<4[11] Il necessario ciclo delle costituzioni appare vero a chiunque consideri l’archè (inizio), la genesi (formazione), la metabole (mutamento) di ogni forma di costituzione, che avvengono secondo natura.
[12] Solo chi ha compreso l’origine delle costituzioni potrà comprender quando, come e dove avverrà DI NUOVO la crescita [auxesis], l’acme, la metabole e la fine [telos] di ogni costituzione.1
[13] Ho ritenuto che il metodo espositivo trascelto sia soprattutto adatto allo studio della costituzione romana: ché la sua prima origine, come poi il suo sviluppo e la sua crescita, furono dovuti esclusivamente a cause naturali.
5[1] La teoria del naturale mutarsi delle costituzioni l’una nell’altra è esposta con accuratezza da Platone e da altri filosofi; ma la loro esposizione, complessa e particolareggiata, è accessibile a pochi.
[2] Così tenterò di ricapitolar la parte di tale teoria inerente la storia pragmatica e accessibile all’intelligenza comune.
[3] Le lacune dell’esposizione generale saranno colmate dalla trattazione particolare nel prosieguo.
[4] Qual è il principio e la nascita delle forme costituzionali?
[5] Si sa che il genere umano è stato distrutto da cataclismi, pestilenze, carestie ed altre cause simili; e la ragione ci insegna che avverrà ancora spesso.
[6] Al che periscono ogni manufatto e ogni arte. Poi dai superstiti (come da semi), col tempo ricresce il numero degli uomini.
[7] Allora, come fanno altri animali (poiché è naturale l’impulso a riunirsi con esseri della stessa stirpe per la propria debolezza), è certo che: chi si distingue per forza fisica e per animo audace, prevalga e domini.
[8] Devesi ritener ciò un fatto naturale, perché lo si vede pure appo gli animali irragionevoli (come tori, cinghiali, galli, etc.; appo cui vediamo che i più forti sono i capi per consenso di tutti).
[9] Perciò è verisimile che così sia pure la vita primitiva degli uomini, che come gli animali si adunano e seguono i più validi e forti. La forza segna il limite del loro potere, che si può chiamare monarchia [naturale].
[10] Quando poi col passare del tempo in queste comunità si crei la socievolezza e la confidenza, ha origine il regno; ed allora per la prima volta gli uomini concepiscono l’idea di bene e di giusto e i loro contrari.
6[1] Come nascono i concetti di bene e giustizia?
[2] Gli uomini per natura sentono l’impulso ai rapporti sessuali, che hanno per conseguenza la procreazione dei figli. Ci sarà poi un figlio che, giunto all’adolescenza, non mostra riconoscenza a coloro che lo hanno allevato né li difende, bensì dice o fa loro del male.
[3] Allora gli altri membri della tribù, RICORDANDO l’assiduità e i sacrifici necessari a nutrire e ad allevare i figlioli, sono dispiaciuti e disapprovano gli irriconoscenti.
[4] Poiché infatti il genere umano differisce dagli altri animali per il possesso della ragione, allora (al contrario degli altri animali) gli uomini non possono non notare questa differenza di comportamento.
[5] Bensì essi notano quanto accade e, prevedendo e IMMAGINANDO che qualcosa di simile potrà accadere in futuro pure a loro, provano dispiacere.
[6] Se poi uno, assistito o soccorso da un altro nei pericoli, non serba riconoscenza al suo salvatore, bensì arriva perfino a nuocergli, allora chi lo sa nutre dispiacere e disapprovazione per questo comportamento (sia condividendo lo sdegno proprio della vittima, sia IMMAGINANDO se stessi in una situazione analoga).
[7] Per questi fatti nasce in ognuno una certa idea [ennoia] o visione [theoria] del valore del DOVERE [kathekontos dynameos], che è archè e telos di ogni giustizia.
[8] Ugualmente, se uno nei pericoli combatte a difesa delle tribù o sostiene coraggiosamente l’assalto degli animali più forti, allora è naturale che costui riceva dal popolo esibizioni di benevolenza [eunoia] e onore [prostatikos]; mentre chi si comporta in modo contrario riceve dis-prezzo [kata-gnosis] e avversione [proskope].
[9] Così [dall’attenzione all’utile] emerge nel popolo una certa idea [ennoia] del male e del bene, e della loro differenza; e il secondo è oggetto di zelo e mimesi per l’utile che ne deriva, e il primo è evitato.
[10] In tali circostanze, il capo (colui che ha più forza) può anche giudicare i vizi e virtù secondo il concetto della maggioranza, ed essere capace di distribuire a ciascuno secondo il merito.
[11] Allora i sudditi (approvandone il senno anziché temerne la forza) volentieri gli obbediscono e lo difendono (anche se egli è molto vecchio) lottando contro chiunque ne insidi il potere [dynasteia].
[12] Così inavvertitamente il monarca diventa re, quando al posto dell’impulso naturale e della forza prende il sopravvento la ragione.
7[1] La prima concezione del bene e della giustizia e dei loro opposti (quella che si forma secondo natura negli uomini) è la genesi dell’autentica regalità.
[2] Infatti il popolo conserva al potere i discendenti del primo re, convinto che chi è nato ed è stato educato da lui avrà orientamenti affatto simili.
[3] Ma se poi i sudditi sono insoddisfatti dei discendenti del re, allora scelgono i re in base alla capacità di giudizio [gnome] anziché alla forza fisica [somatike dynamis] o al coraggio (avendo ormai sperimentato praticamente la differenza fra doti fisiche e doti morali).
[4] Anticamente, una volta eletti e ricevuta l’autorità, i re passavano la vita a eriger fortificazioni, costruir mura, conquistar territori sia per garantire al popolo sia la sicurezza sia l’abbondanza di risorse.
[5] Finché vissero adoprandosi in ciò, i re rimasero affatto esenti da calunnie e invidia poiché non differivano dagli altri (nel vestire, nel mangiare, nel bere) bensì vivevano suppergiù come i sudditi e con loro.
[6] Ma, ricevuto il comando [arkas] in eredità [diadoches] per diritto dinastico [kata genos], i nuovi re iniziarono a trovare pronti i mezzi di difesa e disporre di viveri in misura superiore al necessario.
[7] Allora (seguendo le proprie brame per quest’abbondanza) iniziarono a pensare che i capi dovessero portar vesti diverse da quelle dei sudditi, goder di tanti cibi diversi, aver rapporti amorosi pure illeciti.
[8] Sì suscitarono invidia per il lusso e ostilità per la superiorità e poi odio e ira violenta per gli abusi sessuali, finché dal regno ebbe origine la tirannide e si iniziò a complottare contro chi era al potere.
[9] L’iniziativa non era degli uomini peggiori, bensì dei più nobili, animosi e coraggiosi, che meno degli altri riescono a sopportare la violenza dei capi.
8[1] Ma, per le stesse ragioni, pure il popolo unisce le sue forze contro i tiranni dacché trova dei capi. Così il regno e la monarchia sono abbattuti ed ebbe origine l’aristocrazia.
[2] Infatti, in segno di riconoscenza per essere riuscito ad abbattere la monarchia grazie agli iniziatori della rivolta, il popolo sceglie loro come capi e gli si affida.
[3] All’inizio, contenti dell’incarico, i capi nulla ritengono più importante dell’utile comune e amministrano con cura amorevole ogni cosa (negli affari sia di tutto il popolo sia dei privati).
[4] Ma poi il potere passa dai padri ai figli (inesperti dei mali, affatto ignari dell’uguaglianza politica e della parresia; anzi educati fin dall’inizio nella condizione di comando e di predominio dei padri).
[5] Questi figli cedono all’ingiusta avidità di ricchezze, all’ubriachezza, alla crapula, alle violenze [hybreis] contro donne e fanciulli. Così i figli dei nobili trasformano l’aristocrazia in oligarchia.
[6] E tosto suscitano nel popolo lo stesso risentimento che avevano suscitato i tiranni. Il potere dei nobili deve quindi essere necessariamente abbattuto allo stesso modo patito dai tiranni.
9[1] Infatti, se uno ha il coraggio di parlare o agire contro di loro (resosi conto che i cittadini nutrono invidia e odio contro i capi), allora trova pronto sostegno nella massa.
[2] Uccisi alcuni ed esiliati altri degli oligarchi, il popolo non osa più darsi un re (memore dell’ingiustizia dei passati re) né affidare il governo a più persone (avendo presenti gli errori di prima).
[3] Non rimanendo speranza [elpis] che in sé stesso, il popolo trasforma la costituzione da oligarchica a democratica, e assume su di sé la cura dei pubblici interessi.
[4] Finché vivono cittadini che hanno sperimentato la supremazia [yperoche] e la sovranità [dynasteias], contenti della situazione coeva, essi stimano l’isegoria e la parresia più di ogni altra cosa.
[5] Ma quando subentrano al potere i giovani e la democrazia è trasmessa ai figli dei figli, questi cercano di prevalere sul popolo (non tenendo più in cale l’isegoria e la parresia, ormai scontate). In tale colpa incorrono soprattutto i più ricchi.
[6] Sì desiderosi di preminenza, non potendola ottenere da soli col proprio valore, dilapidano le loro sostanze per attirare e corrompere il popolo.
[7] Rendendo il popolo corrotto e avido di doni per la loro stolta avidità di potere, la democrazia è abolita e si trasforma in violenta cheirocrazia.
[8] Infatti un popolo abituato a consumare i beni altrui e a riporre le proprie speranze di vita nei patrimoni degli altri finalmente trova un capo generoso e ardito ma escluso per povertà dalle cariche pubbliche.
[9] Allora il popolo realizza la cheirocrazia: s’aduna per compiere stragi, esili, divisioni di terre [anadasmoi]; finché (ritornato allo stato ferino [apotetheriomenon]), ritrova un despota e un monarca.
[10] ECCO SPIEGATA L’ANACICLOSI delle costituzioni: processo naturale per cui le costituzioni necessariamente si trasformano, decadono, ritornano al tipo originario.
[11] Sapendo ciò, chi giudica (senza ira e invidia) il futuro d’una costituzione potrà sbagliar i tempi, ma di rado sbaglierà a dir a che punto della crescita o della decadenza ogni costituzione sia, o come muterà.
[12] Con questo criterio passeremo a considerare l’origine [systageos], lo sviluppo [auxesis], l’acme della costituzione romana; nonché l’inevitabile metabole in senso contrario che seguirà.
[13] Infatti, come ogni altra costituzione, pure la costituzione romana (avendo avuto un’origine e uno sviluppo secondo natura) avrà una decadenza secondo natura.
[14] Ciò sarà esibito da quanto dirò.
10 [1] Ma prima parlerò della costituzione di Licurgo, il che non è estraneo a ciò che mi propongo.
[2] Licurgo seppe il naturale e necessario ciclo delle costituzioni, e capì che ogni forma costituzionale semplice (basata su un’unica autorità) è instabile, ché si trasforma nel corrispondente tipo corrotto.
[3] Infatti la ruggine è connaturata col ferro e i tarli col legno, indi tali materiali sono distrutti dall’interno (pur evitando danni esterni).
[4] Così a ogni forma di costituzione è connaturata la relativa forma corrotta.
[5] Cioè al regno la monarchia; all’aristocrazia l’oligarchia; alla democrazia la selvaggia cheirocrazia. Ogni forma di costituzione col tempo deve trasformarsi nel tipo corrotto corrispondente (per il ragionamento fatto).
[6] In previsione di tutto ciò, Licurgo non istituì una costituzione semplice e uniforme, bensì riunì i vantaggi delle costituzioni migliori.
[7] Per impedir che la forza al governo (sviluppandosi oltre il dovuto) si trasformasse e si corrompesse, Licurgo fece sì che nima autorità fosse sopraffatta o acquistasse troppo potere (equilibrandosi con le altre autorità reciprocamente) onde lo Stato fosse conservato a lungo dal regolare equilibrio delle forze (come una nave che resiste alle correnti).
[8] La regalità era infatti tenuta a freno dal timore del popolo, a cui era stata data una parte sufficiente nel governo.
[9] Il popolo non osava disprezzare i re per timore della gerusia. Infatti i geronti eletti per la loro virtù si sarebbero attenuti alla giustizia.
[10] Così se una parte fedele ai costumi tradizionali fosse divenuta più debole, allora diventava più forte con l’appoggio dei geronti.
[11] Con questa forma di governo, Licurgo concesse agli spartani di conservare la libertà più a lungo di tutti i popoli dei quali abbiamo notizia.
[12] È ragionando donde e come nasca ogni forma politica che Licurgo foggiò la costituzione di Sparta, SENZA SUBIRE DANNI [ablabos].
[13] I romani ottennero la stessa perfezione nelle istituzioni della loro patria.
[14] Ma non per forza di un ragionamento, bensì con molte lotte e vicende (scegliendo il meglio sempre in base all’esperienza acquisita nelle peripezie), i Romani ottennero lo stesso risultato di Licurgo. Cioè istituirono la migliore costituzione che esista.>
Polibio (Storie. Libro VI. 4-10)
______________________________________________________________________________
25.
<[45] È QUI CHE INIZIÒ L’ANACICLOSI, di cui dovete conoscer tutto lo svolgimento naturale dall’inizio. Scopo della scienza politica (oggetto della nostra discussione) è infatti vedere il cammino e le deviazioni degli eventi pubblici per poterli trattener o prevenir quando si sappia che direzione prendano le vicende politiche. Il re di cui parlo, Tarquinio il Superbo, che si macchiò del sangue del suo ottimo predecessore, non era in pieno senno e (temendo la punizione del suo delitto) voleva esser temuto. Poi, confidando nelle vittorie e nelle ricchezze, ruppe ogni freno alla sua prepotenza e non seppe più fermare i suoi malcostumi né le dissolutezze dei suoi.
[46] Così quando il figlio maggiore S. Tarquinio recò violenza a Lucrezia (figlia di Tricipitino e moglie di Collatino), e questa nobile e pudica donna si uccise per l’offesa, allora Lucio Bruto(uomo insigne per ingegno e per virtù) liberò i suoi concittadini dall’iniquo giogo di dura servitù. Pur essendo un privato, sostenne tutto il peso dello Stato, e per primo a Roma insegnò che nella difesa della libertà dei cittadini nimo è solo un privato. Incitata e guidata da lui, per il recente dolore del padre e dei parenti di Lucrezia e per il ricordo della superbia e delle molte prepotenze di Tarquinio e dei suoi figli, la città si sollevò e esiliò il re, i suoi figli e tutta la gente dei Tarquini. [509 a.c.]
26.
[47] Vedete come da un re sorga un despota e come la forma di governo buona muti in pessima per colpa di uno solo? Tale è il despota del popolo che i greci chiamano tiranno. Invece chiamano re chi come un padre provvede al suo popolo e assicura ai sudditi il maggior benessere. Come dissi, la monarchia è una forma di governo buona di per sé, ma pure incline anzi precipite verso una forma peggiore.
[48] Infatti dacché un re diventa ingiusto, nasce il tiranno, di cui non c’è mostro più tetro e fedo, né più inviso agli dei e agli uomini, che pur avendo figura umana supera in disumanità le bestie più feroci. Chi potrebbe correttamente chiamare uomo chi non riconosce fra sé e i suoi concittadini alcuna comunanza del diritto, né il vincolo societario che è proprio dell’umana natura? Ma sulla tirannia parleremo più a lungo quando parleremo contro coloro che in uno Stato libero aspirano al regno.
27.
[49] Ecco l’origine del tiranno: sì i Greci chiamano un re ingiusto. Invece i nostri chiamano re chi esercita il potere a vita e da solo: perciò si dissero aspirare al regno Spurio Cassio, M. Manlio, Spurio Melio, e recentemente Tiberio Gracco.
28.
[50] Licurgo nominò a Sparta la gerusia: un consiglio di 28 anziani (numero davvero troppo limitato) che avevano il potere deliberativo, mentre al re spettava il potere esecutivo. I nostri, seguendo l’esempio e traducendo il termine “gerusia” chiamarono senato: un consiglio di coloro che Licurgo aveva appunto chiamato geronti (senatori), come già fece Romolo quando elesse i “padri”. Ma, la forza, il potere e il nome di re dominano. Rendi pure anche il popolo in qualche misura partecipe del potere (come fecero Licurgo e Romolo), ma non saziarlo di libertà; accendigli il desiderio di libertà dandogliene solo un assaggio. Ci sarà sempre il pericolo che sorga un re ingiusto, come perlopiù accade. Fragile è infatti la sorte del popolo che è riposta sul volere e sui costumi di un uomo solo.
29.
[51] Così la prima forma e origine della tirannia è quella da noi riscontrata nello Stato che Romolo fondò secondo gli auspici (non quella raffigurata da Socrate in Platone). Tarquinio rovinò la costituzione monarchica servendosi male del potere che già deteneva (non aggiungerne uno nuovo). A questa figura di tiranno opponiamo quella del sovrano giusto e saggio (conoscitore di che cosa rechi dignità e utile alla sua città; e quasi tutore e procuratore dello Stato). Così sia chiamato chi sarà reggitore e “ciberneta” della città, e sappiate riconoscerlo: è colui che protegge la città col consiglio [gnome] e con l’opera. Poiché finora non l’abbiamo nominato, ma nel resto del nostro discorso dovremmo spesso trattare questa figura di uomo politico [è necessario illustrare le funzioni dei magistrati e gli offici del sommo magistrato (che dovrà aver facoltà di trattare col popolo e col senato). Questa distinzione dei poteri fu stabilita dai nostri antenati con grande saggezza e senso della misura].
30.
[52] [Invece Platone volle subito distinti luoghi e sedi per i cittadini] e ci propose uno Stato piccolissimo e irreale (più desiderabile che sperabile), ma dove fossero evidenti i principi della scienza politica. Invece io cercherò di applicare quegli stessi princìpi non già ad un’ombra o immagine di Stato, bensì ad uno Stato grandissimo per indicare i motivi sia del bene sia del male pubblici (quasi toccandoli con verga). Infatti passati quei 240 anni o poco più di governo monarchico e interregno, e cacciati i Tarquini, sì grande fu l’odio del popolo romano verso i re, quanto ne era grande il desiderio dopo la morte (anzi la scomparsa) di Romolo. E come prima non poteva fare a meno del re, così ora, cacciato Tarquinio, non volle più udirne il nome. Infatti costui [determinò la caduta della costituzione monarchica, avendo annullato la facoltà di interessarsi alla cosa pubblica che la costituzione serviana aveva dato al popolo, e sostituendola col proprio arbitrio]
31.
[53] [Fu sufficiente l’errore di un solo uomo per rovinare l’insigne costituzione di Romolo, rimasta salda per circa 240 anni, e travolger nell’avversione per l’individuo pure l’istituzione]. [Perciò non tollerando il dominio dei re, elessero due capi con poteri supremi annuali, che furono chiamati consoli da consultare e non re da regnare o domini da dominare]. [Pure nell’antica Atene ci fu un simile mutamento dopo la cacciata di Pisistrato, e fu introdotta in odio alla tirannide la legge sull’ostracismo; che solo dopo oltre un secolo] fu abrogata. Con questa mentalità i nostri antenati cacciarono allora in esilio Collatino e tutti i Tarquini (l’uno per il sospetto che gli derivava dalla parentela benché fosse innocente; gli altri per l’avversione che il loro nome destava). Con questa mentalità P. Valerio sia i nostri commentari augurali mostrano che la provocatio c’era già in età regia; e molte leggi delle XII tavole indicano che valesse per ogni sentenza e pena. Pure il fatto che i decemviri incaricati di redigere quelle leggi fossero creati (come si dice) a giudicare senza provocatio, dimostra abbastanza chiaramente che non ci furono altri magistrati senza provocatio. La legge proposta dai consoli Lucio Valerio Potito & Marco Orazio Barbato [449 a.C.], uomini saggiamente democratici per amore di concordia, sancì di non creare più alcun magistrato senza provocatio. Né le tre leggi Porcie (presentate dai tre Porci) apportarono alcuna novità, tranne le pene stabilite per i trasgressori.
[55] Così, fatta approvata la legge sull’appello, Publicola vietò che le scuri fossero portate sui fasci, fece eleggere come suo collega nel consolato Spurio Lucrezio, e passò a lui i propri littori perché più anziano. Per primo stabilì pure che i littori precedessero a mesi alterni uno dei consoli, perché in un popolo libero non ci fossero insegne del potere più numerose che in una monarchia. Uomo davvero singolare questo Publicola, perché dando al popolo una moderata libertà seppe più facilmente mantenere l’autorità degli ottimati. Non senza motivo io ricordo queste antiche e ritrite vicende politiche; perché nelle figure e negli avvenimenti del passato ben noti trovo modelli di uomini e di istituzioni utili alla mia ricerca.
32.
[56] A quei tempi quindi il senato governò lo Stato sì che il popolo (pur essendo libero) regolasse poche cose (secondo l’autorità, la tradizione e gli usi del senato!); mentre i consoli fossero al potere solo per un anno (benché fosse potere regio di diritto e di fatto). Era rigorosamente osservata la norma (essenziale a conservare la potenza dei nobili) per cui le deliberazioni dei comizi erano valide solo se approvate dall’auctoritas patrum. In quegli stessi tempi, circa 10 anni dopo l’istituzione del consolato [499 a.C.], fu eletto pure il primo dittatore, T. Larcio, dai poteri molto simili a quelli d’un re. Eppure tutto era nelle mani dell’autorità esercitata degli ottimati, senza che il popolo si opponesse; e da quel tempo uomini fortissimi investiti dei poteri militari (dittatori e consoli) compirono grandi imprese belliche.
33.
[57] Ma doveva naturalmente accader che il popolo liberato dai re rivendicasse per sé maggiori diritti. E accadde sotto il consolato di Postumo Cominio & Spurio Cassio, 16 anni dopo la fondazione della Repubblica. Nel che mancò la ragione, ma spesso la ragione è travolta dalla natura degli eventi. Ricordate quanto dissi all’inizio: se in uno Stato non c’è perfetto equilibrio fra diritti, doveri e funzioni (per cui ci sia potere nelle magistrature; autorità negli ottimati; libertà nel popolo) non si può conservare questo genere di costituzione mista.
[58] Infatti essendo la città turbata per i debiti, la plebe occupò prima il Monte Sacro [493 a.C.] e poi l’Aventino [449 a.C.]. Del resto, neppure la dura disciplina di Licurgo poté tenere a freno gli Spartani: infatti lì, sotto il regno di Teopompo, compaiono 5 magistrati chiamati efori; mentre a Creta c’erano 10 regolatori chiamati cosmoi. E come quelli erano stati creati contro la forza regia, così appo noi i tribuni della plebe furono creati contro il comando dei consoli. [Contra consulare imperium tribuni plebis […] constituti].
34.
[59] Forse i nostri antenati avrebbero potuto trovar un rimedio per sanare i debiti, che non sfuggì tempo prima all’ateniese Solone, e né poi al nostro senato, quando, per l’intemperanza d’un creditore, furono liberati gli schiavi per debiti e si cessò per il seguito di stabilirne altri. Sempre, quando la plebe era stremata dai debiti nel corso di una pubblica calamità, si cercò nell’interesse di tutti un qualche sollievo e rimedio ai mali. Ma allora, trascurando questa saggia norma, con la creazione di 2 tribuni della plebe in seguito a una sedizione si offrì al popolo di limitare la potenza e l’autorità del senato. Ma essa restava tuttavia grande e forte, finché uomini saggi e forti custodivano lo Stato col consiglio e con le armi, la cui autorità era in grandissima auge perché né erano dominati dai piaceri né erano più ricchi, pur primeggiando sugli altri per onori. Proprio perché nella vita privata tutelavano diligentemente gli interessi dei singoli con opere, consiglio e denaro, allora tanto più gradita nella vita politica era la virtù di ciascuno.
35.
[60] In tale situazione dello Stato, il questore accusò Spurio Cassio (in auge appo il popolo) d’aspirare al regno e lo condannò a morte col consenso del popolo (poiché il padre aveva detto d’averne accertato la colpa). Gradita fu pure la legge sulla cauzione nelle cause civili, presentata nei comizi centuriati dai consoli Spurio Tarpeio e Aulo Aternio, circa 54 anni dopo l’istituzione del consolato. [454 a.C.] E 20 anni dopo [430 a.C.] ché i censori Lucio Papirio & Publio Pinaro [450 a.C.] nell’applicare le multe stornarono una gran quantità di bestiame dai privati all’erario, i consoli Gaio Giulio & Publio Papirio proposero una legge che stabiliva un lieve controvalore in moneta del bestiame per permetterne il riscatto.
36.
[61] Pochi anni prima [451 a.C.], quando somma era l’autorità dello Stato e il popolo ben disposto all’obbedienza, furono creati i decemviri (con sommi poteri e senza diritto di appello) per detenere il governo e dare leggi scritte, mentre consoli e tribuni della plebe deposero le loro magistrature. Quelli scrissero 10 tavole di leggi con molta equità e prudenza, e nominarono per l’anno successivo altri decemviri, che non ebbero pari lealtà e giustizia. Ma fra costoro merita grande lode G. Giulio, poiché, essendo stato disseppellito un cadavere in sua presenza nella stanza del nobile L. Sestio, gli propose il vadimonio benché contro i decemviri non fosse ammesso diritto d’appello, dicendo di non voler trascurare la legge che vietava di decidere sulla morte di un cittadino romano se non nei comizi centuriati.
37.
[62] Dopo 3 anni, quegli stessi decemviri restavano ancora al potere senza nominare dei successori. Ma uno Stato non può durare a lungo senza un giusto equilibrio fra le varie classi di cittadini, come ho detto spesso. Ora, tutto lo Stato erano nelle mani degli ottimati (a cui erano preposti 10 uomini delle famiglie più nobili), senza opposizione di tribuni della plebe, o il controllo di altri magistrati, o il diritto d’appello al popolo contro la pena di morte e la fustigazione.
[63] Dall’ingiustizia dei decemviri sorse il massimo disordine e sconvolgimento di tutto lo Stato poiché governarono il popolo con arbitrio, durezza, avidità, aggiungendo altre 2 tavole di leggi che sancirono una disumanissima legge che vietava il diritto di connubio fra patrizi e plebei (di solito concesso pure a popoli diversi). Tal legge fu annullata dal plebiscito proposto da Canuleio [445 a.C.]. È noto a tutti e ricordato da molti scritti l’episodio di Decimo Virginio, che nel foro uccise la propria figlia vergine insidiata da uno dei decemviri, e si rifugiò afflitto presso l’esercito accampato sull’Algido. E i soldati, abbandonando la guerra in cui erano impegnati, si ritirarono armati prima sul Monte Sacro e poi sull’Aventino, come era già avvenuto in un caso simile. [Cacciati i decemviri, fu presentata la legge del tribuno Canuleio sul diritto di connubio fra patrizi e plebei; mentre per la richiesta dei plebei, presentata dai tribuni, di accedere alle più alte cariche, si addivenne al compromesso di istituire i tribuni militari con potere consolare. E il popolo dette prova di moderazione eleggendo tribuni i patrizi, contentandosi solo d’aver conquistato quel diritto. Tale magistratura durò poco, sospesa dagli àuguri per vizio di forma nella procedura elettorale. L’anno dopo fu istituita la censura, che divenne magistratura importantissima, vigilando sulla moralità dei cittadini. In quegli anni lo scriba Gn. Flavio pubblicò il calendario giudiziario e redasse le formule dei processi.] [Seppur la plebe fece passi notevoli verso il governo della cosa pubblica, la costituzione romana seppe resistere, come quando proclamato dittatore L. Quinzio si impedì a Sp. Melio di instaurare la tirannide: e questo grazie alla struttura mista della costituzione, che] giudico che i nostri antenati massimamente approvarono e saggiamente vollero mantenere.>
Cicerone (Lo Stato. Libro II. 25-37)
traduzione: Leonardo Maria Battisti, aprile 2014