Più che con l’intento di esplicare qualcosa, questo articolo lo scrivo con l’intento di mettere nero su bianco alcune domande di una certa complessità che mi pongo ormai da diverso tempo.
In che rapporto debba essere la Tradizione con la Tecnologia?
Facciamo un esempio pratico che forse può facilitare:
Nel mondo romano vi sono tre feste principali ogni mese, che sono Calende, None e Idi; ognuna di queste è connessa ad una fase lunare, rispettivamente novilunium (cioè il primo falcetto visibile, e non la “luna nera” come la consideriamo noi), primo quarto e Luna piena.
Contemporaneamente però sappiamo che in realtà le “Calende” si chiamano così perché vengono dal verbo calare, cioè chiamare a raccolta, poiché quando veniva identificata la nuova fase il Pontefice Massimo chiamava il popolo per elencare le feste di quel mese.
(per approfondire sul calendario romano)
Fatte queste premesse, noi oggi non abbiamo un Pontefice minore che debba subirsi la “naja” di passare la notte nella Curia Calabra in attesa di veder apparire il falcetto di Luna, bensì abbiamo le effemeridi con le quali si possono prevedere con largo anticipo (anche di secoli!) le fasi lunari, con un errore di pochi secondi.
Altresì però il novilunio nostro (la Luna nera), che è quello che compare nelle effemeridi, non coincide con il novilunium (come appena visto). Forse che oggi ogni Pater Familias dovrebbe passare la notte sul tetto del condominio per osservare il comparire del falcetto di Luna?
Abbastanza complesso come sistema.
Ricercando quanto fosse il limite minimo di visibilità del falcetto di Luna scopro grazie all’UAI (Unione Astrofili Italiani) che questo limite ad occhio nudo è di 14 ore dopo il novilunio nostro.
Bene quindi tutto risolto! Facilissimo: prendo dalle effemeridi l’orario del novilunio che mi interessa, aggiungo 14 ore, e così ho il momento delle mie Calende!
E invece no!
Intanto le effemeridi si calcolano in base a delle coordinate, per cui si potrebbe trattare di effemeridi che non coincidono con la vostra posizione. Secondo, le effemeridi indicano il picco di fase e non la visibilità: magari il vostro momento di visibilità del falcetto di Luna cade in un momento in cui essa deve ancora sorgere. Oppure problemi di carattere metereologico, noi non abbiamo idea di cosa facessero i romani se la luna non era visibile in cielo a causa delle nuvole.
Oppure ancora, se il Pontefice vedeva il falcetto alle 23, che forse chiamava tutto il popolo in piena notte per dirgli <guardate che le calende erano oggi, quindi abbiamo sbagliato tutto dovevano ritualizzare stamattina>?
Inoltre abbiamo dei problemi a livello di conciliazione tra le fonti ed il dato reale:
Le None si chiamano così perché cadevano nove giorni (nel computo romano) prima delle Idi, ma non sempre il Primo Quarto rispetta questa distanza dalla Luna Piena.
E molti altri problemi di questa natura.
In tutto ciò prendete nota che la Luna non ha un ciclo uniforme (con buona pace di Leonardo Magini e dei suoi libri) e perciò i calendari antichi riportavano sempre un errore anche di diversi giorni (nonostante i vari mesi intercalari). Sono anni che cerco una ciclicità nelle fasi lunari, e dopo aver analizzato un arco temporale di 5000 anni con pagine e pagine di calcoli sono giunto alla conclusione che non esiste nessun tipo di ciclicità che sia al 100% corretta (o anche al 90%): anche il sistema noto di un ciclo di 19 anni, riporta un errore di diverse ore o anche giorni, e che si accumula nel tempo, e soprattutto in quel ciclo le uniche fasi più o meno corrette sono ogni 19 anni, mentre il resto del tempo è totalmente sbagliato. Anche in virtù del fatto che la velocità della Luna (e quindi la durata del mese lunare) varia a seconda della posizione della Terra rispetto al Sole. Quindi tocca affidarsi anima e corpo alla effemeridi del calcolatore del Jet Propulsion Lab della NASA (se hanno mandato gente sulla Luna, saranno capaci di prevedere un novilunio!).
A questo punto c’è solo una soluzione, ignorare alcune fonti che sono in contrasto tra loro e basarsi su altre. Ma sulla base di cosa si sceglie?
Come faccio a dire che Macrobio è più o meno valido di Livio o di Ovidio?
Bisogna cercare allora di immedesimarsi in un romano del VIIIsec. ac e cercare di cavare fuori il ragno dal buco.
Perché i Romani iniziavano a contare il mese dal primo falcetto visibile?
Sicuramente vi erano almeno due ragioni:
La prima di ordine pratico, il novilunio essendo tutto nero non è un momento precisamente identificabile, mentre il primo falcetto visibile lo è.
Il secondo di ordine religioso. Se Giano è il passaggio, e di conseguenza è la Luna nera, il vero e proprio inizio del mese si ha quando questa fase di transizione finisce e ne inizia un’altra, cioè il primo falcetto, e per varie questioni esso è legato a Giunone.
Inoltre la questione della visibilità risulterebbe importante per ragioni “magiche”, e cioè che la fase lunare inizia ad avere influenza nella zona in cui è visibile*.
Allora forse per misurare le Calende dovremmo considerare il momento di visibilità della Luna successivo alla 14° ora dopo il picco di fase.
Quindi se per esempio:
Il 18/12/2017 il picco di fase del Novilunio è alle ore 06:30, il primo falcetto sarà visibile solo alle 20:30, ma poiché la Luna tramonta alle 17:10, saremo costretti a rimandare al giorno successivo. E quindi le Calende saranno il 19/12/2017.
A questo punto stando alle nostre fonti dovremmo dire che il 5° giorno dopo le Calende saranno le None (quindi il Primo Quarto), cioè il 24/12; e le idi il 9° giorno dopo le None, perciò il 1/01/2018.
Il problema è che il Primo Quarto è il 26/12 ore 9:20 (visibile il giorno stesso); mentre la Luna Piena è il 2/01/18 ore 2:24 (visibile il giorno stesso).
Poiché le fonti non sbagliano nel riportarci l’informazione (sono troppe, e confermate dal materiale archeologico) cosa è pio fare? Portare avanti una tradizione che è errata dal punto di vista astronomico, e quindi anche del suo valore magico intrinseco? Oppure “aggiornarla” mettendo in secondo piano le informazioni proposteci là dove gli autori antichi avevano fatto il meglio che potevano con gli strumenti che avevano?
Questa è una domanda fondamentale perché la risposta poi diventa proiettiva su moltissime altre cose a rischio di trasformare la religiosità romana in una cosa molto diversa rispetto a quello che era in antichità.
Voglio dire, se per esempio continuiamo a ripetere le cose così in modo quasi “rievocativo” impostiamo un modo di vedere le cose e di agire in una certa direzione, quindi -per esempio- possiamo sentirci in diritto (ma magari non farlo) di dare fuoco alle volpi come usava a Carsoli (ce ne parla Ovidio, Fasti; in linea con quanto fanno oggi certi piromani con i gatti) senza capirne il misterioso significato ma continuare a riproporlo. Oppure possiamo cercare di penetrarne il senso profondo, e trovare adeguata analogia.
Entrambe sono soluzioni corrette dal punto di vista tradizionale. I Romani infatti tanto ripetevano -anche senza capirli!- certi riti antichi, ed altrettanto invece innovavano. E’ veramente difficile sentirsi legittimati a fare una scelta.
Non è un caso che ogni realtà romana oggi, su alcune cose, si senta libera di fare come vuole, e sono certo che tutti abbiano interrogato gli Dei su quale sia il modo corretto di applicarsi alla luce delle conoscenze odierne. E da fuori è ingiudicabile.
Tornando alla questione del calendario, se per esempio si decidesse di prendersi un giorno per festeggiare una festa comune tra tutti i romani, come si potrebbe risolvere? Per alcuni che seguono un certo calendario lunare essa cadrà in una data diversa da quelli che ne seguono uno solare, anche a rischio che il giorno fasto per qualcuno, sia nefasto per altri. Inoltre tra i diversi modi di applicare il calendario lunare vi è discordanza.
Ho voluto prendere d’esempio la questione della Luna perché ci ho dedicato veramente molto tempo, ed il suo moto è una cosa che mi affascina, ma la questione si propone su altri ambiti.
Per esempio, il valore dell’incenso oggi non è lo stesso che aveva in antichità, e quindi cosa facciamo? Riproponiamo le offerte d’incenso cercando di penetrarne il significato profondo, oppure cerchiamo un’offerta che oggi abbia maggior valore di 4euro l’etto? Questo sapendo che l’incenso in antichità era una cosa abbastanza di valore.
Stessa cosa vale per il vino. Se ne consideriamo la valenza alcolica i nostri vini non valgono nulla; se ne consideriamo la valenza naturale di prodotto del lavoro umano, quale vino scegliere tra solfiti e sostanze chimiche imposte dalle leggi in materia di salute (sostanze chimiche che hanno una loro valenza magica, un esempio per tutti: i solfiti, che sono composti di ossigeno e zolfo, quest’ultimo usato anche nei riti di purificazione). Non c’è più il vino di una volta si potrebbe dire.
O ancora a livello di divinità. Esistono oggi “cose” e “concetti” che i Romani non potevano immaginare. Le automobili per esempio, se i romani avevano un genius per la casa, e delle divinità delle tubature, non vedo perché non trovarvene una per le automobili, o gli aerei, o i treni, o i computer (vedasi a riguardo il precedente articolo Sulla Natura degli Dei per maggior chiarezza su questa affermazione apparentemente folle). Cosa sarebbe pio? Istituire il culto delle divinità la cui manifestazione fisica appare anche in questi, oppure ignorarli così come i romani facevano con le lettighe (le quali non mi risulta fossero protette da una divinità, correggetemi se sbaglio)?
E che dire di divinità che purtroppo ormai non trovano una manifestazione fisica?
Penso ad esempio ai boschi sacri sradicati nel passato in nome dell’evangelizzazione, e oggi in nome del consumismo.
E così anche in concetti più astratti. Sicuramente vi è un modo di penetrare e vedere l’intero universo, e gli Dei, nel cavolfiore al banco del supermercato; ma è certamente lontano dal cavolfiore che ti sei coltivato da solo nel tuo iugero di terreno.
Io sono un grande sostenitore dell’attività all’aperto, delle cose semplici e naturali, poiché permettono molto più di comprendere la realtà naturale delle cose. Eppure il mondo costruito ed antropizzato costruito e cementato dall’essere umano, per quanto orrendo, indegnamente espanso ed endemico non è privo di divinità.
Quanti di noi (e mi ci metto anche io) vedono il divino nella vita ossessiva, mentre sono nel traffico, o immersi nella folla della via dei negozi nella propria città?
Eppure -ripeto- anche nel più orrendo luogo antropizzato, sotto la coltre di larve e tristezze umane ci sono gli Dei! Per quanto difficili da vedere.
Mi pare privo di senso proseguire con gli esempi, credo che si possano serenamente fare riflettendo un poco, con la stessa difficoltà che si ha nel proseguire un solco già iniziato, piuttosto che iniziarne uno.
In sostanza possiamo dire che la domanda vera è: qual è il confine tra tradizione nel senso di riproporre quanto ci è stato tramandato, ed applicazione nella realtà di oggi?
Fuggire in un luogo naturale è certo una soluzione personalmente utile, giusta, e corretta. Ma non vi è un luogo dove realmente ci si possa nascondere da questi problemi. A meno di non ritirarsi sull’eremo, senza luce né contatti con l’esterno. Ma lì si proporrebbe un problema diverso: quanto tempo dovremmo dedicare all’auto-sussistenza? Allevare animali, e coltivare, vivere del proprio. E poi la mancanza di una vita nel mondo com’è oggi non rischia di alienare dalla realtà reale del mondo almeno quanto lo fa’ la città?
Vi è forse una sana mediazione oppure è necessariamente uno scontro tra mondo moderno e tradizione?
E se anche vi fosse questo scontro, non sarebbe coerente con una visione pagana (e romana) l’accettazione del mondo per quello che è?
E fino a che punto un pagano antico avrebbe combattuto per il mantenimento dello status quo della propria realtà?
I Romani furono i primi a compiere un disboscamento forsennato al tempo della prima guerra punica con la motivazione di costruire navi per sconfiggere Cartagine, ovvero per sopravvivere. E la distruzione che stiamo compiendo attualmente non è forse necessaria per la nostra sopravvivenza? Il programma di Trump per l’industrializzazione così come anche quello portato avanti da Cina ed India, tutti con la motivazione di sopravvivere in un contrasto tra nazioni per nulla diverso da quello della Prima Guerra Mondiale, se non per il fatto che anziché sparare proiettili si “sparano” titoli finanziari.
<Ma i romani delle origini non erano così, e nemmeno i popoli celti né i germani>
Diventa difficile da affermarlo con certezza: quanto essi erano equilibrati in virtù di un’etica o di una conoscenza ed un rispetto del sacro naturale in cui vivevano, e quanto invece era dettato dalla loro impossibilità e non necessità (in termini di mezzi e popolazione) di distruggere?
Certo non distruggiamo oggi la foresta amazzonica per mero sadismo, ma perché tutti questi nuovi nascituri da qualche parte bisogna metterli e bisogna dargli da mangiare.
Altrettanto vale per gli incendi sui nostri boschi patri compiuti oggi illegalmente per fare spazio alla coltivazione ormai difficoltosa in pianura per via del cambiamento climatico. Cambiamento climatico causato anche dalla stessa deforestazione. Sia noto per esempio il successo di coltivazione della vite in altura sulle Alpi, cosa impensabile per via del clima fino a 30 anni fà!
Ed ancora la corsa allo spazio, con un programma che vorrebbe la colonizzazione di altri pianeti. Quali Dei, quali forze, quali effetti può avere questo su un’essere umano dal punto di vista spirituale e magico?
E quanto sarebbe pio abbandonare la propria casa morente per andare su un altro pianeta? Il pio Enea così fece ci dice il mito, eppure i romani tanto amavano la propria terra che fu di Saturno.
<ma Enea in realtà torna in Italia, terra di cui ha le origini>
E che forse non siamo noi “figli delle stelle”, questo sia scientificamente (gli atomi di cui siamo composti vengono da qualche Stella esplosa alle origini dell’Universo), sia anche miticamente.
Cosa è più pio dunque?
Una certezza è che il modo in cui stiamo distruggendo il mondo è un atto di chiara empietà, ma certo è necessario per far sopravvivere tutti… una motivazione assolutamente insufficiente dal mio punto di vista, poiché sono un grande sostenitore dell’equilibrio, in medium stat virtus, ma qual è questo sano medio?
Se anche si decidesse un tetto ecologico massimo di popolazione per gli esseri umani, dove porli? E’ più empio distruggere questo bosco per porvi un ecologico numero di umani, o piuttosto quell’altro? Gli scarichi fognari delle nostre città inquinano certo più degli scarichi antichi, eppure la Cloaca Maxima si riversava nel Tevere che era considerato una divinità.
Ed alcuni di questi problemi esistevano anche in antichità. Abbiamo fonti latine tarde dove viene ben inteso che i romani ad un certo punto si posero il problema di salvaguardare alcune specie animali, anzi, e di tutelare alcuni boschi. Ma non è chiaro con quali limiti ed in quali termini, e soprattutto a quale scopo.
Come si vede, il problema del rapporto tra la Tradizione e la tecnologia attuale non è certo semplice, né è semplice cosa debba esattamente fare un “buon romano”.
In antichità la centralità della religiosità pubblica forse dava una risposta univoca, ma oggi questa centralità non esiste. E forse non esiste fortunatamente in quanto arrischierebbe esponendosi alla corruzione della modernità.
Siamo troppo tecnologici e potenti sul piano materiale rispetto alle attuali capacità umane, l’idea di rimbalzare di pianeta in pianeta distruggendo ogni volta il precedente ci fa comportare come i virus, che una volta consumata la vittima si trasferiscono su un altro ospite; e certamente questa non è Pietas.
Ma non sarebbe nemmeno Pietas negare tutto quanto esiste ed abbiamo portato dal “mondo delle idee” alla materia.
Che forse nel suo complesso l’essere umano sia il problema stesso? Il nostro compito è, forse, quello di dividerci in modo quadripartito tra Tradizione e Tecnologia, e tra Natura e Umanità?
Ma se anche così fosse si andrebbe a separare l’uomo dalla natura, separazione che non esiste in quanto anche noi siamo parte di ciò che esiste, al pari degli alberi, degli animali, dei funghi, delle pietre….. ma anche delle autostrade e delle discariche.
L’uomo ha creato quanto di più bello, elevato ed incredibile esista, ma per farlo ha avuto bisogno di distruggere altre cose.
Nessun contadino è riuscito a creare un quadro splendido, né un’architettura gloriosa, né un razzo che andasse sulla Luna, né un telescopio che ci facesse vedere come è fatto l’universo in cui viviamo.
Per cacciare e raccogliere è necessario sacrificare qualche albero per costruire armi e cestini; per un aratro è necessario sacrificare un boschetto;
per un quadro è necessario che un’intera città costruisca, distrugga, e viva per permettere all’artista di avere il cibo e le materie prima con cui creare il quadro;
similmente una città più grossa vìola le montagne per innalzare un tempio splendido e glorioso;
e per fare un razzo che andasse sulla Luna quanto abbiamo distrutto? Ci siamo anche uccisi tra di noi per spronare la tecnologia a crearne uno.
I telescopi odierni poi, quanto è costata in termini ecologici la loro creazione? Che forse la montagna bella, isolata, non è stata deturpata dall’enorme antenna che ci mostra l’Universo? E quanto ha inquinato la sua realizzazione: lenti, apparati elettronici, e tutta la società che insieme vive e inquina per produrre la ricchezza economica necessaria alla sua costruzione.
Tanto più è avanzata ed elevata l’azione umana, tanto più questa ha richiesto (e richiede!) un sacrificio del mondo naturale. E forse questo mondo naturale non è pregno di divinità?
Quindi, in un certo senso, ogni cosa che facciamo per sopravvivere (o per accrescerci, ed accrescere il nostro sapere) richiede ogni volta il sacrificio della manifestazione fisica di una qualche divinità.
Da questo quadro l’uomo apparirebbe come il nemico degli Dei. Eppure al contempo siamo coloro i quali li venerano, poiché gli animali e le piante sono “passivi” ad essi, mentre noi invece li veneriamo in modo cosciente. Ma anche per questi stessi atti di pietà, noi distruggiamo: pensiamo agli altari fumanti di vittime sacrificali, o di vegetali che un tempo erano vivi, o la costruzione di templi già citati.
Noi veneriamo e distruggiamo.
Come dicevo all’inizio di questo scritto non ho una risposta, o una conclusione, e mi sento male a porre a me stesso e per iscritto (scripta manent) queste considerazioni.
Ma credo sia utile per far riflettere su alcune tematiche attuali difficilmente conciliabili con la Tradizione.
* su questa affermazione ci sono diverse teorie, c’è anche chi sostiene che invece l’influenza sia presente su tutto il pianeta. Io credo più realistica questa in analogia con la realtà che ci circonda, andando a dormire in montagna ci si accorge di come una fase lunare piuttosto che un’altra può influenzare il nostro comportamento (es. l’orologio biologico), e questo avviene solo al suo apparire non prima né dopo; di questo si avrebbe conferma nella teoria con le ore “magiche” le quali variano a seconda del giorno e della notte (cioè della visibilità o meno del Sole). Inoltre basta osservare il sistema delle maree, che si alzano sul lato della Luna per influenza della Luna stessa; mentre sull’altro lato questo avviene per forza della Terra (più precisamente per effetto della forza centrifuga), quindi non per influenza della Luna.
Emanuele Viotti