Accanto alle somme divinità dello Stato, avvolte nella porpora e titolari di ecatombi e sontuosissimi templi, nonchè delle rustiche e terrifiche divinità del mondo silvo-pastorale cantate dai poeti, esiste una differente e ben più numerosa schiatta di divinità. Si tratta dei cosiddetti Dèi Minuti (1), o Dèi Certi (2), figure il cui intervento divino si esplica ed esaurisce in un’unica, ma fondamentale, funzione; per tale motivo, nel campo dei moderni studi religiosi vengono talvolta definiti “Dèi dell’Atto”. La sfera di competenza di queste divinità interessa ogni campo (biologico, psicologico, sociale) dell’umana esperienza, sia sul piano individuale che su quello collettivo, accompagnandola in ogni transizione dal concepimento alla tomba.
Per quanto disparata sia questa gamma di interventi (dalle fasi agricole a quelle gestazionali), tutti sono accomunati dal fatto che vengano cristallizzati e resi evidenti dal loro stesso nome divino: Cloacina da cloare, “pulire”, “purificare”; Vervactor da vervagere, “arare [il terreno]”, e così via. Nel teonimo è insito il numen, la loro stessa essenza divina. Iscritti nei formulari dei Pontefici, i cosiddetti Indigitamenta, furono ampiamente trattati dalle fonti antiquarie latine (in primis, Varrone), opere purtroppo giunte fino a noi solo in forma estremamente mutila. Gli autori cristiani, dal basso della loro empietà, ebbero buon gioco di ridicolizzare questi attori divini; pur tuttavia, tale polemica ebbe l’involontario e ironico merito di colmare almeno in parte la frammentarietà delle nostre conoscenze sul tema. In questa sede ci si occuperà dello stuolo di divinità preposto alla generazione e allo sviluppo della vita umana.
Sebbene la ginecologia rappresenti forse il principale campo d’interesse della scienza medica (3), le prime descrizioni anatomiche appaiono solo in epoca ellenistica. La dissezione dei cadaveri era preclusa (salvo operando nella clandestinità) dalla giurisprudenza e soggetta ad interdizioni di ordine religioso, e ci si basava perlopiù sull’osservazione delle bestie uccise, a scopo comparativo. Tuttavia gli antichi dimostrano una notevole familiarità con la fisiologia della gravidanza; ciò è ancor più sorprendente, se si considera come tutto si basasse in buona sostanza su considerazione empiriche. Tale familiarità si registra tanto a livello erudito quanto a livello popolare, come attestano i numerosi ex-voto anatomici di uteri ed ovuli e, soprattutto, l’elenco a seguire. Un’autentica staffetta divina, dove i Maggiori agiscono al fianco dei Minuti.
Al principio dell’esistenza umana, come del resto rispetto ad ogni altro principio, si trova Giano, signore dei prima; è questo un dato incontrovertibile ed evidente, anche senza i maligni riferimenti di Agostino (4). Come tale, il dio viene onorato con il titolo di Giano Consivio (5), ovvero Seminatore (dal verbo conserere, “seminare”) del genere umano. Che questa non sia un’ardita ricostruzione filologica lo attesta il Carmen Saliare, dove Giano viene onorato del titolo di Cerus Manus, ossia “..il buon creatore” (6). Il seme in sé, così come le sue fasi di produzione ed emissione, rientrano invece nelle prerogative di altre divinità, come Libero e Libera (7), stanti rispettivamente al seme maschile e a quello femminile. Nelle dottrine stoiche e aristoteliche è unicamente lo sperma a dare avvio alla formazione del feto, laddove nei presocratici (Anassagora, Alcmeone, Parmenide, Empedocle, Democrito, Epicuro) tende a dominare una teoria differente, che riconosce alla donna un ruolo attivo. Tale orientamento continuò a permanere, soprattutto nella scienza medica: sulla scorta di Parmenide e di Democrito, Ippocrate, così come in seguito Galeno (8), sostiene l’esistenza di un seme femminile, unitamente a quello maschile, e che siano i rapporti di forza tra questi a determinare il sesso del nascituro (9).
A concepimento avvenuto, il principale rischio è rappresentato dall’aborto spontaneo, trovando il suo punto critico nelle prime settimane per poi cominciare a ridursi a partire dalla dodicesima; rischio di cui gli antichi erano ben consci (10). L’incidenza di eventi infausti in questo delicatissimo periodo resta alta a tutt’oggi. E’ in tale fase di rischio che si configura l’intervento divino di Fluvionia, attestata anche come aspetto di Giunone, Iuno Fluonia (11). Vi sono anche altre divinità preposte al processo ovarico, ma esse presiedono ad altre funzioni e momenti; in questo, Fluvionia ha il precipuo compito di interrompere lo scorrere (fluere, da cui prende il nome) del mestruo. Le ovaie iniziano a produrre ormoni, in particolare progesterone, affinchè il ciclo mestruale possa arrestarsi e il corpo trattenga l’ovulo fecondato, portandolo a maturazione. Vi è poi un possibile, ulteriore compito ad essa ascrivibile, a cui si farà riferimento più sotto. L’apporto del dio Vitumnus (12) è assai più difficilmente individuabile. Nelle fonti, questa divinità elargisce la vita al feto; dove questa abbia inizio era e rimane una questione insolubile, sia a livello biologico che sotto il profilo etico. L’attivazione delle varie funzioni vitali è infatti un processo graduale; biologicamente, potrebbe originarsi quando il seme maschile incontra quello femminile, andando a costituire una cellula zigote (a doppio contenuto cromosomico), oppure con la blastocisti, nella quale la massa cellulare interna da cui avrà origine l’embrione si differenzia da quella da cui deriverà la placenta.
La placenta, com’è noto, oltre all’ossigeno fornisce al feto le sostanze nutritive necessarie; prima che esse giungano attraverso il sangue materno, tuttavia, il fabbisogno dell’embrione viene secreto dalle ghiandole del rivestimento uterino, fino all’undicesima settimana di gestazione. Tutto ciò rientra negli offici di Alemona, la dea che deriva il nome dal verbo alere, “nutrire” (13). Oltre ad Alemona, anche la già citata Fluvionia è posta in relazione al nutrimento (14): a meno che il polemista cristiano non sia in confusione, com’è del resto nella sua natura, si può qui far riferimento ad un diverso fluere. Come la dea, a concepimento avvenuto, arresta il ciclo mestruale per consentire lo sviluppo dell’embrione, può in questa veste presiedere invece allo scorrere del sangue nelle sue proprietà nutritive. Le successive fasi dello sviluppo prenatale son presiedute da altre divinità. Alla quinta settimana inizia a costituirsi un abbozzo di cuore, che prelude alla circolazione sanguigna; è nel secondo mese che questo ed altri organi cominciano a definirsi. Entriamo così nel dominio di Carna, divinità che governa sugli organi interni e sul loro corretto funzionamento. Le fu consacrato un tempio sul Celio: secondo la tradizione, a farlo fu Lucio Giunio Bruto, fondatore della Res Publica, come ringraziamento per avergli concesso un “cuore intelligente” (15); per i Romani, è infatti questa la sede dell’intelligenza (16). A Carna sarebbero consacrate le Calende di Giugno, dette Fabarie poiché era consuetudine offrire alla dea, nonché mangiare a propria volta, farinata di fave e lardo (17).
Cibo rustico e sostanzioso, in grado di irrobustire e conferire a sua volta sostanza al corpo; tramutarsi in “carne” (a cui forse rimanda lo stesso teonimo della dea). Dumezìl (18) traccia un interessante parallelismo con il vedico Pitù: “..l’inno è rivolto a Pitù, cioè all’alimento personificato [..] L’unica differenza sta nel fatto che l’entità incaricata di presiedere e di provvedere all’assimilazione degli alimenti, corrisponde all’estremità opposta del meccanismo: a Roma, Carna trae nome dalla carnes, dunque dal risultato auspicato del processo della nutrizione; in India è invece divinizzato ciò che sta al principio di quel processo: l’Alimento [..] considerato nel suo divenire, alla luce dei suoi fini, dal punto di vista di chi prevede e si augura che esso si tramuti in carne e ossa. Basterà citare la strofa 10: «O pianta, divieni farina, grasso [dei] reni.. divieni per noi grasso!»”. Sempre Dumezìl rileva quanto mai appropriata la collocazione della festa di Carna a Giugno, mese etimologicamente riconducibile a iun– (forma sincopata di iuven), e riferibile alla forza vitale del suo pieno fulgore.
Il sostegno di Carna procede, com’è intuibile, ben oltre la gravidanza, così come quello di Ossipagina (19). Se la formazione degli organi è piuttosto precoce, lo sviluppo dell’ossificazione comincia invece alla fine del primo trimestre di gravidanza, e si protrae ben oltre alla pubertà: ma le ossa crescono e si rimodellano continuamente. Da qui deriva la necessità fondamentale di identificarne l’essenza divina, rappresentata da Ossipagina (da ossa pango “conficco/pianto lo scheletro” oppure ossa pagino “costruisco lo scheletro osseo”).
Il successivo, fondamentale processo è lo sviluppo sensoriale: esso si registra già nell’ultima fase embrionale, intorno alla settima settimana, e interessa in prima misura il tatto; è qui che interviene Sentinus, il “sensificatore” (vedi nota 11, dove viene menzionato unitamente a Vitumno). Oltre ad essere stimolato, nonchè a stimolare a sua volta, tutta una serie di procedimenti fisiologici, il tatto non è altro che il preludio ad una coscienza personale. Attraverso la percezione tattile, il feto riconosce infatti i confini del proprio corpo e ciò che vi è al di là: il suo primo contatto sensibile con il resto del mondo. Sentinus presiede anche alla formazione di tutti gli altri sensi, che integrano e arricchiscono ulteriormente le esperienze fetali. Persino l’infame polemista cristiano è costretto ad ammettere l’assoluta rilevanza di questo intervento: l’apparato sensoriale è strettamente legato alle emozioni, e dunque alla formazione dell’identità futura, ma il primo bagaglio di conoscenze incamerate è anche alla base dell’attività cognitiva dell’individuo. Tale l’importanza di Sentinus.
NOTE:
1) Agostino, Civ. IV 9: “..questa folla di dèi minuti”;
2) Servio, Eneide II 141: “..i Pontefici dicono che a singoli atti presiedono divinità determinate, che Varrone chiama Dei Certi..”; Arnobio, Adv. Nat. II 65: “Dèi Certi, che presso di voi svolgono un compito definito”.
3) Oltre alle numerose trattazioni monografiche, basti pensare che un sesto dell’intero Corpus Hippocraticum è dedicato alla ginecologia.
4) Agostino VII 2-3: “Infatti nel concepimento del feto, da cui prendono l’avvio le varie competenze assegnate al minuto a minute divinità, è Giano in persona ad aprire l’entrata con l’accogliere il seme [..] Infatti Giano un eletto contribuisce con l’apertura e quasi porta per lo sperma [..] Giano ha il potere di tutti gli inizi e che perciò giustamente gli si attribuisce anche l’apertura del concepimento”.
5) Macrobio, Saturnali I 9, 15: “Consivio da conserere, cioè dalla propagazione del genere umano che viene seminato per opera di Giano..” Tertulliano, Nat. II 11: “..c’è il dio Consevius a presiedere alle inseminazioni proprie del rapporto sessuale”.
6) Festo [CERUS]: “..nei canti Salii Cerus Manus significa Buon Creatore“.
7) Agostino, Civ VI 9: “Affermano che Libero derivi etimologicamente da liberazione, perché i maschi nell’atto sessuale col suo favore si liberano effondendo il seme. Dicono che la medesima cosa fa con le femmine Libera, che sarebbe anche Venere, perché, a sentir loro, anche essa fa uscire il seme. E per questo motivo, dicono, è posta nei templi la parte virile del corpo per Libero e la femminile per Libera..”; VII 2: “C’è Libero che libera il maschio con l’effusione del seme; c’è Libera che, a sentir loro, è anche Venere, e accorderebbe un eguale soccorso alla femmina affinché anche lei si liberi con l’effondere il seme”; 21: “A una grande sconcezza giunsero i Misteri di Libero, poiché lo preposero ai semi liquidi e quindi non solo alle parti acquose dei frutti, fra cui in certo senso il vino ha il primato, ma anche ai semi degli animali [..] stando a Varrone, nei crocicchi d’Italia furono celebrati i misteri di Libero con tanta licenziosità che in suo onore si ebbe un culto fallico, e almeno fosse avvenuto in un luogo un po’ appartato ma in pubblico con sfrenata dissolutezza. Infatti durante le feste di Libero uno sconcio membro virile, esposto con grande solennità su un carretto, veniva trasportato dapprima in campagna nei crocicchi e poi fino alla città. Nel paese di Lavinio si consacrava a Libero un mese intero, durante il quale tutti pronunciavano delle sconce invocazioni fino a quando l’organo fallico non riattraversava la piazza e non veniva ricollocato al suo posto. La più onesta madre di famiglia doveva pubblicamente imporre una corona all’emblema disonesto. In questo modo si doveva propiziare il dio Libero per il buon esito dei semi..”
7) Aezio di Amida, Corpus Ippocratico DK 38AI3: “Ippone ritiene che le femmine emettano lo sperma non meno dei maschi, ma che d’altronde esso non contribuisca alla procreazione perché cade fuori dall’utero”. Galeno, L’Utilità delle Parti XIV 164, 166: “Inoltre la femmina doveva certamente avere anche i testicoli più piccoli e più imperfetti e il seme, che in essi si sarebbe generato, meno abbondante e più freddo [..] Se anche il seme della femmina ha in misura massima il principio del movimento, ha certo lo stesso movimento del maschio e deve mischiarsi con esso e agire in futuro come un solo seme..”.
8) Democrito A142-143: “Epicuro e Democrito ritengono che lo sperma sia eiaculato anche dalla donna, in quanto anch’essa possiede i condotto testicolari, sia pure disposti in posizione rovesciata rispetto all’uomo. Per questo motivo essa possiede l’istinto all’accoppiamento. Democrito di Abdera sostiene che nella madre si compie la differenza fra maschi e femmine, ma non è per il calore e per il freddo che si generano, rispettivamente, la femmina e il maschio, bensì è in conseguenza di quale dei semi venienti dai genitori ha acquisito l’egemonia sull’altro che si differenziano la femmina e il maschio”. Ippocrate, Genitura VI 1-2: “..e l’uomo possiede sia il seme maschile sia quello femminile; e nello stesso modo la donna. Il maschile è più forte del femminile: è necessario perciò che quello provenga da un seme più forte. Ecco cosa succede: se da entrambi i genitori proviene un seme più forte, l’embrione è maschile, se proviene invece un seme più debole, l’embrione è femminile. L’embrione prende il sesso in conseguenza di quale dei due ha maggior forza rispetto alla quantità. In effetti se il seme debole è molto più abbondante di quello forte, questi, dominato e mescolato a quello debole, si rivolge al femminile; ma se il seme forte è più abbondante di quello debole in modo che il debole è dominato, quest’ultimo si rivolge al maschile..”. Tra gli altri, sulla scorta di Epicuro, Lucrezio, Sulla Natura IV 1209 sgg: “Se nel mischiarsi del seme la donna ha la meglio e con slancio improvviso previene la forza del maschio il figlio che nascerà prenderà dalla madre: utti e due i genitori, traendo le proprie fattezze sia dal corpo del padre che dal sangue materno perché al seme dell’uno, ben stimolato da Venere, si mescola quello dell’altra, e ciò è conseguenza di un ardore reciproco in cui nessuno abbia vinto. È possibile anche che un figlio assomigli ad un nonno o sia il ritratto preciso di qualche lontano bisavolo: questo accade perché nel seme dei suoi genitori si trovano spesso riuniti, nei modi più vari, molti elementi trasmessi dalle stirpi di origine: Venere ha mille maniere per portare alla luce volti diversi e ripetere sembianze, voci e capelli perché tutto questo proviene da un seme preciso, così come accade ai corpi, ai volti e alle membra. Una figlia può assumere aspetti del ramo paterno e molti maschi assomigliano più facilmente alla madre perché ogni nascita è frutto di un duplice incontro tra semi: e la creatura che nasce è più somigliante al seme di cui più dispone: questo è normale che accada per ogni creatura vivente, sia femmina o maschio..”
10) Ippocrate, Aforismi 60: “Se ad una donna gravida sopravvengono le mestruazioni, è impossibile che l’embrione sia sano”.
11) Festo [FLUVIONIA]: “Le donne prestavano un culto a Iuno Fluonia, poiché credevano che ella trattenesse il loro flusso di sangue durante la gravidanza”.
12) Agostino, Civ. VII 2-3: “Sono presenti anche due dèi di non saprei quale umilissima estrazione, Vitunno e Sentino, di cui uno elargisce la vita al feto, l’altro il senso. Comunque, sebbene così oscuri, valgono molto di più dei magnati e degli eletti. Infatti senza la vita e il senso, tutto ciò che è gestato nel grembo di una donna è un non so che di spregevole da paragonarsi a un impasto di fango. Quale ragione dunque ha indotto tanti dèi scelti a queste minuziose incombenze se nella distribuzione delle competenze in questo caso sono superati da Vitunno e Sentino che un’oscura reputazione rende sconosciuti? [..] Ma Vitunno dio sconosciuto e plebeo contribuisce con la vita e Sentino col senso. E questi due sono di tanto superiori agli altri quanto essi sono inferiori a un atto di puro pensiero. Come infatti gli esseri che ragionano e pensano sono certamente più perfetti di quelli che, privi di capacità di pensare come le bestie, hanno vita e senso, così anche quelli che sono dotati di vita e di senso sono più perfetti di quelli che non hanno vita e senso. Quindi Vitunno che rende vivi e Sentino che rende senzienti avrebbero dovuto essere fra gli dèi scelti a maggior diritto [di altri Dèi, ndt] Ma allora riflettano che cosa rispondere su Vitunno e Sentino, se, cioè, per caso intendono dire che anche essi hanno potere su tutti gli esseri che hanno vita e senso. Se lo ammettono, pensino a porli molto più in alto. Infatti il nascere da un seme avviene in terra e dalla terra, ma essi sostengono che anche gli dèi astrali hanno vita sensitiva. Se poi dicono che a Vitunno e a Sentino sono assegnati soltanto gli esseri che prendono vita nella carne e sono dotati di sensi, perché il dio che fa vivere e sentire tutti gli esseri non infonde direttamente vita e senso nella carne, attribuendo con universale operazione questa caratteristica anche alle generazioni? E che bisogno c’è al caso di Vitunno e di Sentino? Ma supponiamo che questi incarichi, considerati i più abietti e vili, da colui che ha il dominio universale sulla vita e sui sensi siano stati affidati ai due dèi come a domestici. In tale ipotesi forseché gli eletti sono stati abbandonati dalla servitù da non trovare a chi affidare anche essi quegli incarichi e da essere quindi costretti, malgrado tutta la loro nobiltà per cui si ritenne di considerarli eletti, a sfacchinare con gente plebea?”
13) Tertulliano, Anima 37: “Anche la superstizione romana, considerando queste cose, ha creato la dea Alemona per il nutrimento del feto nell’utero..”.
14) Tertulliano, Nat. II 11: “..Fluvionia a nutrire l’infante nell’utero”.
15) Macrobio, Saturnali I 12, 31: “Alcuni ritennero che il mese di Giugno abbia preso nome da Giunio Bruto, primo console di Roma: in questo mese e precisamente alle Calende egli scacciò Tarquinio e per soddisfare un voto celebrò un sacrificio alla Dea Carna sul Monte Celio. Si crede che questa dea presieda agli organi vitali dell’uomo. A lei quindi si chiede di mantenere sano il fegato, il cuore e i visceri interni: siccome grazie al suo cuore intelligente, che egli dissimulava passando per brutus, ovvero sciocco, fu in grado di modificare il regime politico, consacrò un tempio a questa Dea che presiede agli organi vitali. A lei si offrono la farinata di fave e il lardo, perché questi alimenti soprattutto ristorano le forze del corpo. Infatti le Calende di Giugno son chiamate comunemente anche Favarie, perché in questo mese nei riti sacri si usano fave novelle”.
16) Celebre il passo di Quinto Ennio a riguardo; Aulo Gellio, Notti Attiche XVII 17: “Quinto Ennio diceva di avere tre cuori perché sapeva parlare greco, osco e latino”. Vedi anche Orazio, Epodi I 4, 6: “Tu non sei già un petto senza intelletto..”. Ovidio, Metamorfosi XIII 290: “..un soldato rozzo e senza petto”.
17) Ovidio, Fasti VI 169: “Vuoi sapere perché in queste Calende [di Giugno, ndt] si mangi del grasso lardo e perché si mescolino le fave con del farro caldo? Questa è una Dea antica, si nutre con i cibi a cui è abituata da tempo, disdegna i piatti esotici e ricercati [..] Si dice che coloro che alle Calende di Giugno mangiano questi due alimenti mescolati fra loro, evitano malanni agli intestini”.
18) Georges Dumezìl, La Religione Romana Arcaica, pp. 338-339.
19) Arnobio, Ai Pagani IV 7-8: “Si ricordi anche quella Ossipago che indurisce e rende solide le ossa ai bambini più piccoli [..] Ossipago solidificatrice delle ossa”.