab ignotis capitibus, consulis liberi omnium in se auerterant oculos, miserebatque non poenae magis homines quam sceleris quo poenam meriti essent: illos eo potissimum anno patriam liberatam, patrem liberatorem, consulatum ortum ex domo Iunia, patres, plebem, quidquid deorum hominumque Romanorum esset, induxisse in animum ut superbo quondam regi, tum infesto exsuli proderent. Consules in sedem processere suam, missique lictores ad sumendum supplicium. Nudatos uirgis caedunt securique feriunt, cum inter omne tempus pater uoltusque et os eius spectaculo esset, eminente animo patrio inter publicae poenae ministerium.>

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Per tali uomini non vi era fatica

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<Poi, quando il potere regio, sorto in principio per conservare la libertà e ingrandire la Cosa Pubblica, degenerò in una superba tirannide, mutarono sistema di governo, si diedero due capi che avessero potere annuale: in questo modo pensavano che l’animo umano non potesse più insolentire senza freni. Continua la lettura di Per tali uomini non vi era fatica