La montagna come esercizio di Via Spirituale

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Le cime del mondo sono da sempre simbolo della tensione al sacro e trascendono le singole tradizioni e religioni.
L’elevazione dal luogo più basso, a fatica, verso le vette più alte assume in tutte le culture del mondo l’analogia della vita e di qualsiasi percorso spirituale ed umano.
Non è un caso infatti che tutte le religioni del mondo abbiano trovato nelle montagne un riferimento sacro e divino.
Tutti hanno posto sulle vette delle montagne principali i simboli della propria religiosità, dalle bandiere tibetane (prima ancora che diventasse moda in occidente), ai crocifissi col cristianesimo, e per quanto riguarda noi della Tradizione Romana, i Templi.

Ma più che trattare dei luoghi sacri sulle vette delle montagne, che pure ce ne sarebbe di cui parlarne, preferirei fare un più generale discorso legato a come andare in montagna diventa metafora ed esercizio della via spirituale.

Nel pensiero comune un percorso spirituale si limita alla ripetizione distratta di esercizi, riti e meditazioni che in qualche magico modo dovrebbero migliorare la condizione dell’individuo.
Apparentemente è così.

Un percorso spirituale prevede certamente queste cose, ma soprattutto vivere nel quotidiano applicando quanto si apprende. Bisogna infatti prepararsi a quanto si sta facendo, e rimanere concentrato in ogni aspetto del proprio vivere quotidiano per applicare quanto si è compreso ed appreso.
Tutto questo non può certo avvenire in pochi mesi o anni di pratica, ma in decenni.
Anche perché una via spirituale che funziona è piena di trappole, di “prove”, di difficoltà, di tentazioni, tutte cose che hanno il solo fine di rafforzarvi e guadagnare nuovi strumenti per procedere nella Via. Purtroppo l’uomo nella semplicità, nella lascivia, in quello stato oggi orribilmente chiamato “comfort zone”, cade nella depressione, nell’autoumiliazione e retrocede nel suo percorso.
Al pari non vi è grande soddisfazione nelle varie difficoltà e tappe che procedono al nostro percorso, bensì vi è un grande stato di fatica ed -a volte- senso di sconforto, soprattutto all’inizio quando non si vedono risultati.
La stessa cosa accade in montagna.

L’attività in montagna inizia già il giorno prima, quando si pianifica il percorso da fare, si verificano le condizioni meteorologiche, il terreno, le ore di luce, il cibo, l’acqua, l’abbigliamento, e tutto quello che è necessario preparare per non trovarsi in difficoltà.
Qui viene messa alla prova la disciplina necessaria, la preparazione è fondamentale in qualsiasi percorso spirituale tanto quanto qualsiasi attività in montagna.
Tutti i sentieri portano in cima, si prendono da luoghi diversi, si biforcano, si incontrano, ma di certo si può percorrere un solo sentiero per volta, che è quello scelto in base a molte valutazioni (la propria preparazione ed attrezzatura, il meteo, il tempo a disposizione, etc.).
Lo stesso vale in una Via, la Verità è una ed una soltanto (altrimenti non sarebbe Vera), dal basso è molto difficile vederla, a seconda di dove la si guardi (come la cima di una montagna) appare diversa, in realtà quando si arriva in cima ci si rende conto che è sempre la medesima. Dei molti percorsi spirituali che si possono fare per raggiungerla, di certo alcuni sono brevi ma impegnativi (ed io credo che la Tradizione Romana sia tra questi) altri invece sono più morbidi ma lunghi, con molti sentieri alternativi e deviazioni possibili (ma nei quali è anche facile perdersi e girare a vuoto).

La sera prima viene messa a dura prova la volontà dell’individuo: scegli di non andare a “spaccarti” in discoteca, mangi in modo strategico per fare carico di carboidrati, e resisti agli inviti degli amici ad uscire i quali puntualmente diranno <ma cosa ci vai a fare in montagna?! Vieni con noi a spaccarti come un cocomero che è pieno di belle ragazze!>
Questa esperienza la fanno tutti i montanari, tanto quanto colori i quali seguono una via spirituale.

Ed ecco l’iniziazione: la sveglia alle 4 di mattina (a volte anche prima).
Ammesso che suoni la sveglia (e che suona solo quando in montagna vuoi andarci davvero, altrimenti miracolosamente “qualcosa” non la farà suonare), ecco che avviene l’enorme atto di volontà: alzarsi.
Forse verrà da ridere, ma rompere l’abitudine, svegliandosi 3-4 ore prima del normale, l’unico giorno in cui potresti riposarti, è una grande sfida. Alzarsi, dare di corpo in previsione della giornata, vestirsi in modo adeguato, sacrificare agli Dèi prima di uscire per avere protezione, fare una colazione strategica (che è già stata pensata il giorno prima), fare un check materiali, prendere lo zaino ed uscire di casa.
Uscire di casa, operativi e con la testa sulle spalle, è già il 20% fatto.
Allo stesso modo questa rottura della routine, dalla condizione “normale” di vita profana, ad una condizione di vita in cui il sacro è onnipresente sempre (e che in teoria dovrebbe esser rappresentato dall’iniziazione, ma che purtroppo non sempre lo è, e che anzi spesso è vissuto nel modo più corretto da chi non è mai stato iniziato) si trova un perfetto paragone. Nella mia esperienza ho visto molte persone avere ritardi, o problemi dell’ultimo momento che gli impedivano di presentarsi ad un rito, o addirittura ad un’iniziazione, e similmente (approssimativamente nella stessa percentuale) anche nelle “buche” in montagna.

Bene, una volta partiti c’è l’obbligatoria pausa caffè al bar ai piedi della montagna, poi ultimo tratto in macchina fino al parcheggio con la musica a palla, cantando con gli amici e divertendosi fino al parcheggio.
Il primo periodo dopo l’iniziazione è sempre il più bello e felice.

Al parcheggio nuovo check materiali, si verificano le condizioni meteorologiche sul territorio, se possibile si chiede a chi vive nel luogo cosa egli prevede ad occhio, si verifica tutti insieme il percorso sulla mappa, e si parte.
Compiere una Via insieme e sempre bello e di grande aiuto, così come è importante sapere da chi conosce bene quella Via quali sono i rischi nei quali si può incorrere.

La salita inizia, chi affronta una via per la prima volta si sente morire già dopo i primi 100m di dislivello. Il cuore pompa a mille, c’è il fiatone, il corpo non si è abituato e manda una grande quantità di ossigeno alle gambe, e poca al cervello. Il montanaro lo sa, e non ci da bado, nel giro di 20-30minuti tutto passa ed inizia l’avventura.
In quei 20-30 minuti già si vede chi ha il potenziale per arrivare in cima, e chi non ce là.
In quei 20 o 30 giorni, già si vede chi ha il potenziale per arrivare al termine della Via, e chi non ce là.

C’è chi parte correndo, chi parte piano. Chi corre fa prima ma ha maggior rischio di farsi male, di iperventalazione, di stancarsi. Chi va piano ci mette più tempo ma è più sicuro, è difficile sbagliare, ad ogni incrocio magari traguarda la propria posizione prendendo a riferimento le altre cime e verifica sulla mappa la propria posizione.
Chi va più veloce spesso cade in errori, spesso si trova a studiare testi fuorvianti (sbaglia sentiero), ma di certo se rimane abbastanza attento può arrivare prima.

Tuttavia è necessario mantenere per tutto il tragitto una grande concentrazione. Camminerete un passo dietro all’altro, guardando dove mettete i piedi, pensando al vostro respiro, concentrati sul quello che state facendo. Ascoltate il vostro corpo cosa vi dice (c’è caldo, c’è freddo, sudo, non sudo, ho sete, bevi, non bere, ho fame, è presto per mangiare, avrei già dovuto mangiare, non ti appesantire), ed insieme la pressione psicologica ed un martellante demotivatore che vuol farti tornare a casa (non ce la farai, torna in dietro, ma chi te l’ha fatto fare? Potevi stare a casa al calduccio, guarda una nuvoletta tra poco viene il cataclisma, e se quando torni ti hanno rubato la macchina? Hai preso le chiavi di casa? Hai spento il gas? Torna indietro). Questo c’è anche nella via spirituale, e ben più della montagna si richiede disciplina e concentrazione, si richiede di battere e combattere contro tutte le tendenze negative, rimanendo sempre concentrati su quelli che si è, su quello che succede dentro di noi, e su quello che succede fuori.
Nessuna via spirituale utile può funzionare se si guarda solo all’esterno di sé o solo all’interno. Nessun alpinista può sopravvivere se guarda solo al meteo ed al terreno, o solo alla propria condizione fisica e psicologica.

Durante la salita possono avvenire degli imprevisti. Qualcuno si fa male oppure il tempo muta improvvisamente.
Questa è la prova più importante.
Esser in grado di valutare se rinunciare e tornare indietro, oppure continuare. Se ci si è preparati nel modo corretto prima di partire, si può procedere. Altrimenti bisogna tornare indietro, e rinunciare -per il momento- alla vetta.
L’ostinazione senza aver attentamente valutate le reali possibilità in montagna può uccidervi.
Nel percorso spirituale c’è chi si ostina in un percorso, o con un gruppo preciso, anche quando questi sono azzoppati, o quando le condizioni non lo permettono. Non lo permettono perché il soggetto non è abbastanza preparato, o perché è troppo. In entrambi i casi si rischia di farsi del male ed è meglio rinunciare.
Sia nella Via, sia in montagna, è una questione di ego. Ego che se è stato abbattuto si riesce a valutare le situazioni razionalmente. Se non lo è (cosa che accade spesso perché si nasconde sempre dietro l’angolo) non si valuta obiettivamente, e ci si fa del male.

Tra le altre disavventure che possono capitare in montagna è quello che non siate voi a farvi del male, ma siano altri, degli sconosciuti.
Sareste disposti a lasciarli lì?
Similmente tra le persone che incontrate nel vostro percorso, e che si stanno perdendo o facendo del male, cosa fate li aiutate o li lasciate lì?

Mi è capitato di incontrare escursionisti  impreparati, mal attrezzati, in condizioni meteorologiche davvero pessime, e doverli aiutare rinunciando ai miei obbiettivi. Così ho fatto in montagna, e così credo sia giusto fare anche nel percorso spirituale, perché lo scopo della vita umana è prima di tutto l’umanità (Seneca), e questa stessa umanità è parte della Via spirituale. Le montagne non si spostano da dove sono, né la Verità si muove di lì, potrete sempre tornarci.

Non è sempre tutto rose e fiori. A volte accadono cose brutte. Potreste vedere gente cadere, o sparire nella nebbia portati via dal vento. Potreste trovarvi a dover sostenere qualcuno che ha appena visto cadere un proprio caro. Potreste rompervi qualcosa voi stessi. O rimanere inchiodati a terra dal vento. Potreste perdervi e non sapere più dove vi trovate. Potrebbe arrivare la notte, e rischiare il congelamento (che in montagna è una delle principali cause di morte). Ma anche queste sono esperienze che servono a temprare il vostro animo. Se sarete abbastanza saggi e fortunati da sopravvivere (e la fortuna può dipendere soprattutto da quanto siete in Pace con gli Dèi).
Affrontare la piatta ineluttabilità della morte, potenzialmente la vostra, è qualcosa di tremendo, terribile nella sua semplicità.
Ma vi permette di rimettere seriamente in discussione l’ordine delle priorità nella vostra vita, e di tornare a casa avendo lasciato sulle rocce qualcosa di vostro come prezzo per aver tratto una saggezza molto maggiore.

Nella Via il prezzo per un errore è altrettanto grave. Così come un errore in montagna in genere ne porta con sé altri fino a giungere a situazioni senza via d’uscita, altrettanto nella via spirituale è sufficiente un piccolo errore insignificante, per scatenare la valanga chi vi sommergerà dandovi la peggiore delle punizioni: la convinzione di esser ancora sul sentiero, ed aver raggiunto un qualche livello spirituale tale da mettervi in luce più di altri. Un errore può essere una semplice bugia detta una volta, anche magari minima, irrilevante, ma anche in montagna un sassolino che scivola da un dirupo, può uccidere qualcuno più in basso, e anche voi stessi.

In tanti, affaticati dal percorso, dopo aver percorso un dislivello di 1500 metri di quota, si fermano al rifugio che è nei pressi della cima. La montagna non si è fatta se non si tocca la vetta posta in alto. Quegli ultimi 50-100m di dislivello dal rifugio alla cima sono i più duri, si pensa che sia totalmente inutile farlo, ma invece l’altra grande prova è quella. Raggiungere l’obbiettivo prefissato fino in fondo.
In molti cambiano percorso spirituale con la facilità con cui cambiano gli abiti, non è produttivo! Molti altri prima di esser arrivati si siedono, nei pressi della cima convinti di esser arrivati, ed iniziano a pontificare. Ma in realtà manca loro un ultimo tratto, che è quello che distingue chi è arrivato alla Verità e chi non c’è arrivato. Chi si ferma al rifugio in cima senza aver toccato la vetta, non è molto diverso da chi si ferma al rifugio ai piedi della montagna.

Dopo questa fatica immane compiuta, ci si guarda intorno e si vede un paesaggio senza pari. Si è compresa la Verità finalmente, ed attorno a sé si possono scorgere molti altri percorsi che conducono a molte altre cime. E quante più cime si sono percorse e tanto più si riesce a comprendere dove si è.
Ricordo che la prima volta che da una cima seppi riconoscere un’altra cima sulla quale ero stato mi ero davvero emozionato!
Sapere dove sei in quel momento, e dove sei stato. Da lassù puoi anche già pianificare dove andrai. Nulla di tutto questo è stato possibile farlo da terra, in teoria, con una cartina in mano. Bisogna farlo nella pratica.
Così come fermi ad una tappa della propria tradizione si vede lontana quella cima più bassa che si è potuto raggiungere al fine di esercitarsi per il proprio percorso attuale.

Ci si gode per un po’ il rifugio, si mangia, ci si rifocilla, si gode del risultato raggiunto. Poi arriva il momento di tornare a casa. In montagna è una grande gioia. La discesa è di una fatica diversa rispetto all’andata, è molto più veloce, si ride e si scherza. Anziché coprirsi sempre di più man mano che si procede, ci si sveste. Ogni gruppo ha poi le sue tradizioni, il nostro beve una birra e fuma in vetta, poi tappa alla baita a valle per bere qualcosa di caldo (ed io fumo la pipa o il sigaro della vittoria a seconda delle giornate), ci confrontiamo sull’attrezzatura, come migliorare, cosa potevamo non portare e cosa avremmo dovuto portare.
Poi si sale in macchina, e si torna a casa! Qualcuno dorme in macchina stremato, altri cantano, e si torna a parlare via via di questioni sempre più legate alla vita di tutti i giorni.
Non so ancora dirvi come paragonare quest’ultima fase in ambito spirituale, se mai un giorno arriverò in cima aggiornerò questo articolo cercando di spiegarlo.

La tempra fisica e mentale, la disciplina, l’ardimento ma anche la prudenza, la preparazione, lo studio, la lucidità, la concentrazione, tutte le qualità che vengono richieste in montagna, sono richieste anche in una via spirituale. E queste qualità prescindono da “cosa” si stia facendo, vanno esercitate per poi applicarle ad ogni aspetto della propria vita.

Perciò, qualunque sia il vostro percorso (compreso quello romano), andate in montagna. Cercate cime quanto più alte siano a vostra disposizione, e puntate alla vetta!
Preparatevi prima, studiate le norme di sicurezza della montagna (iscriversi al CAI può esser di grande aiuto), attrezzatevi ed andate.
Esercitate l’attività in montagna, fatelo con il preciso scopo di trarre giovamento per il vostro percorso spirituale. Ed oltre alle grandissime esperienze che potrete fare, di enorme paura, e di grandi soddisfazioni, entrerete in un modo di pensare che vi aiuterà in tutti gli ambiti della vostra vita, compresa la spiritualità.

Emanuele Viotti

2 commenti su “La montagna come esercizio di Via Spirituale”

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