<Un tempo Roma, dal nome di mio padre fu detta Saturnia,
e per lui questa terra fu più vicina al cielo.
Se il talamo è in pregio, mi spetta il titolo di consorte del Tonante,
e il mio tempio è congiunto a quello di Giove Tarpeio.
Ma come! Una concubina poté dare il suo nome al mese di maggio,
e invece tale onore sarà negato a me?
Perché dunque mi si dice regina, e la prima delle dee?
Perché lo scettro d’oro fu assegnato alla mia mano destra?
Ma come! I giorni formeranno il mese, e da essi sarò detta Lucina, e non prenderò nome da nessun mese?
In tal caso mi pentirei di aver deposto lealmente l’ira
contro la stirpe di Elettra e la casa Dardania. […]
Ma no, non mi pento , né v’è alcun popolo a me più caro:
qui io sia venerata e occupi il tempio insieme con il mio Giove.
Marte stesso mi disse “ti affido queste mura;
tu sarai potente nella città di tuo nipote”.
La parola fu mantenuta: mi onorano cento altari;
e maggiore di ogni altro onore è per me quello del mese.>
(Ovidio, Fasti, VI,31-56)
Giugno è l’ultimo dei mesi che compare nei Fasti di Ovidio (la cui produzione venne interrotta a causa della cacciata dell’autore per opera di Ottaviano), ed è l’ultimo ad essere “nominale”, infatti tutti i successivi saranno numerali. In merito alla questione del nome dei mesi ne abbiamo parlato in quest altro articolo.
Per quanto riguarda l’origine del nome di questo mese Ovidio propone per Giugno 3 diverse indicazioni: da Giunone (Iuno), dai giovani (iuniores) in contrapposizione a maggio (maiores) di maggio, oppure alla congiunzione (iunctio) dei romani con i sabini (Ov. Fas. 6,1-96). Invece a parere di Macrobio (Saturn. 1,12,31sgg), Giugno, prese nome proprio da Iunius Brutus, liberatore di Roma dalla monarchia 509ac).
Forse tra queste diverse etimologie esiste un filo conduttore comune.
Anticipiamo, per rendere più chiaro il concetto meglio espresso dopo, che l’etimologia spiegata da Macrobio andrebbe giustificata dal passaggio di diritto del ius gentium assolutamente predominante in età monarchica, allo ius civilis tipico della Res Publica; un passaggio lento e graduale che venne reso dall’annalistica romana come un passaggio traumatico avvenuto con l’istituzione repubblicana da parte di Giunio Bruto con la cacciata dei Tarquini. Ma su questo torneremo a breve, ed il collegamento diverrà più chiaro leggendo.
Il filo che unisce le ipotesi ovidiane invece è il matrimonio: se maggio è un mese inadatto ai matrimoni, giugno essendo immediatamente successivo, diventa un mese particolarmente adatto ai matrimoni (sul divieto di sposarsi a maggio: Ov. Fast. 5,490; Porph., ad Hor. Epist. 2,2,209; Plut., q.R. 86; etc.). Infatti l’ipotesi di Plutarco ruota intorno alla contrapposizione maggio-giugno, dove Giugno sarebbe il mese di Giunone, dea strettamente connessa al concetto di matrimonio. Anche Ovidio sembra riprendere questo concetto e fa dire a Giunone <una concubina (paelex) poté dare il suo nome al mese di maggio, e si vorrebbe privare me di un simile onore?> il termine paelex compare anche in una legge di Numa dove si vietava alle concubine di entrare in contatto con il tempio di Giunone, fissando come pena la rasatura dei capelli ed il sacrificio di un’agnella <Paelex aedem Iunonis ne tangito; si tangit Iunoni crinibus demissis agnum feminam caedito> (Gell. 4,3,4), questo perché il concetto di concubinato si oppone chiaramente a Giunone dea del matrimonio. Il paragone è dettato tra Giunone e la dea di maggio che era Maia, interpretata come amante di Giove (in quanto assimilata alla greca madre di Hermes). Il matrimonio è appunto una iunctio, come dice Ovidio, una congiunzione che rende con–iuges (coniugi). Inoltre Ovidio parla della congiunzione tra romani e sabini avvenuta tramite il famoso ratto, quando le donne sabine divennero mogli dei romani, e <dei due popoli se ne fece uno solo> (Liv. 1,13,4).
Per quanto concerne l’etimologie da iuniores, potremmo dire che chi si unisce in iunctio divenendo coniuges è un iunior rispetto invece a chi è già sposato (così come nel nostro linguaggio definiamo “giovanotto/ragazza” chi non è ancora sposato). Iuno (Giunone) e iunor derivano dalla stessa radice, e questo faceva mettere in relazione ai romani Giunone con i giovani ai quali è dedicato il mese.
Abbiamo però detto che il mese dei giovani “naturali” è febbraio (Luperci) che vengono inseriti in una gioventù culturale a marzo (Salii), entrambi contrapposti agli anziani di maggio (Arvali), seguendo una logica evolutiva della virilità maschile; interrotti dalla femminilità naturale di aprile che, al contrario, in questo mese di Giugno viene indirizzata verso una femminilità “culturale” tramite il matrimonio e quindi sotto l’egida di Giunone. Noi diciamo “femminilità”, ma i romani potevano anche dire iuno parlando del peculiare femminile, del suo potenziale femminile, e della femminilità. Ogni donna aveva la propria iuno così come ogni uomo aveva il suo genius (Plin. n.h. 2,7; Sen. Epist. 110.; da Tibullo 3,6,47 si direbbe che le donne giurassero sulla propria iuno così come gli uomini erano soliti giurare sul proprio genius). Genius sembra essere legato alla generazione, mentre iuno alla giovinezza. I romani avevano unito le cose nel loro sistema di valori per cui la capacità generativa dell’uomo è legata alla gens quindi alla trasmissione del nome, ed è una questione culturale totalmente slegata dall’età; al contrario per la donna è legata alla creazione dei figli, e quindi alla giovinezza. Questo costrutto culturale fa’ anche si che i figli della donna non siano appartenenti alla propria gens ma alla gens del marito (motivo per cui ancora oggi si prende il cognome del padre, e non della madre).
Così come è difficile definire la iuno così è difficile definire cos’è il genius:
<chiamavano genius il dio che aveva potere su tutte le cose cose che si dovevano fare> (Paolo Diacono, Paul. Fest. 84L), quindi era un ente che determinava il comportamento (pensiamo al nostro <non mi va a genio>, quindi lontano dalla razionalità in favore della sensazione). Ma ecco che Varrone (citato in Aug. de.civ.Dei 7,13) dice <il genius è l’animo razionale>, quindi diventa difficile dare una definizione precisa. Il problema dell’esatta definizione di queste divinità connesse all’interiorità dell’essere umano è davvero complesso, ne abbiamo in parte già parlato qui.
Per i Romani esistevano anche geni collettivi (per esempio di una legione), di località (genius loci), noi diremmo che è la “natura” di un luogo o di un gruppo, di un concetto, con cui è necessario entrare in contatto religiosamente, per esempio sacrificavano al genio di una legione quelli che vi militavano, o al genio di un bosco quelli che vi facevano la legna, così come al genio maschile era solito sacrificare ogni soggetto maschile, in pratica ognuno rendeva onori alla propria natura, alla propria identità gentilizia in quanto prodotto e membro di una gens.
Vi è quindi una contrapposizione tra la persona oggettiva del genius, e la persona accessoria della civitas che vive al modo romano la vita, senza indulgere al proprio genio e attento a non defraudare la civitas. La concezione di “oggettivo” e “accessorio” assumono nel nostro modo di pensare un valore positivo il primo, e negativo il secondo, cosa che non accadeva in modo assoluto in epoca romana, ma variava a seconda del contesto. Il genius opera a livello fisiologico (è un deus naturalis ed opera a livello della natura, Serv., ad georg. 1,302) a differenza dell’anima che lavora su un piano psicologico. A Roma la differenza si pone tra naturalis, gentilicus e civicus, da cui i diversi concetti di ius naturalis, ius gentilicus (o sanguinis) e ius civilis. Questa contrapposizione si consolida nel superamento della monarchia e la nascita della res publica e del suo rifiuto dell’ordinamento gentilizio. Questo passaggio va infatti inserito in una serie di fasi che prevedevano la stratificazione del diritto successivo sopra a quello precedente: il diritto delle genti supera quello naturale alla fondazione della città, e con la costituzione della Res Publica il diritto civico va a porsi sopra a quello gentilizio. Infatti le istituzioni della Res Pubblica andranno lentamente ad erodere il diritto gentilizio a tutti i livelli compreso quello religioso, arrivando in fine a togliere il controllo del culto alle singole gentes per poi renderlo accessibile ai soli patrizi prima, ed a tutto il popolo poi. Ne abbiamo parlato parzialmente qui. Ed ecco quindi spiegato l’apprezzamento romano per l’accessorio ed il deprezzamento per il naturale. Questo non significa che all’epoca indugere al proprio genio fosse sempre riprovevole, c’erano i giorni in cui era consentito (quando i tribunali erano chiusi nei giorni nefasti, cioè chiudevano gli strumenti che formalizzavano e garantivano lo ius), che quindi si aveva una vacanza dalla personalità giuridica in favore del subentro della personalità geniale. Ma chi eccedeva troppo spesso allora si che era deprecabile.
Il giorno del proprio compleanno i maschi sacrificavano al proprio genius, mentre le femmine alla propria iuno (che appaiono spesso con l’appellativo natalis come in Tibullo 4,6,1). Il rapporto tra genius e iuna si manifesta in diversi termini. La iuno si manifesta al massimo quando la donna è fertile e “femminile” nel senso romano, per questo ogni volta che si parla di iuno ci si riferisce sempre a delle puellae (fanciulle), inoltre non dimentichiamo che le donne devono fare la detestatio sacrorum prima di sposarsi, e quindi abbandonavano i sacra (riti, divinità, sacrifici, etc.) della gens a cui appartenenvano per prendere quelli della gens del marito. Per questo “dettaglio” esse hanno una iuna e non un genius, nonostante a livello pratico-religioso tra queste due entità non c’è una sostanziale differenza o valore. Potremmo anzi dire che la iuno ha una valore più strettamente individuale, connesso alla persona, mentre invece il genius è più strettamente connesso alla gens di appartenenza. Risulta quindi nella logica romana che le fanciulle siano l’ideale preda del genius (praeda genialis) come dice Ovidio richiamando il ratto delle Sabine (Ov. ars am 1,125: ducuntur raptae, genialis praeda, puellae). Il genius godeva della perennità che si attribuisce alla gens che costituiva una realtà metastorica superindividuale, oltrepassante i limiti della vita di ogni singolo uomo storico. La iuno ha un carattere più propriamente individuale, ciò nonostante doveva avere una grande importanza tanto da farne una divinità, Giunone. Questa connessione divina -al contrario- Giove non ce l’ha con il genius, anzi addirittura è un concetto tanto separato che Giove possiede un’essenzialità personale, Giove ha un genius proprio separato da quello umano che compare come Genius Iovis (CIL 9,3513, o Genius Iovialis in Arnobio 3,40).
In questo quadro della funzione del genius e della iuna si vede bene la differenza che i romani vedevano tra uomini e donne, una differenza che pur essendo qualitativa non pone l’uno o l’altro in una posizione di predominanza dal punto di vista religioso, ma gli attribuisce una diversa funzione, diverse qualità e peculiarità.
Il fatto che, per esempio, la iuno sia di carattere propriamente personale e così fortemente legato a Giunone comporta certamente quanto abbiamo detto prima in merito alla procreazione e all’abbandono delle divinità familiari al momento del matrimonio, ma d’altro canto fornisce una serie di capacità “magiche” tipiche di Giunone e che la cultura popolare attribuisce alle donne. Per esempio la mantica (Iuno Moneta che ammonisce), di avere il potere di placare gli istinti del marito e quindi anche garante dell’unità sociale (Viriplaca nata come dea a sé e diventata appellativo di Giunone, chiaramente va a contrapporsi a Venere in questo senso) del resto furono le matrone ad impedire il massacro tra Romani e Sabini (gli uni mariti e gli altri padri e fratelli). Perciò la donna romana rinuncia al suo legame di identità con la gens di appartenenza incarnando la propria iuno ottenendo però grande potere personale e sul marito il quale è e rimarrà sempre parte della collettività gentilizia senza nutrire grandi qualità come individuo (se non quelle prodotte dalla sia gens). Non a caso le divinità che compaiono in questo mese descrivono la donna e le qualità femminili: Giunone Moneta, Fortuna (connessa alla previsione del futuro), Cardea (che come tutte le divinità dei passaggi ha un potere di visione del futuro), ma anche Mater Matuta e Vesta che incarnano l’ideale della moglie.
In conclusione il mese di Giugno va messo in paragone con quello di Marzo, così come Aprile è stato messo in paragone con Febbraio. In questo mese propizio al matrimonio e sotto la tutela di Giunone il femminile fa quel passaggio da naturale a civico che il maschile ha fatto a Marzo.
Va in fine ricordato che il 21 giugno si pone la festa di Cardea, il giorno del solstizio d’estate chiamato infatti cardo anni (il cardine dell’anno), al cui opposto si poneva -ovviamente- il solstizio d’inverno dedicato alla Diva Angerona. Questo è importante per ricordare, una volta di più, l’importanza che i solstizi avevano nella religione romana.
Segue l’elenco delle festività ed un breve accenno su ognuna di esse.
Le date sono inserite con il computo romano, per due ragioni:
1) permettere al lettore esperto di inserire nel feste nel sistema calendariale che reputa più appropriato (cosa impossibile con la nostra datazione ordinaria);
2) far prendere al lettore novizio dimestichezza con il sistema di computo inclusivo che conta i giorni mancanti dalla festa successiva;
Per la comprensione della datazione rimandiamo ai precedenti articoli: Kal-Non-Idus; Calendario Romano: Romuleo; Calendario Romano: Numa; “Calendario Romano: Cesare e successivi” ; Come si legge il calendario romano?
- Kal APR F Carna, Iuno Moneta
- ad III non C Bellona
- pr. non C Hercules Magnus Custos
- NON N Semo Sancus Divus Fidius
- ad VII eid N Ludi Piscatorii
- ad VI eid N Mens
- ad V eid N VEST Vestalia, ciclo di feste legate a Vesta dal 7 al 15 giugno legate alla purificazione del tempio
- ad III eid N t. MATR Matralia, Fortuna festa legata a Mater Matuta
- EID NP Iupiter Invictus, Quinquatrus Minores
- ad XVII kal iul Q.ST.D F si gettavano le immondizie sacre del tempio di Vesta
- ad IX kal iul C Cardea solstizio d’estate
- ad VIII kal iul C Fors Fortuna
- ad V kal iul C Aedes Lararium, T. Iovis Statori
- ad pr kal iol C T. Quirini
Per le qualità dei giorni (F,N,C,FP,EN,NP,Q.ST.D.F. e Q.R.C.F.) vedi qui.
Emanuele Viotti
Interessantissimo…! Grazie 🙂