Questo articolo vuole essere una prosecuzione ideale del precedente “La Montagna come esercizio di Via Spirituale“, nel quale abbiamo trattato dello spirito che è necessario avere in qualsiasi percorso spirituale si voglia seguire. In questo articolo, invece, vogliamo affrontare più nel dettaglio quale sia l’utilità che ha il rapporto con la Natura per un qualsiasi pagano.
Partiamo dunque dall’inizio.
L’essere umano non è fatto per vivere in città.
La nostra evoluzione ci ha creati e concepiti affinché vivessimo in un ambiente naturale, dove il regolare mutamento delle stagioni, del clima, del cibo disponibile, delle ore di luce, viene compensato da una grande adattabilità. Questo a differenza della maggioranza degli animali, i quali vanno in letargo oppure emigrano.
Non siamo dunque nati per vivere in una condizione di comodità nella quale adeguiamo il riscaldamento delle nostre case, o il nostro abbigliamento, per compensare il clima esterno.
Similmente questo avviene per ogni altra cosa: non siamo fatti per camminare calzati (vedi le numerose malattie conseguenti alla postura), né per muoverci a grandi distanze in poco tempo (vedi jet-lag), non siamo fatti per un largo uso di schermi ed apparati elettronici (molte malattie legato alla vista, ed agli effetti dell’elettromagnetismo sulla salute ancora in studio), né siamo fatti per accettare culture troppo diverse dalle nostre (ed infatti scoppiano guerre ogni tre per due dacché esistono gli Stati), né siamo fatti per stare in luoghi incementati pieni di sconosciuti (le città).
Siamo invece fatti per vivere in uno spazio relativamente piccolo, e quando esauriamo le risorse ivi locate, ci spostiamo a piedi in un altro luogo (che può essere a qualche decina di chilometri) da sfruttare per qualche tempo, e dove il massimo della diversità culturale che possiamo incontrare è di qualche parola (poiché spostandosi così poco, ci si troverà a contatto con qualcuno di davvero molto simile a noi). Il massimo di affollamento che possiamo trovare nella condizione naturale dell’uomo è di poche decine di individui in uno spazio di decine di chilometri, concentrati nel luogo di rifugio che è una grotta o una capanna fatta di legno e fango.
Partiamo da qui per fare una considerazione. Di certo gli Dèi sono un qualcosa che esiste di per se stesso in ciò che è naturale. Lì vi è il loro regno.
Certo, ci sono divinità anche nelle città, ma che divinità sono? Sono le divinità che costituiscono la materia di cui son fatte le case (pietre e metalli), divinità terrestri, sotterranee, infere. Cioè sono divinità che nascono per stare nel sottosuolo, che nella condizione naturale l’essere umano non abita, e che tuttavia ha estratto per innalzarle verso il cielo.
Cosa intendiamo per naturale? Naturale è ciò che esiste di per se stesso, privato di alterazione volontaria. La nascita di una montagna è un evento naturale, poiché nessuno ha deciso di farlo avvenire, non un animale, non un Dio. Bensì è nell’Ordine Naturale delle cose che un terremoto dovesse far crescere una montagna in quel punto. Che magari ha qualcosa di speciale, o magari no. Ma di certo esso è, ed è avvenuto, di per sé stesso.
Invece è innaturale quando passa per una decisione, un atto di volontà.
In nostri Padri sapevano questo, ed infatti una delle caratteristiche dei segni è proprio la loro “innaturalità”, il loro essere qualcosa che esula dal normale funzionamento delle cose. Sullo stesso principio noi definiamo come innaturale anche ciò che l’uomo agisce, la creazione, la costruzione di qualcosa di esterno all’uomo.
Questo vale anche per le azioni. Una guerra armata è un evento innaturale, una rissa (cioè una guerra disarmata) è un evento naturale, poiché probabilmente la prima nasce da un calcolo mentre la seconda da un istinto.
Non sono qui a dare giudizi di valore sul concetto di naturale ed innaturale, anche perché credo che sia nella natura dell’essere umano generare una minima quantità di innaturale (esattamente come anche altri animali: gli uccelli con i nidi, le api con gli alveari, e le formiche con i formicai), certo è che oggi quel limite lo abbiamo esageratamente sorpassato.
Ed anzi, Giove stesso ci incaricò di creare qualcosa di innaturale per esser partecipi del potere degli Dèi quando fece finire l’Età dell’Oro, ma questo è un altro discorso.
Quindi noi oggi viviamo in un mondo che non è fatto per noi. Viviamo in un mondo falso, un costrutto di nostra fantasia, che abbiamo creato nel disperato tentativo di metterci al sicuro dal mondo Naturale. Nel creare questo mondo abbiamo però dimenticando che anche noi ne facciamo parte, ed infatti siamo al sicuro dalle aggressioni degli animali selvaggi, ma non siamo al sicuro né da noi stessi (ansie, larve, autolesionismo, malattie mentali varie, autoinganni, etc.) né dai nostri consimili (omicidi, stupri, furti, ingiustizie, inganni, etc.). Perciò nel tentare di metterci al sicuro abbiamo soltanto creato nuove giungle dove gli abitanti sono gli esseri umani, e gli Dèi che ci abitano sono nella maggior parte quelli inferi. Ricordiamo che “infero” nel mondo pagano non ha un’accezione negativa in senso assoluto, ma solo di opposizione a “supero”.
Invece tutte le divinità che vivevano sul nostro piano, e che convivevano con noi (Ninfe, Satiri, Geni dei boschi, etc.) sono state cacciate fuori dal nostro mondo, così anche come quelle supere.
Come si può, in queste condizioni, pensare di avere un qualche rapporto con quelle divinità Supere a cui i pagani sono così tanto legati? Come si può entrare in contatto con qualcosa che non si conosce? Come si può compiere un atto magico senza conoscerne la manifestazione fisica?
Non si può.
Per saperlo è necessario tornare ad entrare in contatto con queste Forze, con quei Numi. E’ necessario andare a trovare gli Dèi in quei luoghi dove ancora non sono stati cacciati. Nei boschi, nei prati, sulle montagne, presso le sorgenti, nei mari dimenticati, nei laghi meno invasi, nei luoghi dove l’essere umano non porta stabilmente la propria corruzione.
Per saperlo bisogna anche fare esperienza -per quanto possibile- del modo di vivere dei nostri antenati. Furio Camillo e Seneca ci esprimono questo concetto in modo lampante:
<Se in tutta la città non si potesse edificare nssuna dimora migliore né più ampia di quella capanna del nostro fondatore, non sarebbe meglio che abitassimo anche noi in capanne, come i pastori e i contadini, fra i nostri sacrari e i nostri Penati, invece di esulare in massa?>
Furio Camillo, discorso al popolo Romano dopo la distruzione di Roma da parte dei Galli, citato in Livio
<Alla virtù non servono ornamenti: è bella di per sé e rende sacro il corpo in cui risiede. Il nostro Clarano, ho cominciato a guardarlo con occhi diversi: mi sembra bello e perfetto di corpo come lo è di anima. Un grand’uomo può sbucare da una capanna e un’anima bella e generosa da un corpiciattolo deforme e debole. La natura, ritengo, vuol dimostrare che la virtù nasce dovunque e perciò genera degli individui come questi. Potendolo, avrebbe creato anime senza corpo; ma fa di più: crea uomini menomati nel fisico, eppure capaci di abbattere ogni ostacolo>
<Ma, buon dio, come sarebbe bello entrare in quei bagni bui e ricoperti di intonaco da due soldi, sapendoli preparati per te dalle mani di un edile come Catone o Fabio Massimo o qualcuno dei Corneli! Quei nobilissimi edili avevano anche il compito di entrare nei locali destinati al popolo e di controllarne la pulizia e la temperatura, che doveva essere giusta e sana, non come quella escogitata ora, calda come un incendio, tanto da essere buona per scorticare vivo un servo colto in flagrante. Mi sembra che ormai non ci sia differenza tra un bagno caldo e uno bollente. Di quanta rozzezza alcuni accusano oggi Scipione perché nel suo bagno non penetrava la luce da ampie finestre, perché non si cuoceva al sole e non aspettava di digerire in bagno! Sventurato! Non sapeva vivere. L’acqua con cui si lavava non era filtrata, anzi spesso era torbida e quando pioveva con più violenza, era quasi fangosa. E non gli importava molto di lavarsi in questo modo; andava a detergersi il sudore, non gli oli profumati.>
<Secondo me la filosofia non ha escogitato questi congegni di tetti che sorgono sui tetti, di città che incalzano le città, come non ha escogitato i vivai ittici, creati per risparmiare alla gola il rischio delle tempeste e per offrire alla mollezza, quando il mare impazzisce furioso, cale tranquille in cui ingrassare diverse qualità di pesci. Che dici? La filosofia ha insegnato agli uomini ad avere chiavi e serrature? Non era dar via libera all’avidità? La filosofia avrebbe innalzato dei tetti che sovrastano così pericolosamente chi vi abita? Non bastava proteggersi con ripari fortuiti, trovarsi un rifugio naturale che non richiedesse tecnica o fatica. Credimi, era felice quell’epoca senza architetti, né decoratori. Tagliare le assi in modo regolare, segare le travi con mano sicura secondo le linee tracciate, questo è nato col nascere del lusso;
i primi uomini, infatti, spaccavano con cunei il legno che si fendeva con facilità.
Non costruivano dimore con stanze destinate ai banchetti, pini e abeti non venivano trasportati in lunghe file di carri, facendo tremare le strade, per trasformarli in soffitti carichi d’oro sospesi sulle loro teste. Puntelli dai due lati sostenevano la capanna; rami secchi stipati, fronde ammassate disposte con opportuna inclinazione assicuravano il defluire delle piogge anche torrenziali. Sotto questi tetti abitavano al sicuro: un tetto di paglia riparava gente libera; oggi sotto i marmi e l’oro abitano dei servi.>
Seneca, Lettere a Lucilio, varie
Certo, vivere così oggi è impossibile, ma è per noi importante farne esperienza.
Come si può pensare di comprendere cosa sia il vero dormire, e la saggezza di un sogno, se non avete mai dormito in un bosco, così come fece Numa Pompilio?
Come si può pensare di saper accendere un fuoco sacro, se non si è fatta esperienza di accendere un fuoco nella materia, sfruttando la forza numica (per usare un termine più comunemente comprensibile potremmo dire “magica”) di quella pietra il cui fuoco è già all’interno, e che possiamo estrarlo tramite lo sfregamento? O usando due legni di arbor felix sfregati tra loro?
Come si può conoscere la forza dell’acqua, sia interna a noi, sia esterna da noi, senza aver fatto mai un bagno in un ruscello? Togliendo da noi il sudore usando la sabbia di quello (e non qualche malefico artifizio industriale, i cui avanzi uccidono i naturali abitanti di quel rivolo)?
Come si può immaginare la naturale condizione dei nostri personali confini (che sono Sacri), se non abbiamo esperienza del caldo e del freddo, della pioggia e del sole, e -soprattutto- non abbiamo mai dovuto prenderne atto ed accettarli come esistenti, se ad ogni minima variazione subito corriamo al riparo?
Come si può conoscere la cruda realtà della Natura, se non si è vista la bellezza dei suoi boschi, ma anche il timore degli animali che vengono a visitare i dintorni della tua tenda mentre dormi?
Trovarsi faccia a faccia con un cinghiale più grande di te, o sentire l’ululato dei lupi in una notte di fine ottobre, corregge l’immagine romantica degli Dèi che abitano i boschi.
Timore e rispetto, riverenza ed ammirazione, questi sono i sentimenti che impariamo ad avere verso il mondo naturale al quale apparteniamo, e ai cui Dèi noi ci accostiamo nei nostri riti.
Imparare a seguire ed osservare i cicli naturali (le stagioni, il calendario lunare, la nascita la crescita e la morte, etc.) passa non solo dalla vita domestica, dalle date convenzionali di inizio delle stagioni, e dai programmi per computer col calendario lunare. Ma passa per andare a vedere ed a sperimentare, nella natura vera, cosa significa vivere come i nostri antenati, e come loro trovarci a diretto contatto con gli Dèi della natura… a rischio anche di qualche pena, di fatica, di lievi sofferenze causate dalla nostra abitudine a venir soddisfatti da ogni mancanza.
Non possiamo certo abbandonare totalmente l’attuale modo di vivere, non sarebbe giusto, non sarebbe umano. E l’umanità è il primo e vero scopo della vita umana:
<Resti perciò ben fermo questo principio: nella scelta dei doveri, prevalga quella specie di doveri che è connaturato con la società umana. E razionale sarà quell’azione che seguirà conoscenza e saggezza; solo così avverrà che l’agire con riflessione valga più dell’accorto pensiero.>
(Cicerone, De Officis, I,45)
Bensì bisogna vivere con gli altri esseri umani, senza tuttavia agire allo stesso modo, questa soluzione già la diede Seneca.
<Se ti avessi qui, discuterei volentieri con te sulla condotta da seguire: vanno mantenute le nostre abitudini quotidiane oppure, per non sembrare in contrasto con gli altri, dobbiamo pranzare più allegramente e toglierci la toga? Mentre una volta questo accadeva solo nei momenti difficili e quando la città era in pericolo, ora cambiamo veste per festeggiare e darci ai piaceri. Se ben ti conosco, tu, assumendo il compito di giudice conciliatore, non vorresti che noi fossimo in tutto simili alla folla imberrettata, e neppure completamente diversi; salvo che proprio in questi giorni in cui la massa si abbandona ai piaceri, dobbiamo costringere il nostro animo ad astenersene, anche se è il solo; una prova certissima della propria fermezza può averla se non si accosta agli allettamenti che portano alla dissolutezza né vi si lascia trascinare. Essere perfettamente sobri e temperanti mentre tutti gli altri si ubriacano e vomitano, è indice di una maggiore forza morale, ma è segno di una maggiore moderazione non allontanarsi da tutti, non cercare di distinguersi dagli altri, e nemmeno confondersi con la massa; fare le stesse cose, ma allo stesso modo, non farlo: è possibile festeggiare senza sfrenarsi.>
(Seneca, Lettere a Lucilio, I, 18)
Cioè agire come gli altri, in quanto siamo esseri umani, e contemporaneamente sapere che non bisogna eccedere.
Non possiamo noi oggi andare in giro con addosso “l’odore della guerra, della fatica e del sudore”, né avrebbe senso aggirarci per le strade indossando soltanto la toga, né vivere in una capanna in qualche isolato bosco.
Tuttavia possiamo vivere moderatamente, e possiamo fare occasionale esperienza di questo modo di vivere, che è il più adatto alla nostra costituzione di esseri umani!
Purtroppo siamo bombardati di timori riguardo questo.
Non bisogna mai bere l’acqua dei ruscelli per il rischio di chissà quale terribile malattia. Di tutte le volta che mi sono accampato ed ho bevuto quell’acqua anche senza bollirla, non ho mai preso nessuna malattia.
Non bisogna bivaccare nei boschi per timore degli animali o dei briganti (qualcuno crede esistano ancora e che si accampino nelle foreste come Robin Hood), il danno più grave che mi è noto per racconto di un amico fu il naso di un lupo tra i bottoni di chiusura della sua canadese. A me personalmente hanno solo fatto gran casino tra la legna che avevo raccolto il giorno prima per la colazione.
Non bisogna fare il bagno nei fiumi, e temere la pioggia, poiché il freddo porta gravissime malattie, e se ti ammali in montagna sei morto. Io di tutte le volte che ho preso acqua, o che mi sono fatto lunghi bagni nei ruscelli dell’Appennino laziale (anche a febbraio) non mi sono mai ammalato. Tra l’altro si è scoperto che non c’è correlazione tra il freddo e le malattie, ma la correlazione anzi è legata al lungo periodo in ambienti chiusi e poco arieggiati. Quindi avete più probabilità di ammalarvi girando in città, che non “correndo nudi nella neve” in un luogo isolato.
Tutti questi sono timori infondati, che ci allontanano dalla Natura cui apparteniamo, e ci spingono ad averla maggiormente in odio. L’odio poi è un elemento che in questi decenni si sta alimentando a dismisura al punto da diventare un modo abituale di vivere, al punto da odiare per scherzo.
Quindi non c’è ragione di temere di andare a trovare gli Dèi nel loro luogo. Imparare a sentire gli alberi, imparare a sentire il fuoco, i ruscelli, il vento e le voci che porta, sentire la terra, ascoltare. Sentire ed ascoltare. Non distratti con il telefonino in mano, ma nel silenzio della mente.
Imparare a sentire tutte queste cose, sentirle fuori e dentro di sé, per poi riproporle al di fuori. Riproporle nel rito.
Soltanto in questo modo l’azione rituale può diventare efficace. Soltanto in questo modo i segni possono assumere un senso.
E a prescindere dall’azione rituale, questo e soltanto questo è il vero contatto con gli Dèi della nostra terra. Il parchetto sotto casa è un artificio umano, qualcosa trasmette anch’esso, ma nulla paragonato alla realtà del mondo naturale.
E tutto questo si può fare senza un maestro, preparandosi tecnicamente dal punto di vista materiale, e senza necessariamente qualcuno che vi accompagni.
Basta onestà, cuore pure, fiducia negli Dèi, ed un po’ di “sale in zucca”.
Va fatto, è obbligatorio farlo, ed è necessario rifarlo con una certa costanza e regolarità. Fatto una volta non serve, perché sempre si necessita di richiamarlo alla mente ed all’anima, perché le distrazioni del finto mondo in cui viviamo tendono sempre ad allontanarci nuovamente da quel mondo naturale, da quelle forze. E per questo noi dobbiamo andare a riprendercele.
Tutto questo, sapendo e ricordando che la Natura non è solo un luogo di rose e fiori, è anche pericoloso, per questo va tutto fatto con i suoi tempi, con calma, e la giusta preparazione. Attendete i periodi migliori per andare le prime volte, preparatevi preparatevi preparatevi. E mi raccomando di leggere insieme a questo articolo anche quest’altro link.
Un romano nei boschi che cosa ci fa? Questa è roba da Celti barbari.
Eppure i primi abitanti del Lazio, i primi uomini che hanno calpestato questo sacro suolo, coloro i quali conobbero l’età dell’oro, e poi quella del bronzo e del ferro prima dell’arrivo degli uomini “nuovi” e di Enea, e prima che si iniziasse a vivere in grandi città e nel cemento, insomma i primi uomini, i nostri più lontani antenati, da cui i Romani discendono erano gli Aborigeni.
Aborigeni che erano uomini, si, ma nati dagli alberi.
E quindi agli alberi ed alla natura bisogna tornare per apprendere ciò che abbiamo dimenticato.
Emanuele Viotti