Rito Romano I: accostarsi al rito

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Non si può definire “semplice” la rituaria romana, essa comprende numerose conoscenze teoriche e pratiche che si vedono necessarie per poter eseguire un rito.
Questo gran numero di norme sono fortunatamente fatte salve da un nutrito numero di fonti, diversamente da quello che avviene per altre realtà pagane.
In questa serie di articoli sul Rito Romano cercheremo di dare delle indicazioni precise e puntuali (dove possibile) su come compiere un rito, in modo tale da dare a tutti la possibilità di farlo.
L’ordine per argomento seguirà lo stesso del rito vero e proprio.

 

Diversamente da molte realtà pagane vigenti oggi giorno, il rito romano richiede che ci si debba accostare alla pratica con una determinata condizione.
Questa condizione la definiremo usando le parole di Cicerone (De Legibus) e cioè castus et purus.
Il periodo di tempo che intercorre tra quello di condizione normale e quella di castus et purus durante il quale si attuano una serie di azioni e rinunce si chiama preparazione rituale.

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Per castus di intende una condizione di purezza generica, l’assenza di contaminazione, sia in termini fisici che di comportamento.
Castus è pertanto colui che non è “contaminato”, quindi una matrona casta era colei che aveva rapporti solo con il marito, una vestale era colei che non aveva alcun rapporto, e per estensione un oggetto casto era un oggetto che era usato per un solo ed unico scopo (nello specifico rituale).
Perché si assimila il rapporto sessuale ad una questione d’impurità?
Non tanto perché i romani pensassero che fosse sbagliato (come invece la cultura cattolica insegna), bensì perché il passaggio di fluidi fisici e metafisici tra due persone durante un rapporto, portano ad una condizione di contaminazione (positiva o negativa che sia), e quindi pertanto per accostarsi al rito romano è necessario un periodo di astinenza sessuale per mantenere uno stato di non contaminazione. Questo lo troviamo -per esempio- in uno dei riti eseguiti da Numa (Ovidio, Fasti, IV.657) e così anche altri (Ov.Fas,II.330; Liv.39,9,4; J.G.Frazer, P.Ovidii Nasonis Fastorum libri sex II,364;Cic, De leg. 2,24; e a.)

Purus ha un significato simile, esso indica pulito, esente da macchie, indica quindi una questione più strettamente fisica che morale. Esso deriva dalla radice indoeuropea *pur, fuoco, è interessante vedere infatti che in tutta la cultura occidentale (e non solo) si veda in questo elemento il concetto di purezza. Una parte dei riti di purificazione infatti prevede il bruciare determinate piante/erbe/resine ed usare le loro suffumigazioni a questo scopo. E non a caso il fuoco è proprio funzionale alla purificazione anche in termini sanitari (pensiamo solo al disinfettare un oggetto metallico, o all’eliminare i batteri con l’ebollizione dell’acqua), ovviamente quando nacque questo termine non si aveva la coscienza scientifica odierna, ma è interessante notare ancora una volta come solo con l’analisi analogica si fosse giunti a comprendere una verità, applicata poi anche al mondo rituale.

L’energia che ognuno di noi conserva in sé è qualitativamente dettata anche dalla nostro stato emotivo, dal nostro agire, da nostro contatto con altre persone più o meno “pure”, pertanto nel momento in cui la utilizzeremo durante il rito avrà un’influenza sul rito sesso.
Inoltre il valore quantitativo della nostra energia è data anche dal tipo di attività fatta, e durante un rapporto sessuale questa energia viene scaricata. Quindi anche un rapporto sessuale dei più puri fatti con la persona più pura del mondo o anche “in solitaria” è un dispendio di energia che non permette di fare il rito.
Per comodità e precisione vale la pena di parlare di “castità di pensieri, parole e atti”.
Quindi se non siamo in condizione adatta a fare un rito (fosse anche solo uno stato emotivo alterato!) meglio lasciare perdere.

Non ci è noto quanto tempo fosse precisamente richiesto in Roma antica per poter effettuare un rito.
Sulla base della sperimentazione pratica si può dire che:
-per una comune offerta, senza un rito strutturato o senza invocare divinità maggiori, o senza fare richieste specifiche, sarà sufficiente far passare 5-6 ore.
-per un rito legato ad una festività specifica, o comunque una richiesta ad una divinità maggiore, almeno 24 ore
-per un rito comunitario almeno 3 giorni

Queste non sono tempistiche ipse dixit e si ribadisce che sono il risultato di sperimentazione pratica e non è sottolineato in nessuna fonte. Motivo per cui sono modificabili, anche perché ognuno di noi è diverso, pur essendo serenamente alla portata di tutti.
Sottolineando che in linea di massima maggiore è il tempo in cui si sta nella condizione di preparazione rituale, meglio è, ma bisogna evitare di cadere nella superstitio. Sempre la sperimentazione empirica ha dimostrato che una persona che non ha ricevuto una preparazione, che non è allenata -diciamo- oltre un certo tempo inizia a sviluppare una resistenza ed una stanchezza per cui si ottiene il risultato contrario rispetto a quello voluto.
Si consiglia pertanto di sperimentare la preparazione rituale tanto a lungo fino a quando non si inizia a percepire un profondo senso di stanchezza (non tanto la sofferenza per desiderio, ma di stanchezza, fiacchezza), quello è -in quel momento- il limite massimo utile di accumulo di energia. Inoltre bisogna ricordare che molta energia accumulata, si deve anche essere in grado di utilizzarla, quindi meglio non esagerare: in medium stat virtus.
Se si è agli inizi, 24 ore sono serenamente alla portata di tutti, così come anche una o due settimane, ma se non state perseguendo un percorso spirituale specifico, e soprattutto se non siete seguiti direttamente da qualcuno evitate periodi di preparazione spirituale più lunghi.

La questione alimentare è un poco più spinosa, sono difficili e poco chiarificatorie le fonti a riguardo.
A logica potremmo semplicemente dire che in linea di massima è meglio un’alimentazione leggera la sera precedente al rito, e dalla cena al rito astenersi dall’assimilare qualunque cosa sia diversa dall’acqua.
Oltre a quanto detto fino adesso è importantissimo rilevare la condizione mentale dell’approcciarsi al rito.

<<Caste iubet lex adire ad deos, animo videlicet in quo sunt omnia; nec tollit castimoniam corporis, sed hoc oportet intellegi, quom multum animus corpori praestet, observeturque ut casto corpore adeatur, multo esse in animis id servandum magis. Nam illud vel aspersione aquae vel dierum numero tollitur, animi labes nec diuturnitate evanescere nec amnibus ullis elui potest.>>
<<La legge ordina di accostarsi con purezza agli Dei, purezza d’animo naturalmente, poiché in essa tutto è compreso; non esclude però la purezza del corpo, ma occorre che si capisca questo, cioè che, essendo l’anima considerata superiore al corpo, se ci si deve presentare con purezza di corpo, questo principio sarebbe molto più necessario osservarlo nell’anima. Quello infatti può essere purificato o con lustrazioni o col trascorrere di un certo numero di giorni; ma la macchia dell’anima non può né svanire col tempo né detergersi con l’ acqua di un fiume.>>
-Cicerone, De legibus 2,24
La mente deve essere pulita, pura, bisogna avere pensieri puliti.
Quindi evitare litigi, rancori, arrabbiature, ma anche eccessivi stati di euforia e felicità subito prima del rito.
La cosa migliore è accostarsi con una condizione d’animo di serena assenza di emozioni (per quanto possibile) tenendo la mente il più sgombra possibile. A questo scopo sono numerosi gli esercizi di meditazione che si possono fare (non ne sono noti di romani purtroppo**) di tradizione anche orientale, tutti validi allo scopo di liberare la mente, e concentrarsi solo ed esclusivamente sul rito.
Questa è per altro un’altra dimostrazione del perché le defexiones (un tipo di maledizione) non avessero un valore catartico come si sostiene in alcuni ambienti neopagani, ma avessero un preciso valore magico, e che pertanto si dovessero eseguire con fredda determinazione, e non sul momento con rabbia cosa che può provocare un ritorno non gradito (esattamente come per la rituaria che stiamo prendendo in considerazione adesso).[**è da sottolineare che se non abbiamo esercizi di meditazione romani, è perché oggi per “meditazione” intendiamo un momento in cui dedichiamo dello spazio temporale a questa attività, diversamente da quello che traspare dai testi filosofici romani (e greci) che invece vede una sorta di “vivere in meditazione” dove si è perennemente in uno stato di profonda concentrazione su ciò che si fa, su ciò che ci circonda, e su ciò che avviene dentro di noi.]Vogliamo precisare che quest’atarassia con cui ci si avvicina al rito non deve essere né una forzatura (seppur ci voglia il giusto impegno) né una condizione malata di incapacità di provare emozioni, né tanto meno un rapporto freddo con la divinità. E’ piuttosto uno stato dettato dall’assenza di distrazioni, del resto le emozioni sorgono a causa di un qualche “input” esterno o un pensiero, l’assenza quindi di distrazioni e la totale concentrazione conduce immancabilmente all’assenza momentanea di emozioni.
Il modo corretto di accostarsi non è quindi il trattenere le emozioni in modo forzato (che non lo è mai), ma è la totale ed assoluta concentrazione: mantenere la mente sgombra dai pensieri nel momento immediatamente precedente e per tutto il rito, e limitarsi ad eseguire secondo quanto si dirà nei prossimi articoli (che come si vedrà non è un modo meccanico) le azioni rituali.
Per il rito è necessario il silenzio assoluto, mentale ed attorno a noi, ogni rumore che distragga l’officiante costringe a ricominciare il rito da capo
Bisogna quindi spazzare l’area di fronte al larario, e compiere adeguate abluzioni di cui parleremo nel prossimo articolo.

Emanuele Viotti

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10 commenti su “Rito Romano I: accostarsi al rito”

  1. Vorrei se possibile dei chiarimenti su alcuni punti dell’articolo di cui non trovo riscontro nelle fonti o che mi risultano strani ritualisticamente. Prima precisazione si parla di Castus come di astinenza sessuale e di Purus come pulito e più sul piano fisico. Dai miei studi risulta chee Casto viene da due radici sanscrite Cudh-ye che vuol dire “lavato”, “purificato” e Cas-ti “tenere in ordine”, Puro deriverebbe invece dalla radice sanscrita Pu- “rendere netto” mentre Pyr, “fuoco purificatore”, è si etimologicamente corretto ma a me risulta essere di origine greca. Ritengo quindi che tali termini non furono usati a caso, mai intendendo ciò che essi realmente sottintendono, cioè la Castità intesa come tenere in ordine la mente e lo spirito in modo da dirigerli (ordinarli) verso l’azione sacra e Purezza intesa come eliminazione delle energie spurie che potrebbero inficiare l’azione sacra. Naturalmente nel contesto arcaico queste azioni dovevano essere eseguite sia sul piano materiale, mentale e spirituale contemporaneamente… poiché non vi è separazione tra il mondo sacro e il mondo profano. Alla luce di questo, trovo un po’ viziata da prospettive moderne (e quindi cristiane) il ragionamento espresso nell’articolo ove si fa riferimento a una purezza derivante da prescrizioni sessuali, alimentari, sociali, morali. Questa concezione non l’ho mai ritrovata nelle fonti antiche, men che meno latine, se non nella cultura cristiano biblica. La stessa citazione del De Legibus in antitesi all’idea di impurità degli atti ribadisce: “essendo l’anima considerata superiore al corpo, se ci si deve presentare con purezza di corpo, questo principio sarebbe molto più necessario osservarlo nell’anima”. Sarebbe, secondo me, più corretto affermare che nel prepararsi a svolgere una azione sacra è bene distaccarsi da altre attività ed intenti (materiali, mentali, spirituali) che non siano direttamente connessi col rito in oggetto. Il tempo richiesto per arrivare a tale stato fisico, mentale e spirituale è soggettivo e non credo possa essere normato, infatti la “tempistica” ritengo derivi da fattori interni ed esterni alla persona e solo una pratica costante della meditazione e dell’autocontrollo può ridurre.
    Se vi sono fonti latine che indichino chiaramente come responsabili di impurità comportamenti sessuali, alimentari e sociali, vi prego di rendermeli noti affinché possa studiarli. Grazie

    1. Emanuele Viotti – Salve a tutti, Sono uno dei tanti ragazzi che studiano le religioni e la storia antica, nel mio caso ho un grande amore per la Civiltà Romana. Al di là di questo sono un tipo sportivo, faccio paracadutismo, arrampico, adoro la montagna. Filosoficamente parlando: tutto intorno a noi, sacro e profano, deve avere una logica almeno causale, mi considero uno "scienziato del metafisico". Per questo ho creato Ad Maiora Vertite, perché tra santoni e mistici, sono convinto che si possa portare avanti una ricerca spirituale romana che sia sensata e concreta (senza scomodare sogni ed apparizioni).
      Emanuele Viotti ha detto:

      Innanzi tutto grazie per il commento gentile Romano.
      Quello che dice è verissimo, ed infatti nell’articolo è sottolineato in riferimento all’importanza della purezza interiore.
      Le due cose sono poi strettamente collegate, se lei pensa alla sessualità come una questione di scambio di energie (proprio per il principio di analogia tra fisico e metafisico) oltre che sostanze, è chiaro che dopo un rapporto sessuale una persona non è pura, perché è pregna delle energie dell’altra persona.

      Inoltre lei parla di un lungo periodo di anni, e questo è vero se parlassimo soltanto di pratica sacerdotale, ma consideri che anche l’ultimo dei plebei a Roma compiva riti (non in un tempio ovviamente, in casa propria), e non si può pensare che tutti quanti fossero all’apice dell’evoluzione spirituale.
      Infatti l’errore -a mio parere- che compie gran parte del mondo della spiritualità e dell’esoterismo sta proprio in questo: presumere aprioristicamente che in antico tutti quanti fossero dei grandi iniziati, che facevano anni ed anni di preparazione prima d’iniziare a praticare. Ma lei pensa che il figlio del contadino facesse meditazioni, esercizi yoga, o chissà quale altra diavoleria, quando il loro problema era riuscire a cavare abbastanza orzo dal campo per vivere un altro anno? Io non penso.
      Vi era certamente una condizione superiore per i sacerdoti, ma esisteva anche un popolo che compiva riti non meno validi di quelli pubblici (diversamente Catone non avrebbe scritto un manuale di gestione del fondo, con istruzioni rituali “a prova di idiota”, e grazie al quale possiamo ricostruire un rito romano passo passo).
      Per altro non capisco in toto la sua contestazione dato che -rileggendo l’articolo- mi sembra evidente che sia specificato in più punti la condizione di purezza interiore.

      Per quanto concerne le tempistiche, sono indicative, è specificato che dipende da persona a persona, e ribadisco che riguarda la pratica alla portata di tutti. Delle pratiche interne ai templi non sappiamo nulla (checché ne dicano i “grandi millantatori che detengono linea diretta dagli antichi pontefici”), ma certamente compivano un percorso ben più approfondito del comune Pater Familias.
      E siccome non esistono nella realtà fuori dalle fantasie, percorsi formativi sacerdotali, bisogna partire da quanto è rimasto e cioè dal privato.

      Se poi qualcuno pensa che sia necessario ben di più, e lo vuole fare per sé stesso, nessuno lo vieta. Ma la pratica privata nella Roma antica si dimostra più e più volte molto aperta alle decisione per sé stessi e la propria famiglia di cui si è ritualmente responsabili. Fintanto che non andavano ai danni dello Stato.

      Se mi chiede poi le fonti, posso indirizzarla al dizionario IL Caglioni Mariotti, dove vi è l’elenco di tutti i significati che assumono i termini castus e purus.

      Per cui in sostanza sono daccordo con lei, che ha sviscerato molto di più di quanto ho scritto su questo punto, cosa che apprezzo molto e della quale la ringrazio (e se lo ha fatto, è perché evidentemente era necessario farlo).
      Quello che non penso sia corretto, è vedere i popoli antichi come un esempio di perfezione su qualunque piano, ed in termini assoluti.
      Quello che -se vuole- a noi moderni manca oggi è una percezione del sacro, che è una cosa che si apprende nel tempo, con l’impegno, ma che non può essere trattazione completa in una serie di articoli “tutorial” su come si esegua un rito romano. E che, a dire la verità, nel mio personale percorso, ho riscontrato più come un effetto “casuale” in singoli individui nati con una certa predisposizione, che non per merito di “grandi scuole iniziatiche”.

      Spero di essere stato esaustivo, se ha dubbi o altre domande sono a sua completa disposizione.

      1. Grazie per la sollecita risposta.
        1)Non criticavo l’articolo per intero ma vi chiedevo dove si possano trovare interdizioni di pratiche sessuali, alimentari o sociali nelle fonti latine (è una curiosità personale e non una critica).
        2) Siamo d’accordo sul primato dell’anima sul corpo, pur non negando l’unità dell’essere!
        3) Trovo però confermate nella risposta alcune posizioni ritualistiche che per formazione personale non condivido.
        Se parliamo di un sacerdote, è normale che egli per raggiungere la castità e purezza necessarie allo svolgimento del rito pubblico debba “astenersi” da certe azioni estranee all’azione sacra che egli sta per compiere.
        Se invece parliamo di un Pater Familias nell’esercizio del rito privato non riesco a pensare che egli abbia bisogno di astenersi da azioni profane, perché lo spazio della sua azione sacra è l’ambito profano.
        L’azione sacra del pater familias è orientata proprio a riordinare i flussi energetici, mentali e spirituali che lo circondano e non a fuggirli (attirare quelli favorevoli e scacciare gli avversi) e questo sempre, tutti i giorni della sua vita, come ogni giorno lavora, combatte e educa i figli.
        4) Inoltre è probabile che il “contadino” non potesse di norma raggiungere l’apice dell’evoluzione spirituale, ma è anche vero che nelle società antiche le pratiche spirituali erano molto più diffuse tra la popolazione. A riprova di questo basti pensare a quanto fosse importante la Pietas per i romani, come avrebbero mai esercitato tale virtù senza assidue pratiche spirituali?
        Inoltre guardando all’India, paese in cui persiste uno dei culti più antichi del ceppo indoeuropeo, possiamo vedere come vi siano percorsi spirituali differenti a seconda del ruolo sociale che si svolge, possiamo vedere come l’esercizio fisico, il lavoro, il cibo e perfino la sessualità vengano addirittura usati a scopo sacro dalle caste più basse, (lo yoga e la meditazione sono praticati anche dalle caste dei lavoratori). In India, di norma, pratiche di astinenza finalizzate a concentrare tutte le energie verso il fine dell’illuminazione, sono riservate ai bramini, e neanche a tutti i bramini, ma solo tra quelli che siano impegnati in un percorso ascetico.
        5) Comprendo che un articolo online non sia la sede adatta per confrontarsi su tematiche così complesse e se sono intervenuto è solo perché trovo interessante e molto “romano” il tentativo di approcciare al culto arcaico per via non iniziatica e ritengo importante condividere delle riflessioni su tale percorso.

        Termino dicendo che non faccio parte di nessun gruppo/setta/organizzazione e che il mio intervento non vuole essere distruttivo, ma costruttivo, ricerca il confronto e non uno scontro inutile, non parte da affermazioni assolute ma dalla condivisione di idee, studi e posizioni personali.
        Grazie, complimenti e buon lavoro!

      2. Emanuele Viotti – Salve a tutti, Sono uno dei tanti ragazzi che studiano le religioni e la storia antica, nel mio caso ho un grande amore per la Civiltà Romana. Al di là di questo sono un tipo sportivo, faccio paracadutismo, arrampico, adoro la montagna. Filosoficamente parlando: tutto intorno a noi, sacro e profano, deve avere una logica almeno causale, mi considero uno "scienziato del metafisico". Per questo ho creato Ad Maiora Vertite, perché tra santoni e mistici, sono convinto che si possa portare avanti una ricerca spirituale romana che sia sensata e concreta (senza scomodare sogni ed apparizioni).
        Emanuele Viotti ha detto:

        1) “critica” oggi ha assunto un significato negativo -come un sacco di parole!-, ma sono legato al vero significato della parola, quindi ho preso il suo come un’antitesi di quella parte di cui ho scritto, che come le dicevo è utile al miglioramento stesso dell’esposizione. Come le dicevo non ci sono divieti espliciti, ma se Cicerone parla di “castus” e “purus” per accostarsi agli Dei, e guardando sul dizionario entrambi questi termini tra i significati c’è anche la castità come la intendiamo oggi, non vedo ragione d’ignorarla. (per questo le dicevo di guardare IL Castiglioni Mariotti).

        3) Non sono pienamente daccordo perché si “sacro” deriva da “separare” vi sono diversi esempi in cui è evidente una netta separazione del confine che riguarda l’ambito del Pater Familias. Per esempio nel rito di purificazione dei campi, o nel fatto che la porta era considerata sacra in quanto passaggio all’interno di un confine, etc.
        Inoltre la differenza tra sacro e profano non doveva essere netta come la intendiamo oggi, dato che per esempio i romani invocavano migliaia di divinità legate al mondo quotidiano (penso a Fistulus, dio dei tubi di casa, o alle numerose divinità legate al parto ed ai primi anni di vita del bambino, o a Terminus che era dio dei confini ed in origine doveva essere un “banale” cippo, o i Lari Compitali, etc.), cosa che lascia trasparire una religiosità che sta a metà tra il panteismo ed il politeismo. O meglio una cultualità che fa di tutto una divinità (arriviamo in età imperiale a divinizzare persino le virtù!).
        Tutto questo a me fa pensare che l’ambito in cui lavora il Pater Familias sia paragonabile a quello del Sacerdote, ma essendo in un ambito più ristretto, e dovendosi rapportare per lo più con divinità “minori”, necessiti anche di minor preparazione. A testimonianza di ciò, sempre Cicerone sottolinea che nel caso in cui si violasse un giorno in cui era vietato lavorare per tirar fuori un bue da un fossato, si sarebbe dovuta fare una offerta espiatoria consultando un sacerdote (poiché in quel caso la questione andava evidentemente al di fuori dei confini strettamente legati al Pater Familias).

        Queste ovviamente sono interpretazioni sulla base delle fonti, è quello che ai miei occhi, per quanto ho studiato fin d’ora, è più plausibile. Se poi lei ha materiale in più da mostrarmi, sarò felicissimo di aggiornarmi.
        Inoltre questa preparazione rituale anche in ambito profano, lo ritroviamo più o meno estesa, ed a seconda dei riti, in tutte le popolazioni che hanno mantenuto le religioni tradizionali.

        4) Secondo me fa un confronto un po’ azzardato in questo senso con l’India, seppur sono due popoli indoeuropei, resta il fatto che tra la separazione dei ceppi e la formazione delle due culture (indiana e romana) sono passati ben 6000 anni, durante i quali hanno avuto storie totalmente diverse. Trovare delle analogie è certamente ancora possibile, ma non credo nei termini che dice lei. Pensi soltanto a quanto è cambiata la religione romana dalla fondazione, fino al IIsec dell’era volgare. Siamo passati dai sacrifici umani (gli infanti uccisi e sepolti ritualmente sotto alle porte), alla venerazione del Genio dell’imperatore da una parte, e di un dio solare orientale dall’altra. Le stesse 3 ondate d’indoeuropeizzazione dell’italia (latino/ausonico, osco/umbro ed illirizzazione della puglia) ha portato a formare culture e lingue totalmente diverse, figurarsi la religione. E parliamo di 800 anni di storia nello stesso posto, pensi a cosa può accadere in 6000 in luoghi così lontani e diversi. Senza dimenticare il fatto che le mescolanze con gli indigeni sono elementi rilevanti da non dimenticare.
        Tutto questo per dire, che non sempre è valido questo genere di confronto, soprattutto quando andiamo ad indagare così nello specifico la religiosità (magari si, ma magari no).
        Infine, la società indiana è evidentemente strutturata secondo una logica religiosa volta all’evoluzione dell’uomo (le stesse caste ne sono un esempio), mentre a Roma questo non traspare, ed anzi è una società ben più basata sul diritto dato che subito dopo la fondazione abbiamo l’invasione etrusca, poi la repubblica, subito una riconquista da parte di Porsenna, poi di nuovo la libertà con moti e rivolte sociali che costringono alla creazione dei Tribuni della Plebe (e siamo ancora nel 495!!!), ed avanti così. A Roma traspare a livello sociale più l’importanza legislativa che non quella religiosa. Non vi è nulla che -ai miei occhi- faccia pensare ad un chiaro intento di elevazione spirituale dei singoli, se non che intendessero farlo per conto proprio.

        5) Grazie, ed i miei ringraziamenti di prima non erano piaggeria ma sinceri, so che a volte appaio aggressivo nelle risposte, ma perché cerco di essere secco (all’università ho imparato ad odiare la verbosità, tomi di migliaia di pagine riassumibili in poche facciate, ma costretti a leggerli per intero).

        Spero abbiamo occasione di leggerci di nuovo, continui a seguirci, e se vuole può trovarmi anche su facebook (Emanuele Viotti).

        Cordialmente!

    2. Emanuele Viotti – Salve a tutti, Sono uno dei tanti ragazzi che studiano le religioni e la storia antica, nel mio caso ho un grande amore per la Civiltà Romana. Al di là di questo sono un tipo sportivo, faccio paracadutismo, arrampico, adoro la montagna. Filosoficamente parlando: tutto intorno a noi, sacro e profano, deve avere una logica almeno causale, mi considero uno "scienziato del metafisico". Per questo ho creato Ad Maiora Vertite, perché tra santoni e mistici, sono convinto che si possa portare avanti una ricerca spirituale romana che sia sensata e concreta (senza scomodare sogni ed apparizioni).
      Emanuele Viotti ha detto:

      per altro aggiungo, l’ho ritrovata proprio oggi, questa fonte che verrà pubblicata tra un paio di giorni, ma intanto le lascio il link (forse non sarà visibile prima di sabato)

      https://admaioravertite.wordpress.com/2016/05/14/caste-iubet-lex-adire-ad-deos

    3. Emanuele Viotti – Salve a tutti, Sono uno dei tanti ragazzi che studiano le religioni e la storia antica, nel mio caso ho un grande amore per la Civiltà Romana. Al di là di questo sono un tipo sportivo, faccio paracadutismo, arrampico, adoro la montagna. Filosoficamente parlando: tutto intorno a noi, sacro e profano, deve avere una logica almeno causale, mi considero uno "scienziato del metafisico". Per questo ho creato Ad Maiora Vertite, perché tra santoni e mistici, sono convinto che si possa portare avanti una ricerca spirituale romana che sia sensata e concreta (senza scomodare sogni ed apparizioni).
      Emanuele Viotti ha detto:

      Aggiornato il post con fonti dove si esplicita la castità e l’astinenza alle “congiunzioni di Venere” quale preparazione rituale

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