La dea Flora

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Il profumo soave, stucchevole o inebriante effuso da un prato variopinto, che apre il cuore dell’uomo alla bellezza e concilia la sua anima al divino. Ma anche il brusio della spiga di grano nel meriggio d’Estate, con i suoi aurei granelli che, insieme al grappolo verdastro della vite, costituiscono la base della vita umana. Tutto ciò rientra nel dominio di Flora. Divinità italica arcaica venerata dai Sabini ed altri popoli Sabellici, l’importanza del suo culto presso i Romani, la cui introduzione si riconduce a Tito Tazio (1) o poco dopo (2), è comprovata dal sacerdozio riservatole: il Flamen Floralis, uno dei dodici flamini minori (3), attestato oltre che dai passi di alcuni scrittori in almeno un’iscrizione (4). Come per la maggior parte dei suoi colleghi, non sappiamo nulla sul ruolo svolto da questo flamine benchè, tuttavia, si possa ragionevolmente ritenere che esso si occupasse di amministrare il culto della dea (5), in relazione soprattutto alle sue festività (su cui si tornerà in seguito). Il suo primo luogo di culto, che la tradizione attribuisce a Tito Tazio, dovette essere un’ara in seguito monumentalizzata, situata sulle pendici nord-occidentali del Quirinale (poco sopra l’attuale Via della Panetteria, nell’angolo Ovest del palazzo presidenziale), in prossimità del Capitolium Vetus (6) e del Tempio di Quirino.

Tra questo e quello di Flora si trovavano le botteghe per la lavorazione del minio (7), e lì vicino abitò Marziale (8). Più conosciuta è invece l’Aedes di Flora alle estreme pendici Nord dell’Aventino verso il Foro Boario, prossima ai carceres del Circo Massimo. Questo tempio, in stile corinzio (9), era in stretta connessione con quello di Cerere, Libero e Libera. Venne inaugurato tra il 240 e il 238 a.e.v, nel 28 Aprile (10), dagli edili Marco e Lucio Publicio Malleolo (11), con i proventi delle ammende inflitte a quei possidenti che avevano occupato suolo pubblico, e restaurato più volte, da Tiberio (12) a Quinto Simmaco (13), sul finire del IV secolo.

Numerosi furono i tentativi di farne una divinità straniera (14) già a partire dal nome: Ovidio, in un gioco di assonanza, associa Flora a Chloris (da Kloros “verde”), ninfa inseguita, posseduta e fecondata da Zefiro (15), conosciuto dai Romani con il nome di Favonio, il vento fecondatore per eccellenza, poiché legato alla Primavera (16).

Altri la associarono alla cerchia di Venere (17), forse in virtù del fatto che Thalia, una delle Grazie del corteggio di Afrodite, è dai poeti descritta recante fiori. Eppure tale connotazione “ornamentale”, per quanto presente (18), non oscurò mai la sua potestà su qualsiasi processo di fioritura; non solo fiori e piante ornamentali, ma anche quelle edibili: frumento, vite, legumi, ogni pianta da frutto (19). Flora è una divinità che presiede al ciclo agrario, e come tale veniva invocata e venerata dagli agricoltori, anteposta con altre divinità agresti ai Dii Consentes, le divinità “maggiori” dello Stato (20). A differenza degli autori bucolici il contadino italico, per quello spirito prettamente pratico, non invocava le Muse o Apollo ma Flora, Robigus, Lympha, Bonus Eventus, Liber Pater, Ceres. Senza alcuna celebrazione poetica, tali numi ignoti al Mito e alla Poesia venivano indigitati, con altri Dèi rustici, da coloro che maneggiavano ogni giorno la terra e vivevano di essa.

 

E ad essi si rivolgevano i magistrati, per il benessere dello Stato. La vicinanza del Tempio aventino di Flora a quello Cerere, Libero e Libera non è solo topografica: la dedica, parallelamente all’istituzione dei Ludi Florales, venne infatti eseguita nel 240-238 a.e.v. dietro consultazione dei Libri Sibillini, in seguito ad una carestia (vedi nota 10); ciò è confermato dai Fasti Praenestini (21). Questa festività, dapprima episodica (ad intervalli fissi o variabili), dopo un’ulteriore carestia acquistò la definitiva cadenza annuale nel 173 a.e.v. (22), a carico di edili e pretori. Ogni anno Flora veniva placata (23) dal 28 Aprile al 3 Maggio con vivaci spettacoli teatrali, particolarmente licenziosi e sfrenati (24): le persone si cingevano di fiori e vestivano abiti variopinti, danzando ed assistendo alle rappresentazioni mimiche offerte da attori e prostitute; non mancavano numeri insoliti e ricercati, come quelli offerti dagli elefanti funamboli (25). Si inseguivano con le reti alcuni animali innocui, come caprioli e lepri. Il vino scorreva a fiumi, e i festeggiamenti si protraevano fino a tarda notte, con largo utilizzo di fiaccole, dove gli istinti si scatenavano (26). Tutto ciò era perfettamente lecito e persino il Censore per antonomasia, Marco Porcio Catone, scelse di lasciare i Ludi per non turbare, con la sua presenza, il consueto svolgimento della festa (27).

Contro questa manifestazione dei piaceri e della gioia di vivere, non potevano non scagliarsi le polemiche dei cristiani. Nei loro attacchi al paganesimo, essi cercarono di dimostrare come Flora fosse una meretrice, che con i proventi della sua impudicizia riuscì a comprarsi il titolo di divinità (28), confondendo la sua figura con quella di Acca Larenzia. E’ questa una divinità connessa all’abbondanza, nutrice di Romolo e Remo e Madre dei Lari, con funzioni e competenze ben diverse da quelle di Flora. Flora del resto, come Tedia, Cluvia, e Catulla, fu un nome abbastanza comune per le etere; una Flora fu infatti la celebre cortigiana di Pompeo (29). Le Floralia presentano diversi tratti in comune con le festività di Cerere e Cibele, sia per quanto riguarda le venationes sia per le rappresentazioni sceniche che vi avevano luogo (30). E Flora, anche per il carattere “plebeo” del culto, venne non di rado accostata a Cerere. Tuttavia, benché spesso si abbia l’impressione che la sfera di competenza di un dio coincida con quella di un altro, bisogna tenere presente che ogni vis numenque è unica e a sé stante: non ci son “doppioni”.

 

Si possono tutt’al più riscontrare molteplicità di nomi attribuibili alla stessa divinità: una sorta di stratigrafia divina, nomi aggiuntisi con il trascorrere delle epoche e dei contatti con culture diverse. E divinità diverse possono spartirsi lo stesso ambito, magari anche molto ristretto, ma con diverse funzionalità. I frutti sono il risultato della stagione dei fiori, così come l’uva e il grano e le olive: ecco dunque che il lavoro di Flora è condizione necessaria affinchè le fruges di Ceres non siano cresciute e innalzate dal terreno invano, e affinchè il ruolo di Pomona possa esplicarsi. Che, a sua volta, è fondamentale affinchè riconsegni il seme nel grembo di Tellus, la terra (31).

Questa staffetta fondamentale alla vita del pianeta ci viene restituita, in modo quasi fotografico, dai Sanniti: è la cosiddetta Tabula Agnonensis (32), una tavola in bronzo del III secolo a.e.v. scritta, sui due lati, in lingua Osca (forse la più importante testimonianza in questa lingua). Fu rinvenuta con il chiodo per l’affissione ancora conficcato in una pietra, presumibilmente all’ingresso dell’orto sacro a Cerere citato nella prima parte del documento: “Hùrtin Kerriìn”. Si tratta di una serie di prescrizioni relative alle finalità d’uso di questo luogo sacro: chi vi è ammesso e da chi viene amministrato, l’inventario delle proprietà del santuario e a chi son dedicati i recinti sacri presenti al su interno. Sono infatti quindici, ciascuno riservato ad una specifica divinità legata al ciclo agricolo e pastorale, titolari di culti in giorni prestabiliti nel corso dell’anno. Passaggi stagionali, germogliazione e maturazione del seme, fruttificazione, approvvigionamento idrico dalla rugiada alle sorgenti: nessun aspetto è tralasciato, ciascuno assegnato ad un Nume. E la metà di essi, compresa Flora, è accompagnata dall’epiteto “Cererio”, poiché la loro azione si svolge sotto il magistero di Cerere, a cui è dedicata l’area.

Flora, Fluusaì Kerrìiaì, veniva onorata in uno spazio al di fuori del recinto sacro, benché fosse collegato direttamente ad esso: qui, durante delle festività della durata di quattro giorni chiamate Flusasia (che è l’equivalente osco delle latine Floralia), si sacrificava a Flusa e ad altre tre divinità. Il fatto che si trovi al di fuori dell’area sacra sembra costituire un’ulteriore prova dell’indipendenza di Flora da Cerere (33). Ulteriori festività alla dea si svolgevano presso altre popolazioni: da due iscrizioni, dalla Sabina e dai Vestini, si evince come un mese dell’anno fosse dedicato proprio a Flora/Flusa: rispettivamente, mesene flusore (34) e mense flusare (35). La seconda iscrizione, in particolare, si riferisce alla dedica nel 58 a.e.v. di un tempio a Giove Libero avviene tre giorni prima delle Idi di Quintilis,

il quinto mese del Calendario romano (partendo da Marzo). Il mese di Flusa potrebbe dunque coincidere con quello di Luglio, benché la questione resti dibattuta (36).

 

A conferma della vitalità del culto, le Floralia erano largamente celebrate durante l’Impero: sia nei municipi, come a Pesaro (37) sia nelle province, come a Cirta, nell’Africa numida (38). In generale, il suo culto è attestato dall’Africa alla Germania Superior, a Mogontiacum (39), in Istria nelle Isole Brioni (40). In Italia ebbe particolare fortuna a Pompei, con diverse iscrizioni sia in latino che in lingua osca (41), e nel resto dell’Italia centrale: in area sabellica (come abbiamo visto), in Umbria a Mevania e a Villa S. Silvestro (42), in Lucania a Bantia (43). Tornando a Roma, al di là delle Floralia abbiamo notizia di due ulteriori festività dedicate a Flora: la prima è il Florifertum (44), un rito consistente nel portare e offrire spighe in fiore al santuario della dea (presumibilmente quello sul Viminale, considerata l’arcaicità del rito).

La seconda è una festa attestata sul Menologium Rusticum Colotianum (45), calendario agricolo del I secolo; a Maggio, dopo i Mercuralia alle Idi, è presente Flora. Non può riferirsi ai Floralia, poiché la discrasia è troppo ampia: questa celebrazione aveva luogo nella seconda metà del mese; tuttavia essa può corrispondere al Florifertum (ammesso che tale rito si riferisca a Flora, poiché non abbiamo abbastanza elementi 46). Questo rito potrebbe essere quello “originario”, antecedente all’istituzione dei Ludi Florales del 240-238 a.e.v. Il fatto che non appaia su altri calendari potrebbe dipendere dal fatto che, come i Pomonalia, anche questa poteva trattarsi di una festa conceptiva, ossia mobile, stabilita di anno in anno e determinata dalla progressione delle culture (dipendente da svariati fattori quali le condizioni climatiche e del terreno). Infine, oltre al Flamen Floralis già citato, alla dea sacrificavano occasionalmente i Fratelli Arvali, nell’ambito di cerimonie espiatorie necessarie per la manutenzione straordinaria del bosco sacro; insieme a tutta una serie di altre divinità, a Flora son destinate due pecore (47).

 

Quello di Flora fu quindi un culto estremamente longevo, nonché fortunato: ancora nel VI secolo il suo nome sarà intimamente ricondotto a quello di Roma stessa. Senza entrare nel merito della questione, su cui si tornerà eventualmente in un secondo tempo, ogni città ha tre nomi; uno politico, “profano”, uno segreto (che come tale deve rimanere segreto, affinchè i nemici non possano servirsene per minacciare la città) e uno sacrale (48). Se Roma è il nome profano dell’Urbe, una tarda speculazione voleva che il nome sacrale fosse quello di Flora o Florens (49). A dispetto di ciò, le uniche immagini certe che abbiamo della dea sono due monete, un denario del 57-52 e uno del 41 a.e.v; dubbia invece è l’attribuzione della “Flora Farnese”.

 

Attraversando l’intera storia di Roma pressoché inalterato, il culto di Flora giunse fino alla fine della religione statale: al fine di sopperire ad una tragica carestia, alle soglie del V secolo, si restaurò il tempio aventino della dea; misura questa che non mancò di causare le ire dei cristiani (nota 13). E mentre la fame e la miseria seminata dai seguaci del dio unico serpeggiava, il grande Quinto Aurelio Simmaco, Praefectus Urbis, esponente del Senato e campione della sua componente gentilizia, rintracciò con lucidità le cause alla base di quella rovina. Un brano che merita d’essere letto per esteso (50). L’empietà giudaico-cristiana, alla fine, riuscì ad ottenere quello che si proponeva. Drammatico fu il crollo, incalcolabile la perdita. Eppure, malgrado ciò, l’immagine di Flora ricomparve prepotentemente con Botticelli: non è un caso che il manifesto di quest’epoca, il Rinascimento dopo un inverno della cultura e dello spirito durato un millennio, sia rappresentato proprio dalla Primavera. “Potranno recidere tutti i fiori, ma non potranno fermare la Primavera”: lei, Mater Florum, è ancora qui, e noi insieme a lei.

 

Adriano Mattia Cefis

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                        NOTE

1) Varrone, De l.l. V 10, 74: “E di sabino sanno le are che sono state dedicate a Roma per voto del re Tazio. Infatti, come si legge negli Annali, egli dedicò are a Opi, a Flora [..] Alcuni di questi nomi hanno le radici in ambedue le lingue, come alberi che sorti sul confine di due campi diffondono le loro propaggini nell’uno e nell’altro. Può infatti Saturno esser da noi chiamato così per ragioni diverse che in Sabina, e così Diana, di cui abbiamo fatto cenno sopra”.

2) Ps. Cipriano, Quod Idola 4: “Tazio concepì e adorò Cloacina; Ostilio [introdusse] Pavor e Pallor; qualcuno di loro deificò anche Febris [..] presumibilmente anche Acca Larenzia e Flora, prostitute perse per la vergogna, potrebbero annoversarsi tra le malattie – e gli dèi- di Roma”.

3) Varrone, De l.l. VII 45: “Ennio dice che Numa Pompilio istituì anche i Flamini, ciascuno dei quali indicato con un nome desunto da una particolare divinità. Ora in alcuni è evidente l’etimo di questo nome; è evidente per esempio perché uno sia chiamato Marziale e un altro Quirinale. Ma vi sono altri nomi di flamini la cui etimologia è ignota, come la maggior parte di quelli contenuti nei seguenti versi: «questo stesso istituì il flamine Volturnale, il Palatuale, il Furrinale, il Florale, il Falacre e il Pomonale».” Ennio, Annales II 68: “Egli medesimo [Numa] istituì il flamine Vulturnale, il Palatuale, il Furinale e il Florale, il Falacre e il Pomonale”.

4) L’iscrizione proviene da Teanum Apulum. CIL IX 705: “POMPONIAE/ C. F. DRUSILLA[E]/ M. NUMISIUS/ M. F. M. N. COR(NELIA)/ QUINTIANUS/ LAURENS LAVINAS/ FLAMEN FLORALIS/ PATRONUS MUNIC(IPI)/ CO(N)IUGI RARISSIMAE/ L.D.D.D”.

5) Varrone, De l.l. V 84: “I Flamini ebbero questo nome, cioè di Filamines poiché nel Lazio avevano sempre il capo velato e cinto da un cordone [filum]. Ognuno di essi ha un soprannome, desunto dal dio al cui culto sono addetti”.

6) Oltre che nei passi delle note a seguire, la posizione del luogo di culto si deduce dai Cataloghi Regionari della VI Regiones, che seguono l’ordine topografico: “Templum Salutis et Serapis, Floram, Capitolium antiquum..”. Sulla localizzazione del Tempio, vedi Filippo Coarelli, Lexicon Topographicum Urbis Romae II, pag. 255. Varrone, De l.l. V 32, 158: “Il Clivus vicinissimo al Tempio di Flora sale verso il Campidoglio Vecchio, così chiamato perché qui v’è un tempietto consacrato a Giove, Giunone e Minerva, che è più antico del tempio costruito sul Campidoglio”.

7) Vitruvio, De Architectura VII 4: “A Roma se ne occupano degli appaltatori che hanno le botteghe nella zona compresa tra il tempio di Flora e quello di Quirino”.

8) Marziale V 22: “Ma io abito vicino alla colonna di Tivoli, là dove il rustico tempio di Flora guarda l’antico tempio di Giove”.

9) Vitruvio, De Architectura I 3: “A Venere, Flora e Proserpina e alle Ninfe delle fonti, proprio per il loro morbido aspetto, potranno sembrare più adatte delle costruzioni in stile corinzio poiché gli ornamenti delicati e i motivi floreali a volute di questi edifici sembrano accentuare la grazia di tali divinità”.

10) Velleio Patercolo, Historiae I 14, 8: “All’inizio della prima guerra punica [264 a.e.v] furono occupate da coloni Firmum e Castrum, dopo un anno Aesernia, dopo diciassette Aesulum ed Alsium, dopo due Fregenae, e l’anno successivo Brundisium, consoli Torquato e Sempronio; poi, a distanza di tre anni, contemporaneamente all’istituzione dei giochi Florali..Plinio XVIII 286: “Pertanto gli antichi, nel 516esimo anno di Roma [238 a.e.v], seguendo gli oracoli della Sibilla, il quarto giorno prima delle stesse Calende [28 Aprile] istituirono i Floralia, perché tutte le piante potessero avere una buona fioritura [..] Pertanto se il plenilunio cade in questi quattro giorni, i cereali e tutto quel che si troverà in fiore ne verranno necessariamente danneggiati”. Questi magistrati edificarono anche la strada che conduceva alla sommità dell’Aventino, e che portava il loro nome. Varrone, De l.l. V 158: “Clivus Publicius deriva dai Publicii, edili della plebe, che lo costruirono a spese pubbliche”.

11) Ovidio, Fasti V 276: «Spiegami, dea», risposi, «qual è l’origine dei giochi». Avevo appena formulato la domanda, e lei subito rispose: «Non erano ancora in auge altre forme di lusso: chi era ricco lo era o per il bestiame o per la quantità di terra, da qui viene il nome del possidente

[locuples da locus, “terra”, e plenus, “pieno”]

, da qui quello dello stesso denaro [pecunia da pecus, “bestiame”]. Ma già c’era chi si arricchiva illecitamente: era invalso l’uso di pascolare nei terreni demaniali e per molto tempo lo si fece legalmente, senza che ciò venisse punito. Il popolo non aveva nessuno che tutelasse il bene comune e il pascolare nei propri terreni era considerato ormai un comportamento da inetti. L’abuso venne infine denunciato agli Edili della Plebe, i Publici: in precedenza la gente aveva paura. Il popolo si fece allora carico della questione: ai colpevoli venne inflitta un’ammenda e chi aveva difeso l’interesse pubblico ebbe un elogio. A me venne riservata una parte dell’ammenda e con il consenso generale i vincitori istituirono dei nuovi giochi. Un’altra parte fu spesa per il colle, che a quei tempi era una rupe scoscesa: ora c’è un vantaggioso passaggio che è chiamato Publicio».” Festo [PUBLICUS CLIVUS]: “Il Clivus Publicius prese il nome da due fratelli, L. e M. Publicius Malleolus, edili curuli i quali, con il denaro che avevano ottenuto dalle multe comminate agli allevatori abusivi di bestiame, fecero lavori su questo pendio, in modo che la Velia potesse congiungersi al monte Aventino”.

12) Tacito, Annales II 49: “Negli stessi anni [Tiberio] consacrò alcuni templi deteriorati dal fuoco o dagli anni, già iniziati da Augusto, che li aveva dedicati agli dèi Libero e Libera, poi uno a Cerere presso il Circo Massimo, votato dal dittatore A. Postumio, e nello stesso luogo il tempio di Flora, edificato dagli edili Lucio e Marco Publicio”. L’incendio di cui si parla potrebbe essere questo: Cassio Dione L 10, 3: “Il fuoco consumò considerevole porzione del Circo stesso, insieme al tempio di Cerere, un altro sacrario dedicato a Spes e un largo numero di altre strutture”.

13) Anonimo, Carmen Contra Paganos 111113: “La sola, tuttavia, a godere del tuo consolato è la meretrice Flora, turpe genitrice dei ludi, e magistra di Venere, a cui il tuo erede Simmaco ha da poco dedicato un tempio”.

14) Ausonio, Egloghe III 23: “Aggiungerò anche i culti e le cerimonie di divinità straniere, come l’anniversario d’Ercole, il vascello di Iside, i gioiosi «Florali», che si celebrano nel teatro con spettacoli licenziosi, ai quali si assiste con la pretesa di non aver voluto assistervi?”.

15) Ovidio, Fasti V 193: “La dea rispose così alla domanda (e mentre parlava la sua bocca esalava profumo di rose primaverili): «Prima di essere Flora, il mio nome era Cloride: la lettera greca del mio nome è stata alterata dalla pronuncia latina. Ero Cloride, ninfa di quei luoghi felici che appartennero, come avrai sentito, agli uomini fortunati di un tempo. La modestia non mi consente di dirti quale fosse la mia bellezza. Essa, comunque, procurò a mia madre, quale genero, un dio. Era Primavera ed io passeggiavo. Mi vide Zefiro: cercai di allontanarmi, mi seguì, fuggii, ma lui era più forte. Borea aveva concesso al fratello piena libertà di rapina, lui che aveva osato rapire la preda nella casa di Eretteo. Egli riparò tuttavia alla violenza recata prendendomi in moglie, ed io non ho avuto mai da lamentarmi del mio letto nuziale. Godo di un’eterna Primavera, il mio anno è perennemente in fiore, gli alberi sono sempre pieni di foglie, i pascoli coperti di erba. Fra i campi che ho avuto in dote c’è un fertile giardino, lambito dal vento e solcato da una sorgente di limpida acqua. Mio marito lo riempì copiosamente di fiori e mi disse: ‘tu sarai, dea, la signora dei fiori’..” Marziale X 92: “..e il bosco di lauro della gentile Flora, che qui ha trovato rifugio inseguita da Priapo”. Su Thalia, vedi tra gli altri Esiodo, Teogonia 907: “Ed a lui [Zeus] Eurinome, la figlia di Oceano dal seducente aspetto, generò le tre Grazie dalle belle guance, Aglaia [Venustà] ed Eufrosine [Gioia] e l’amabile Talia [Floridezza]; di sotto le loro ciglia stillava l’amore che scioglie le membra, quando esse guardavano: sì bello è lo sguardo che filtra di sotto le loro ciglia!”

16) Vedi, tra gli altri, Orazio, Odi I 4: “Col dolce arrivo della Primavera e del Favonio, si dissolve l’aspro Inverno, e scivolano sui rulli le navi che erano all’asciutto. Oramai non è gradita la stalla al bestiame, né il focolare al bifolco; né più biancheggiano i prati di candide brine. Già Venere, la dea di Citera, guida le danze al lume della luna e le Grazie leggiadre, traendo per mano le Ninfe, battoo con piede alterno la terra; mentre Vulcano rosso in volto sorveglia le faticose officine dei Ciclopi. Ora conviene intrecciare capelli profumati col verde mirto o con i fiori nati sulle zolle sciolte dal gelo”. III 7: “..e gli zeffiri, messaggeri del bel tempo”. Varrone, De re rustica I 24: “Nessun altro campo è buono per piantarci l’olivo se non quello esposto al vento Favonio e volto al Sole”. 28: “Se si rapportano queste cifre al nostro calendario civile attualmente in vigore, la Primavera ha inizio il 7 febbraio, l’Estate il 9 maggio, l’Autunno l’11 agosto, l’Inverno il 10 novembre. Se si dividono i tempi più minutamente, si debbono fare alcune osservazioni in proposito, e ne vengono distinti otto: il primo va dal levarsi del vento Favonio all’Equinozio di Primavera: durata 45 giorni”. 29: “Queste son le cose che si debbono fare nel primo periodo, tra il levarsi del Favonio e l’equinozio di Primavera: bisogna seminare ogni sorta di semenza, potar gli alberi, concimare i prati..”. Nelle Metamorfosi di Apuleio, Zefiro viene addirittura posto a servizio di Amore. V 6: “Tu [Amore] hai Zefiro che ti serve”. 7: [Psiche] chiamò allora Zefiro e gli comunicò l’ordine del marito. E in un momento, eseguendo docilmente il comando, quello portò giù le sorelle pari pari, su una lieve auretta di vento..” 8: “..chiamò quindi Zefiro e gliele affidò perché se le portasse via senz’altro”. 13: “Soltanto devi ancora una volta ordinare al nostro Zefiro che si metta a mia disposizione e fare che al posto della tua sacrosanta immagine, a me negata, mi sia almeno concesso di rivedere le sorelle..” 14: “Ma Zefiro si ricordò a tempo dell’ordine del suo signore e, seppur di mala voglia, accoltele in grembo ad una brezza che stava soffiando, le depose al piano”. 26: “Così dicendo diede ordine a Zefiro che con un buffo d’aria mi portasse lungi dalla sua casa”.

17) Lucrezio, De Rerum Natura 737: “Venere è la Primavera, la quale si lascia precedere dall’alato amorino mentre, spingendo lo Zefiro, Flora madre comune schiude il grande portone dietro al quale ha diffuso profumi e colori soavi”.

18) Ovidio, Fasti V 213: “Più volte ho cercato di contare e classificare i loro colori, ma non ci sono riuscita: sono più numerosi di qualsiasi conteggio. Non appena le foglie si sono liberate dall’umidità della brina e le variopinte corolle sono state riscaldate dai raggi del Sole, arrivano tutte insieme le Ore, coperte da abiti colorati, e raccolgono i miei doni nei loro leggeri canestri. Poi vengono le Cariti [le Grazie], e intrecciano ghirlande e corone con cui cingere le loro divine capigliature. Fui io la prima a spargere nuovi semi nel vasto mondo abitato: in precedenza la terra era di un solo colore. Per prima trasformai in fiore il sangue del Terapneo [Giacinto], e sui suoi petali è scritto tuttora il suo lamento. Nei giardini curati si conserva anche il tuo nome, Narciso, disperato per essere un altro senza essere un altro. E che dire di Croco, di Attis

[dal cui sangue nacquero violette]

e del figlio di Cinira [il cui sangue si trasformò in anemone]? Dalle loro ferite scaturì, grazie a me, la bellezza”. Nemesiano, Ecloghe I 64-69: “L’Apollo agreste coglie l’alloro e offre doni di fragranti foglie. I Fauni offrono, ciascuno secondo il suo potere, grappoli d’uva dalla vite, fusti di raccolto dai campi e frutti da ogni albero. Pales d’onorata tradizione offre ciotole di latte schiumoso; le Ninfe recano il miele, Flora offre corone di varia tonalità..”

19) Ovidio, Fasti V 260: “Ma credi forse che il mio regno sia fatto solo di ghirlande di teneri fiori? Il mio divino potere interessa anche le campagne. Se sarà fiorito il frumento, l’aia sarà ricca; se sarà fiorita la vite, ci sarà il vino; se sarà fiorito l’olivo, quella sarà un’annata brillante. I frutti sono il risultato della stagione dei fiori. Se i fiori vengono meno, non ci saranno né vecce né fave e le tue lenticchie, Nilo che scorri in un paese lontano, moriranno. Anche il vino fiorisce, quando è riposto con attenzione nelle grandi cantine e nel tino la colmatura si copre di schiuma. Anche il miele è un mio dono: le api che forniscono il miele sono io ad attirarle verso le viole, i citisi e il bianco timo”.

20) Varrone, De re rustica I 1, 4: “Orbene io scriverò tre libri a guisa di prontuario, a cui potrai ricorrere ogni volta che cercherai di sapere tutto quello che ti convenga fare nella coltivazione. E poiché – come si dice – gli dèi aiutano coloro che ad essi si rivolgono, prima invocherò i loro nomi. Ma non già, come Omero ed Ennio, invocherò le Muse, sibbene i dodici Dèi Consenti; e non quelli che si onorano in città, i cui simulacri dorati sorgono presso il Foro, sei maschi e sei femmine, ma quei dodici Dèi che costituiscono la principale guida degli agricoltori. Innanzi tutto invocherò Giove e la Terra, nelle cui mani sta in cielo e in terra ogni frutto dell’agricoltura; pertanto, poiché queste due divinità si chiamano i Grandi Genitori, Giove è chiamato il Padre, la Terra la Madre. In secondo luogo invocherò il Sole e la Luna, le fasi della cui rotazione si osservano quando si semina e quando si raccoglie. In terzo luogo invocherò Cerere e Bacco, poiché i loro frutti sono indispensabili alla vita; infatti per opera di questi dèi il fondo produce cibo e bevanda. In quarto luogo invocherò le dèe Ruggine e Flora, poiché col loro patrocinio non si guastano né biade né alberi, ma fioriscono a loro tempo; pertanto in onore della dèa Ruggine furono istituite pubbliche feste, i Robigalia, e in onore di Flora i giochi detti Floralia. Parimenti vennero Minerva e Venere: la prima, protettrice degli oliveti; l’altra, degli orti. In suo onore furono istituite le feste rustiche dette Vinalia. Né mancherò di pregare anche Linfa e Buon Evento, perché senza acqua ogni genere di coltura diviene arida e povera; senza un buon successo e una felice riuscita, non v’è coltura, ma solo delusione. Invocate, dunque, queste divinità con tutta la venerazione”. Agostino, De civ. d. I 27: “Cicerone, uomo autorevole e mediocre filosofo, quando stava per divenire edile, informa la cittadinanza che fra le altre mansioni del suo incarico v’era anche quella di placare con la celebrazione di spettacoli Flora dea madre. E questi spettacoli di solito si celebravano con riti altrettanto religiosi che osceni”. 8: “Ma per individui i quali amavano la ressa di dèi non bastò che l’anima sventurata, sdegnando il casto abbraccio del Dio vero, si prostituisse con una folla di demoni. Misero dunque Proserpina a sorvegliare i frumenti in germoglio, il dio Noduto le giunture e nodi degli steli, la dea Volutina l’involucro dei gusci, la dea Patelana i gusci che si aprono per far uscire la spiga, la dea Ostilina le messi quando si adeguano alle spighe nuove, giacché invece di “adeguare” gli antichi hanno usato la parola “ostire”, la dea Flora i frumenti quando sono in fiore, il dio Latturno quando sono lattescenti, la dea Matuta quando maturano, la dea Roncina quando sono tagliati con la ronca cioè sono mietuti. Non continuo perché m’infastidisce che non si vergognino”.

21) Fasti Praenestini: “..eodem dies aedis Florae, quae rebus florescendis praeest, dedicata est propter sterilitatem fru[g]um”.

22) Ovidio, Fasti V 295: “Pensavo che in questa occasione fossero stati istituiti dei Ludi annuali, ma lei rispose di no e riprese a parlare dicendo: «Anche a noi sono graditi gli onori, ci piace essere oggetto di feste e di sacrifici, anche noi, Dèi del Cielo, siamo gente ambiziosa. Accade spesso che qualcuno, peccando, si attiri l’inimicizia degli Dèi, ma per espiare il delitto è sufficiente un sacrificio. Ho visto più volte Giove, mentre si apprestava a scagliare i suoi fulmini, trattenere la sua mano di fronte ad un’offerta di incenso. Ma se veniamo trascurati, l’offesa viene pagata a caro prezzo e la nostra collera non conosce misura [..] Sarebbe troppo lungo ricordare tutti i casi in cui la negligenza vene punita con il castigo. Anch’io fui trascurata dai senatori di Roma. Che dovevo fare per rendere manifesto il mio disappunto? Quale punizione dovevo infliggere per l’affronto recatomi? In preda al dispiacere, trascurai i miei compiti: non mi occupavo più dei campi, non mi interessavo più alla fertilità dei giardini. I gigli morivano, avresti potuto vedere appassire le viole, illanguidire i filamenti dello zafferano color arancione. Spesso Zefiro mi diceva: non guastare tu stessa i tuoi beni dotali, ma non mi importava più dei miei beni. Gli olivi fiorivano, ma un vento nefasto li rovinava. Il frumento fioriva, ma sul frumento si abbatteva la grandine. La vite faceva bene sperare, ma l’Austro oscurava il Cielo e i tralci erano travolti dalla pioggia improvvisa. Non volevo che tutto questo accadesse, la mia non è una rabbia crudele, non mi curavo però di evitare quei danni. I senatori si radunarono e stabilirono che, se ci fosse stata fioritura ogni anno, la festa in mio onore si sarebbe tenuta annualmente. Accettai il voto, il console Lenate e il collega Postumio mantennero la promessa ed istituirono i Ludi».”

23) Cicerone, In Verrem II 5, 36: “Ora io sono eletto edile: considero il compito impostomi dal popolo romano. So che son tenuto a far celebrare con grandissime cerimonie i santissimi giochi a Cerere, a Libero e a Libera; con la celebrazione dei giochi placare la madre Flora al popolo e alla plebe romana..”

24) Marziale I: “Se c’è tuttavia qualcuno tanto affettatamente pudibondo, da pensare che non sia lecito usare lo schietto linguaggio latino in nessuna pagina, costui può ritenersi soddisfatto di questa lettera, o meglio della sua intestazione. Gli epigrammi sono scritti per coloro che sogliono assistere alle feste Floreali. Non entri Catone nel mio teatro, o, se vi è entrato, si limiti a guardare. Credo di esercitare un mio diritto, se chiudo questa lettera con dei versi: Siccome conoscevi i riti cari alla scherzosa Flora e gli allegri sollazzi e la sfrenatezza della plebe, perché, o severo Catone, sei venuto nel mio teatro? O forse eri venuto solo per questo, cioè per uscirne?35: “Chi oserebbe vestire la festa di Flora e attribuire a una meretrice il pudore di una matrona?VIII 67: “..l’arena stanca le fiere nei giuochi Floreali”. Giovenale, Saturae XIV 262: “Puoi davvero lasciar perdere tutti i sipari di Flora, Cibele e di Cerere tanto sono di svago migliore le vicende di questa terra”. Elio Lampridio, Antoninus Heliogabalus 6, 5: “Aveva poi una violenta passione per Ierocle, tanto da arrivare a baciarlo nell’inguine – roba che fa vergogna anche solo a dirla – affermando che così lui celebrava i riti della dea Flora”.

25) Svetonio, Galba 6: “In qualità di pretore, incaricato di organizzare i Ludi di Flora, presentò un nuovo genere di spettacolo: elefanti funamboli”.

26) Ovidio, Fasti V 332: “Stavo per chiedere perché in questi Ludi ci sia maggiore licenza e si facciano battute lascive, ma mi ricordai che questa non è una dea austera, e che i doni di questa divinità sono adatti anche ai piaceri. Ci si cinge completamente le tempie con corone intrecciate mentre la splendida tavola è tutta coperta di rose. Il commensale, con i capelli legati da fili di tiglio, è ubriaco: danza, e non sa di danzare in preda agli effetti del vino. L’innamorato, con i suoi capelli profumati cinti da una leggera corona, canta ubriaco davanti alla porta sbarrata della sua bella. Non ci si corona la fronte per trattare questioni serie, né le ghirlande di fiori si addicono a coloro che bevono acqua schietta. Finchè tu non venisti mescolato, Acheloo [dio fluviale, qui nell’accezione dell’acqua], con il succo dei grappoli, non ci si abbelliva raccogliendo le rose. Bacco ama  fiori: e quanto a Bacco piacque una corona lo puoi apprendere dalla Costellazione di Arianna. Alla dea si addicono rappresentazioni leggere: lei non è, credetemi, una di quelle dee che indossano il coturno [il calzare tipico degli attori tragici, in opposizione al mimo, genere teatrale proprio dei Floralia]. Non è poi difficile spiegare il motivo per cui a questi giochi partecipano in massa le cortigiane. Lei non è una dea seriosa né di quelle che hanno grandi pretese: la propria feste la vuole aperta alla gente plebea, ci invita a godere la vita nel fiore degli anni e ci ricorda che le spine vengono disprezzare quanto le rose appassiscono. Ma per quale motivo, mentre nel corso delle feste di Cerere si usano vesti di colore bianco, questa dea indossa invece vestiti multicolori? Forse perché le messi diventano bianche quando le spighe son mature, mentre le varie specie di fiori hanno colori diversi? Lei annuì e muovendo la testa caddero fiori dai suoi capelli, come quando facciamo cadere le rose sulla mensa imbandita. Restavano le fiaccole, delle quali mi era ancora oscura la ragione, ma la dea chiarì in questo modo tutti i miei dubbi: «Le fiaccole sono sembrate adatte alla mia ricorrenza, o perché i campi risplendono di fiori di colore rosso, o perché né i fiori né le fiamme hanno colori sbiaditi, e con la loro luce attirano invece a sé gli sguardi, o perché sono adatte ai piaceri notturni che la mia festa consente: ed è quest’ultima la spiegazione più vicina al vero. «Se me lo consenti», dissi, «c’è ancora una breve domanda che volevo rivolgerti». Lei rispose: «Te lo consento». «Perché nei Ludi in tuo onore si cacciano con le reti innocui caprioli e paurose lepri, e non invece leonesse della Libia?» Rispose che a lei non appartenevano le foreste bensì i giardini e i campi, dove non possono entrare le bestie feroci”.

27) Seneca, Epistulae 97, 8: “Questo avvenne negli anni di Pompeo e Cesare, di Cicerone e Catone, proprio di quel Catone sotto la cui magistratura il popolo non osò chiedere che si celebrassero le feste in onore della dea Flora, in cui apparivano prostitute nude, se credi che allora ci fosse più severità negli spettacoli che nei processi”. Valerio Massimo, Della Maestà 8: “Poiché lo stesso Catone assisteva allo svolgersi dei ludi Florali organizzati dall’edile Messio, il popolo si vergognò di chiedere che le mime si denudassero. Venutone a conoscenza tramite il suo amico Favonio che gli sedeva accanto, si allontanò dal teatro per non ostacolare con la sua presenza lo svolgimento del consueto spettacolo”.

28) Arnobio, Adversus Nationes III 23, 3: “La meretrice Flora, venerata in lascive esibizioni, scruta bene che i campi fioriscano; e perché i boccioli e le piante teneri si annidano e vengono distrutti dal gelo più nocivo?Lattanzio, Divinae Institutiones I 20: “Flora, avendo ottenuto grandi ricchezze con questa pratica [la prostituzione], fece del popolo il suo erede e lasciò una somma fissa di denaro, dai proventi annui dei quali veniva celebrato il suo compleanno con giochi pubblici, chiamati Floralia. E poiché ciò appariva vergognoso al Senato, affinchè una sorta di dignità potesse conferirsi ad una questione simile, essi stabilirono che un argomento dovesse essere preso dal nome stesso. E dunque finsero che lei fosse la dea che presiede ai fiori, che deve essere placata, che i raccolti insieme agli alberi e alle vigne possano produrre una buona ed abbondante infiorescenza. Il poeta [Ovidio] seguì questa idea nei suoi Fasti, e riferì che c’era una ninfa, per nulla oscura, che si chiamava Clori e che, nel suo matrimonio con Zefiro, ricevette dal marito come regalo di nozze la potestà su tutti i fiori [..] Quando la verità è in discussione, i travestimenti di questo tipo dovrebbero ingannarci? Quei giochi, quindi, sono celebrati con ogni sorta di sfrenatezza, com’è adatto al ricordo di una prostituta. Perché oltre alla licenziosità delle parole, in cui si riversa tutta la lascivia, anche le donne vengono spogliate delle loro vesti dietro richiesta del popolo, e poi si esibiscono nello spettacolo dei mimi, e si mostrano agli occhi del popolo con gesti indecenti, persino alla sazietà degli occhi impuri”.

29) Giovenale, Saturae. II 47: “D’accordo van tra di loro i viziosi ma, nel nostro sesso, mai troverai un esempio così detestabile. Tedia non lecca Cluvia né Flora Catulla”. Plutarco, Pompeo 5: “Si racconta che l’etera Flora, ormai vecchia, ricordasse sempre volentieri la relazione che c’era stata fra lei e Pompeo e dicesse che non era possibile, dopo essere stata a letto con lui, allontanarsene senza rimpianto”. Giovenale, Saturae VI 249: “..eseguono con precisione ciascuno dei movimenti prescritti, ben degne di figurare nei giochi di Flora, tra le fanfare”.

30) Tertulliano, De Spectaculis VI: “I Megalensi, gli Apollinari, i Cereali, i Neptunali, i Laziali, i Floreali si celebravano pubblicamente ciascun anno”.

31) Su Pomona è già stato dedicato un articolo, presente su Ad Maiora. Un successivo e più esaustivo lavoro sarà dedicato alle divinità dell’agricoltura.

32) Vedi, tra gli altri, Filippo Coarelli e Adriano La Regina: https://web.archive.org/web/20170702120145/http://www.sanniti.info/smagnon.html

33) La questione, già rimarcata da Giacomo Devoto, è efficacemente trattata da Lorenzo Fabbri in Mater Florum, pp. 189-191.

34) Da Scoppito (AQ), nel territorio dell’antica Foruli (Vetter 1953): http://www.museonazionaleabruzzo.beniculturali.it/index.php?it/23/opere/328/mesene-flusare

35) Proveniente da Furfo, nel comune di Barisciano (CIL IX 3513). Anch’essa in provincia dell’Aquila: https://droitromain.univ-grenoble-alpes.fr/Negotia/Furfensibus_CIL.htm

36) Vedi Lorenzo Fabbri, ibid. pp. 94-100.

37) CIL XI 6357: “T(ITO) ANCHARIO T(ITI) F(ILIO) PAL(ATINA) PRISCO / AEDIL(I) QUAEST(ORI) ALIMENTORUM / HUIC PRIMO ILVIR(O) BIGA POSITA / OB EXIMIAS LIBERALITATES ET / ABUNDANTISSIMAS IN EXEMPLUM LARGITIONES / ET QUOD EX INDULGENTIA AUG(USTI) OCTIES / SPECTACULUM GLADIAOR(IUM) EDIDERIT / AMPLIUS LUDOS FLORALES / OB HAEC MERITA PLEBS URBANA / CUIUS DEDICATIONE / T(ITUS) ANCHARIUS PRISCIANUS FILIUS / AEDILIS QUAESTOR ADSEDENTE / PATRE GLADIATORUM PARIA DECEM AD[I]ECTA / VENATIONE LEGITIMA EDIDIT / L(OCUS) D(ATUS) D(ECRETO) D(ECURIONUM)”.

38) CIL VIII 6958: “[PAL]LADI SACRUM / [QUA]DRATUS BAEBIANUS / [V]INDEX AEDIL(IS) QUAEST(OR) ILVIR / [PRAET(ECTUS) I(URE) D(ICUNDO) COL(ONIARUM) RUSICADENSIS CHULLITANAE / ILVIR Q(UIN)Q(UENNALIS) PRAETER DIEM LUDORUM FLORARIUM / [QU]OS ILVIR SUA PECUNIA FECIT / [ET] QUOD QUINQUENNAL(IS) PUBLICUM / [I]TEM(?) TUMULTI GAETULORUM / LI FRATRIS SUI CENTURI[O] / [ONIS P]ATRIS SUI EIUSDEM VOLUNTAT/[E] REI PUBLICAE INLATIS H[ONORARIIS SUMMIS CUM AD OPUS] NOVUM HS C MIL(IA) N[UMMUM PRO]MIS[ISSIT] / [CUM SIMULA]CRO SUA PECUNIA FECI[T]”.

39) CIL XIII 6673: “[…..] [FL]OR(A)E SACR/[U]M G[AIUS] SEXTIUS / [F]ELIX IN SUO / […..] L(IBENS) L(AETUS) M(ERITO)”.

40) AE 1983 425: “FLOR(A)E / AUG(USTAE) / M(ARCUS) AURE(LIUS) / IUSTUS / V(IVUS) L(IBENS) S(OLVIT) V(OTUM) / L(AEUTS) […..] F[ECIT]”.

41) Vetter 21: “FLUUSAI”. Le iscrizioni in latino sono CIL IV 7073: “FLORA”; CIL IV 8840: “FLORA / FLORA”; CIL IV 7988e: “FLORA(LIA?)”; AE 1978 129: “INTERROG(ATIO) ERO[TIS] / EX C(U)OTA PARTE / HERES ESSET / [IN IU]RE APUD Q(UINTUM) PUTEOLANUM / [A]QUILAM PRAEFECTUM C(AIUS) SULPICIUS FAUSTUS / INTERROGAVIT A(ULUM) / [CA]ST[RIC]IUM EROTEM / [HOR]DINIANUM ESSET / [NE HE]RES AUT BONORUM / [POSSESSOR] A(ULI) CASTRICI [ISOC]HRUSI ET QUOTA EX PARTE / [A(ULUS) CAST]RIC[IUS] EROS HORDIONIAN[US] / [R]ESPONDIT SE A(ULI) CASTRICI / [IS]OCHRYS[SI] BONORUM / [P]OSSES[S]OR[EM ESSE EX PARTE] / [D]IMIDIA / [AC]TUM PUT(EOLIS) IIII K(ALENDAS) MAIAS / [C](AIO) CE]STIO M[ARCO] SERVILIO NONIANO CO(N)S(ULIBUS) / [FL]ORALIS [.]L[.]CI[.] CN(AEI) POLLI EPIT[.] …… DAMAE / IN IUR[E] APUD Q(UINTUM) PUTEOLA[NUM] / AQUILAM PR(AEFECTUM) C(AIUS) SUL[PICIUS] / FAUSTUS [INTERR]OG[AVIT A(ULUM)] / CASTRICIUM EROTE[M HORDION(IANUM)] ESSETNE HERE[S AUT BONORUM]”.

42) Da Bevagna, CIL XI 5022: “FLORAE / SACR(UM) C(AIUS) CAESIUS HER / MES”; da Villa S. Silvestro, “[…]MI FLOR[…]”. Vedi Francesca Diosono: https://www.academia.edu/1113288/F._Diosono_Coppetta_a_vernice_nera_in_Villa_San_Silvestro_2009_p.137

43) “FLUS[AI?]”. Vedi Francesca Diosono, ibidem.

44) Festo [FLORIFERTUM]: “Festività così chiamata poiché in questo giorno si recano spighe al santuario”.

45) CIL I2 280; Il 281 è un altro Menologio, il Vallense, purtroppo perduto.

46) Vedi Lorenzo Fabbri, Mater Florum pp. 175-184 (e bibliografia annessa).

47) Acta Fratrum Arvalium, frg 82 P, 88a, 92: “FLORA OVES II”. Le cerimonie in questione fanno rispettivamente riferimento all’8 febbraio e al 13 maggio del 183 e.v, al 7 novembre e al 10 dicembre del 218 e.v. e infine al 31 marzo (la data del secondo rituale è ignota) del 224 e.v. Vedi Ida Paladino, Fratres Arvales. Storia di un collegio sacerdotale romano, pp. 77-78.

48) Vedi, tra gli altri, Giorgio Ferri, Il Nome Segreto di Roma: https://www.academia.edu/1267691/_Il_nome_segreto_di_Roma_The_secret_name_of_Rome_in_E._Caffarelli_-_P._Poccetti_edd._L_onomastica_di_Roma._Ventotto_secoli_di_nomI_Atti_del_Convegno_-_Roma_19-21_Aprile_2007_Quaderni_di_RiON_n._2_Societ%C3%A0_Editrice_Romana_Roma_2009_pp._45-60

49) Giovanni Lido, De Mensibus IV 42: “Romolo diede alla Città tre nomi, uno segreto, uno sacrale e uno politico [..] quello sacrale è Flora”.

50) Simmaco, Symmachi Relatio III 1516: “Non si pensi che io difenda solo la causa della religione: da fatti di questo genere sono nate tutte le disgrazie della Romanità. La legge degli avi aveva onorato le vergini Vestali e i sacerdoti con un modesto vitalizio e misurati privilegi. Tale sovvenzione durò inalterata fin quando ignobili esattori trasferirono alla paga di infimi facchini il sussidio alimentare della sacra castità. Ne conseguì una carestia e l’aspettativa di tutte le province fu delusa da un misero raccolto. Questa non è colpa della terra, non prendiamocela coi venti, non fu la ruggine a distruggere le messi, non l’aveva a soffocare le spighe: fu il sacrilegio a inaridire l’anno. Non poteva non venir meno a tutti quello che si negava alla religione. Certo se c’è da qualche precedente di questa calamità, imputiamo pure una carestia così grande alle vicende stagionali, ma fu un motivo particolarmente grave a provocare tale sterilità. Si campa la vita con piante selvatiche e la popolazione rurale fu spinta dal bisogno a ricorrere agli alberi di Dodona [le querce]. Niente di simile ebbero a patire le province, quando era a carico dello Stato il sostentamento dei ministri del culto. Quando furono scrollate le querce a uso degli uomini, quando furono estirpate le radici delle erbe, quando la penuria di una religione non fu vicendevolmente compensata dalla fecondità delle altre, al tempo che il vettovagliamento era comune al popolo e alle sacre Vergini? Il nutrimento dei sacerdoti assicurava i proventi della terra, ed era più un rimedio che un’elargizione. C’è forse dubbio che si diede sempre per il benessere generale quello che ora ha vendicato il malessere generale?

51) https://www.uffizi.it/opere/botticelli-primavera

 

 

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