La “sottomissione” della donna nella Religione Romana

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Credo possa essere interessante riportare il post introduttivo che feci in un topic del forum neopagano “Sacerdotesse di Avalon” nel lontano 2016.
Ho rimesso mano al testo alla ricerca di eventuali correzioni ed aggiustamenti, il testo originale lo trovate al link sopra, ma non è stato mutato nella sostanza.
Spero possa essere ancora un argomento di interesse.

<Ho deciso di fare questo post perché -fatalità- nei giorni scorsi sono stato violentemente colpito da due discussioni sull’argomento, su un argomento che davo per scontato, invece pare proprio che di fondo ci sia un po’ di superficialità sull’indagine storica della questione.
Procederò affrontando prima la questione a livello storico, e cioè com’era in antichità prendendo d’esempio alcuni popoli (tra cui ovviamente i romani), dando le motivazioni e le origini storiche di tutto ciò, ed in fine fare delle considerazioni riguardo i giorni nostri.

I succhi delle discussioni erano opposte:
Da un lato “veri tradizionalisti non ammettono le donne ai riti perché erano sottomesse e non è sano che venerino gli Dei in pubblico, ed in privato soltanto come aiutanti dell’uomo”; dall’altro invece “la donna era oppressa dai popoli mediterranei che erano maschilisti ed indoeuropei, invece presso i celti erano libere e femministe”.

Questo è il riassunto brevissimo dei due concetti. Entrambi sbagliati naturalmente.

PREMESSA

Bisogna tenere in considerazione alcune questioni per tutto il dibattito seguente:

Ogni cosa ha una motivazione, sempre, il caso non esiste.
Se questa è per noi abitualmente una verità religiosa, sappiate che è una verità anche a livello storico.

Ogni popolo trova sistemi per adeguarsi a difficoltà in modo diverso, a volte simile.
I Romani non sono uguali ai greci, agli egizi, ai celti, gli inuit, per cui si possono fare alcune considerazioni in linea di massima, ma non in modo assoluto.

Giudicare i popoli antichi con l’occhio di oggi è sbagliato, bisogna guardarli con gli occhi dell’epoca.
Ogni epoca ha la sua sensibilità in termini morali, e non solo ogni epoca ma anche ogni popolo. Ed è una visione ottusa quella dal proprio punto di vista come metro per giudicare tutte le altre (in antropologia si chiama “etnocentrismo”), perciò già affermare <è sbagliato che si facesse così> riguardo un’abitudine di un’altra epoca è metodologicamente sbagliato, bisogna piuttosto dire <non vorrei mai che accadesse oggi>. Cioè senza presumere aprioristicamente che l’ “oggi” sia l’apice della cultura umana. Che infatti come cultura, quella attuale, è piena di falle ed arrabattamenti.

RIGUARDO LA SOTTOMISSIONE DELLA DONNA

In tutte le società antiche la donna era oggettivamente subordinata ad un uomo, agli occhi odierni questa affermazione assoluta è vera.
Insomma…

E’ vero che le donne non avevano diritto ad un proprietà privata (eccezione fatta per i Celti ed a Roma le Vestali), e non potevano essere partecipi della vita pubblica.

Prendiamo alcuni esempi.
Nella Grecia preromana le donne passavano direttamente dal padre al marito, non potevano studiare, il loro lavoro era limitato alla casa, avevano alcune pratiche rituali pubbliche esclusive (come le Tesmoforie), inoltre non potevano uscire se non accompagnate.

Presso i Celti continentali, le donne non avevano diritti politici, passavano anche loro dal padre al marito, ma potevano avere una proprietà privata ed a volte ereditare quella del marito….certo, poi spesso se il marito non moriva in guerra, venivano accusate di stregoneria e di averlo ucciso loro, e per questo uccise a loro volta così i parenti si spartivano l’eredità del marito. Ricordiamo che i Celti non erano proprio un popolo sereno e pacifico dato che impalavano i nemici (interi santuari fatti di gente impalata), ed hanno sterminato tutti i popoli dell’Italia settentrionale fino all’adige quando vi penetrarono nel VIsecolo ac.
Si tenga a mente questo quando si parla della “libertà delle donne celte”, era un’arma a doppio taglio di cui parleremo meglio sotto, nelle ragioni di tutto questo.

La donna Romana era considerata la più libera tra i popoli del mediterraneo: poteva studiare, poteva scrivere, aveva una piccola proprietà privata (ci riferiamo ad oggetti minori), passava direttamente dal padre al marito ma era l’unica a poter divorziare di sua libera scelta. C’erano pratiche anche private di compito esclusivo della donna, oltre a feste pubbliche (alcune in cui prendevano a sassate i passanti per strada… lol), inoltre alcuni sacerdozi erano esclusivi loro (es. le Vestali), in fine sappiamo che era obbligatorio per decreto del Senato che alle Matrone fosse ceduto il passo in ogni occasione (il che equivaleva all’essere intoccabili). Pare ci fosse persino una statua di donna a cavallo nei Fori, spiegata da Livio con un mito probabilmente di sua invenzione.

Facendo un passo indietro, parliamo dei popoli pre-indoeuropei ed indoeuropei.
Molti nell’ambito wiccan si sono affidati all’archeologa Gimbutas, che ha teorizzato la netta distinzione tra:
-popoli pre-indoeuropei matrilineari, matrifocali (si noti che lei non parla di matriarcato, questa è una interpretazione degli autori che si occupano di divulgazione), veneratori della Dea Madre, e tendenzialmente pacifici;
-popoli indoeuropei, patrilineari, patrifocali, veneratori dei culti maschili, violenti ed aggressivi.

E dove i secondi avrebbero invaso e distrutto i primi, sottomettendoli anche da un punto di vista religioso, ragione per cui troviamo culti femminili come esclusive mogli delle controparti maschili.

Dunque, oramai è stato ampiamente dimostrato che tutto ciò non è mai avvenuto.
Innanzi tutto la divisione così netta è purtroppo indimostrabile anche se delle tendenze in un senso e nell’ altro ci sono indubbiamente.
Per quanto concerne l’aggressività quella era parimenti distribuita in entrambi, come in tutti i popoli della Terra.
Inoltre bisogna considerare che questa immagine dell’invasione indoeuropea come un evento traumatico non c’è mai stata, anzi fu un processo lunghissimo ed avvenuto per piccoli gruppi mescolatisi alle società locali. Considerate che solo in Italia i movimenti indoeuropei sono durati 5200 anni (ANNI)!!!! E che sono avvenuti per microscopici gruppi di 5-6 individui alla volta!
Inoltre nelle stratigrafie non troviamo evidenze di eventi traumatici, quindi un’invasione vera e propria non avvenne.

Parlando di religione invece si commette un errore di fondo, spesso si vuole attribuire l’accoppiamento di divinità maschili con divinità femminili come una dimostrazione di sottomissione delle donne agli uomini.
Le due cose non sono per nulla collegate.

In primo luogo perché la religiosità è specchio della società, e non le divinità… immaginate se in un futuro qualcuno pensasse che viviamo in una monarchia assoluta, con un padre padrone e sadico che fa soffrire suo figlio, soltanto perché la religione maggioritaria è il cristianesimo.

In secondo luogo perché nel momento in cui sono andati a definirsi le culture regionali, e quindi le religioni, i moti indoeuropei erano iniziati già da millenni (per l’Italia è il IX secolo ac, e gli indoeuropei iniziano ad arrivare tra VI e V millennio; o IV-III secondo diversa datazione), e se fosse vera questa ipotesi ci dovremmo trovare con un solo dio ed una sola dea, invece c’è una moltitudine degli uni e degli altri….. senza contare il fatto che il culto della Dea Madre è rimasto anche in epoca storica, e senza essere accoppiata, indice che il suo culto non si è smembrato.

In terzo luogo non tutti gli Dei e non tutte le Dee sono accoppiati (Diana, Minerva, Magna Mater, Vesta ed altre divinità minori, non sono sposate, ed anzi alcune di loro sono caste e rifiutano gli uomini).

A mio personale parere tutte queste considerazioni da me appena confutate, di un presunto scontro tra uomini e donne che risale dall’alba dei tempi, è alimentato (più o meno strategicamente) per creare attrito tra i sessi. La cosa è assolutamente deleteria ed inutile.
In nessuna epoca abbiamo prove (come ci fanno vedere al contrario nei film!) di scontri aperti tra uomini e donne, perché entrambi crescevano secondo determinati schemi sociali (ai nostri occhi di moderni, ingiusti) che per loro erano normali….. se prendessimo una donna medioevale, e la mettessimo ai giorni nostri, penserebbe di essere finita all’inferno, circondata di pazze schiave del demonio che vogliono soltanto corromperle l’anima. E nessuno riuscirebbe a convincerla del contrario.
Perché? Perché sono epoche diverse e modi di pensare diversi, quindi come dicevo prima non possiamo giudicarli con gli occhi nostri, pur rimanendo convinti che non lo vorremmo oggi.

MECCANICHE CULTURALI RIGUARDO DONNE E UOMINI

Abbiamo descritto cosa accadeva, ma perché accadeva?
Per capire come mai accadesse ciò dobbiamo fare affidamento prima di tutto alla logica ed agli studi antropologici.
E’ evidente che ogni cultura si evolve in modo diverso per necessità.
Per esempio, nelle culture dove esiste la poligamia questa c’è per via di una rilevante differenza tra il numero di individui di un sesso o dell’altro.
In Europa da sempre i sessi sono distribuiti più o meno al 50%, ragione della monogamia. Nei luoghi dove esiste la poliginia (poligamia con tante donne) si riscontra una % maggiore di donne. Più raramente si trova anche la poliandria (poligamia con tanti uomini) per la medesima ragione: ci sono più uomini che donne.

Per quanto riguarda la matrifocalità/matrilinearità o la patrifocalità/patrilinearità anche questo è dettato da necessità concrete: in una cultura che non si trova spesso in situazioni di scontro, e dove vi è abbondanza di risorse, si tenderà (e sottolineo tenderà) a prediligere una forma in cui è l’uomo a trasferirsi a casa della moglie, fornendo una dote, e sarà tramandato il cognome della madre.
In una società invece con risorse concentrate in alcuni luoghi, e con pressioni di popoli vicini e quindi guerre (com’è il caso dell’Europa, ed in particolare dell’Italia) si tenderà a prediligere una situazione in cui è la donna ad andare a casa del marito portando una dote.

Questo perché?
Perché al di là delle capacità intellettive che sono certo essere paritetiche, vi sono delle oggettive differenze fisiche che danno ai due sessi un maggior potenziale di successo in ambiti diversi.
Se quindi l’uomo è più forte (per esemplificare) e la donna invece più adatta ai lavori manuali (PARLO DI MECCANICA FISICA, dimensioni degli arti, predisposizioni), è chiaro che in una società estremamente semplice dove un solo individuo fa la differenza all’interno di una comunità:
-se c’è tanta guerra, la predominanza è dell’uomo;
-se c’è tanta pace (e quindi tanto da produrre), la predominanza è della donna.

Alcune differenze sono evidenti ad un primo sguardo: dimensioni e forma fisica.
Altre lo sono meno: le donne hanno una maggiore resistenza al dolore, hanno potenzialmente maggior forza nei muscoli addominali, e tuttavia hanno leve svantaggiose nei gomiti (che normalmente piegano all’esterno maggiormente degli uomini) e nei muscoli pettorali (che sono invertiti rispetto all’uomo).
Queste differenze per noi oggi -che abbiamo una grande disponibilità di risorse- può apparire irrilevante, la prima reazione è sicuramente <ma anche una donna che si allena duramente può raggiungere gli stessi risultati fisici di un uomo>.
È assolutamente vero, ma in una società dove vi è una quantità limitata di cibo (es. 20), non puoi permetterti di investire -per esempio- “12” in tempo e risorse per allenare una donna a dare gli stessi risultati che un uomo ottiene in “10”, sapendo che comunque nessun uomo potrà mai generare una prole che serve per continuare la vita della comunità. Su “20” consumerai “10” per allenare l’uomo, e “10” per permettere alla donna di non produrre nel tempo che si dedicherà alla procreazione.
Stiamo parlando di società in cui la differenza tra avere un figlio in più o in meno, determina il poter curare un ettaro in più o in meno di terreno, avere un guerriero in più o in meno, e quindi una probabilità in più o in meno di sopravvivere come gruppo umano.
Oggi tutti questi problemi non dobbiamo più porceli come questione di necessità, ed infatti quei pochi contrari alla parità dei sessi ruotano la loro idea intorno ad una domanda <se è questa la condizione naturale umana, non ci farà male cambiare paradigma?>.
Onestamente in senso assoluto non saprei cosa rispondere, ma di certo nel momento storico in cui viviamo siamo talmente ricchi di risorse che, come specie umana, non abbiamo bisogno di rispondere a questa domanda, e quindi possiamo proseguire serenamente sulla parità dei generi.

A questo si deve aggiungere un altro dato più strettamente culturale, di legame con il contesto.
Le società studiate in ambito antropologico con una situazione di media conflittualità, basate su caccia e raccolta o con un basso uso dell’agricoltura, tendono ad avere rapporti paritetici tra uomini e donne.
Mi colpì molto quando preparai l’esame di Antropologia Culturale, un popolo oggi praticamente sparito (del quale perdonatemi ma non mi ricordo l’impronunciabile nome, ma a tal proposito potete leggerne sul libro Antropologia Culturale di Marvin Harris e lo troverete citato) dove la caccia era esclusivamente maschile, e la raccolta esclusivamente femminile. Se però -per esempio- un uomo si rivelava un cattivo cacciatore, era definito “sfortunato” e se continuava con questa “sfortuna” era obbligato a  “diventare donna” assumendone gli attributi, sposando un uomo, e diventando raccoglitore; stessa cosa avveniva al contrario. E non erano punizioni, ma semplicemente era normale. Inoltre i rapporti sessuali andavano al di là del matrimonio: cioè ci si sposava ma poi si avevano rapporti con chi si voleva, e se una donna rimaneva incinta in automatico si considerava “padre” il marito, indipendentemente dal legame genetico.
Questo per dare un esempio di come un popolo si adatta in modo anche “strano”  (per noi) alle proprie necessità.

MOTIVI DELLA SOTTOMISSIONE DELLA DONNA

Appurati alcuni dati generali veniamo al mondo antico.
Per non dilungarmi eccessivamente prenderò solo d’esempio Roma, perché ne sono più ferrato, ma sia noto che le considerazioni in linea di massima valgono per l’intero mediterraneo.

Perché la donna a Roma mancava di tutti i diritti che ha oggi?
La ragione è come abbiamo detto di necessità, ma quale?

Innanzi tutto quella romana è un’economia che nasce come una realtà pastorale, che si trasforma poi in agricola. Inoltre si trova in un territorio davvero sfortunato dal punto di vista bellico, molte montagne, colline e fiumi che creano separazioni tra popoli. La separazione (anche se non assoluta) determina culture diverse, che nel tempo si trasformano in nemici.
Considerate che per tutti i suoi primi 700 anni di storia, Roma, non ha avuto un solo anno di pace, e gli unici due anni in cui non c’erano nemici contro cui combattere il Senato si inventò una guerra contro un popolo minore (i Dalmati) per evitare che ci si rammollisse nella pace.
Inoltre per via di questa situazione, appare chiaro che la prole doveva avere un valore immenso, perché significava manodopera nei campi e guerrieri, in una parola significava RICCHEZZA.
Non ci dimentichiamo che per i primi 2 secoli di vita di Roma, salvo poche città prese, gran parte delle guerre per i Romani (ma per i popoli italici in genere) equivalevano ad andare armati dal vicino a rubargli il bestiame.

In questa situazione diventa chiaro che l’uomo assume una predominanza per necessità esterne. Ma vi era anche delle necessità interne.

Facciamo un confronto tra ieri ed oggi: oggi noi sappiamo che i nostri diritti sono salvaguardati dalla Legge, e la legge è garantita da un organo super partes che sono le Forze dell’Ordine (o almeno così dovrebbe essere la teoria).
In Roma antica non esistevano Forze dell’Ordine.
E come si applicava la legge?
Bè fondamentalmente, se subivo un torto dovevo andare dall’aggressore (anche con l’aiuto di qualche amico), prenderlo di peso, e portarlo a forza nel Foro, dove avrei trovato un giudice che avrebbe deciso il da farsi.

Ora immaginate una donna libera dei giorni nostri, che va a casa di un uomo che quando non zappa i campi va alla guerra (e questa c’era ogni anno!), e lo porta di peso nel Foro per denunciarlo……. decisamente poco credibile non credete?

Inoltre sappiamo che esistevano delle leggi per cui una persona presa, e dichiarata schiava nel Foro, se non veniva reclamata da un parente entro 30 giorni, questa diventava schiava di quello.
Potete anche qui immaginare una donna libera ed emancipata in grado di tutelarsi?

Impossibile!
E dunque qual è la soluzione? Metterla sotto protezione di altri “brutti e cattivi” contadini/guerrieri (il padre e/o il marito), che in caso potevano proteggerla. Ed è per questa stessa ragione che culturalmente (non legalmente) le brave donne non frequentavano il Foro.

Di fatto le società antiche erano molto pericolose, e la legge era rispettata per il solo timore di una rappresaglia da parte di altri concittadini.

Inoltre vorrei sfatare il mito del matrimonio imposto, questa pratica esisteva certamente a determinati piani della società romana o in caso di necessità economica (ma non ho dubbi che a livello privato ci fosse in questi casi una certa tolleranza verso l’adulterio), cosa che accade anche oggi nella nostra “evoluta società occidentale”, il matrimonio di comodo esiste da sempre.
In ogni caso il consenso del Pater Familias (il capo famiglia, sempre uomo) era necessario per il matrimonio della figlia, ma non ci dimentichiamo che anche loro erano esseri umani, e quindi salvo necessità o profonda crudeltà avrebbero voluto la felicità per i propri figli (com’è umano e naturale, e rientra negli istinti primordiali).

Spero di aver chiarificato un po’ meglio questo punto, e soprattutto di avervi fatto capire che non c’era un odio o un pregiudizio maschilista verso le donne in antichità, ma erano delle necessità dettate dalla sopravvivenza della comunità, che nei millenni si sono cristallizzate come usanza non più necessaria.
Ma questo non prescinde assolutamente il fatto che gli uomini amassero e fossero ricambiati dalle proprie donne.

LA QUESTIONE RELIGIOSA

Come ho già scritto, in Roma, alcune pratiche erano esclusivo compito delle donne, altre esclusivo degli uomini. A livello privato per esempio sappiamo che la decorazione dei larari (il tempietto presente nelle case dove venerare le divinità familiari) era riservata alle donne, così come altre festività alcune delle quali dove il marito era cacciato via di casa per organizzare, non si sa che cosa, ma solo tra donne.

In Roma (come in molte società) il potere sociale era strettamente legato a quello religioso. Questo punto tenetelo bene a mente perché è importante per le conclusioni sui giorni nostri.
Al contrario però di molte realtà dove è il potere religioso a dare un potere politico, in Roma è il potere politico a dare un potere religioso.
Per fare un esempio, i Consoli diventavano tali perché nominati dal Senato, quindi è il mondo civile/terreno/legale ad affidargli tale ruolo, ed in virtù di questo ruolo essi ottengono il diritto di trarre gli auspici (un tipo di divinazione) per la comunità.
Ovvero è il Diritto ad affidare ad una persona il potere Politico, ed in virtù di questo potere politico egli ottiene un potere religioso, in quanto egli diventa rappresentante degli uomini presso gli Dei per le questioni che lo competono.

Per le ragioni di cui abbiamo parlato fino adesso il potere politico a livello privato è affidato agli uomini, e di conseguenza anche quello religioso per tutta la famiglia. Questo però non prescindeva il fatto che la donne potesse fare riti a titolo personale, o sotto supervisione, o con l’aiuto del marito per tutta la famiglia.

E’ chiara anche qui la logica?
Poiché il potere civile da diritto al potere religioso, allora chi rappresenta una comunità (familiare, tribale o di stato) presso gli uomini la rappresenta anche presso gli Dei.

E così è spiegata anche la preminenza degli uomini nei collegi sacerdotali, anche se ribadisco che non è esclusiva: ricordiamo per esempio le Vestali, ma anche certe feste, e certi culti come quello di Bona Dea la cui violazione da parte di un uomo era punita con la morte.

Ribadisco inoltre quanto detto prima: i matrimoni tra Dee e Dei non ha un valore di sottomissione.
Innanzi tutto non si spiega perché il matrimonio dovrebbe significare la sottomissione, ma a parte questo la questione è diversa.
Matrimonium ha la stessa composizione di patrimonium dove monium sta per “azione”, perciò il matrimonio è l'”azione di madre” mentre il patrimonio è “l’azione di padre”.

Nella religione romana alcune divinità hanno persino cambiato di sesso nel tempo, passando da maschili a femminili, o vice versa, nel tempo o a seconda dell’autore.
Perché?
Perché il sesso della divinità non è un sesso reale come per noi umani, ma è rappresentazione della caratteristica energetica del nume di quella divinità.
Per i romani una divinità è composta di nume (energia prima, sostanza, idea) + forma (rappresentazione).

Se un nume ha un’energia che è attiva, cioè scaturisce da sé, allora è maschile; se è passiva, cioè filtra un’altra energia indirizzandola allora è femminile.
Un paragone che si può fare è con il Sole (energia attiva), e la Luna (energia passiva) la quale non si illumina di una propria luce, bensì è il riflesso di un’altra luce, ma come è noto a tutti la luce lunare non è un banale riflesso, ha delle influenze che son oestremamente potenti sulla Terra e su di noi, e fondamentali.
Talmente fondamentali che i Romani per una buona metà della loro storia ci basarono il loro calendario!!!!!

LA DONNA NEL CULTO ROMANO OGGI

A mio personale parere bisogna recuperare la sostanza delle cose e non la forma (il rispetto dei riti rientra nella sostanza, se a qualcuno venisse il dubbio), e poiché oggi le donne hanno dei diritti e dei poteri che sono parificati a quelli dell’uomo mi sentirei di dire che hanno il pieno diritto di compiere riti al pari degli uomini.

C’è un però da porre. Alcuni culti in Roma antica erano esplicitamente vietati agli uomini, ed altri esplicitamente vietati alle donne, secondo me questo avveniva per delle ragioni sottili di natura energetica.
Fermo restando che uomini e donne non sono uguali fisicamente (e quindi anche energeticamente), così come non tutte le energie universali sono uguali, a mio aprere alcuni culti che in antichità erano esplicitamente vietate agli uni ed agli altri bisognerebbe rispettarne la separazione. Non per una questione di pregiudizio o sessismo ma per salute legata all’incompatibilità di determinate energie divine con determinate energie umane.
Mi viene in mentre che il culto di Silvano era vietato alle donne in modo esplicito (e studiando questa divinità si capisce il perché), così come il culto di Cibele era vietato agli uomini.

Quindi se il 90% dei culti, a mio parere è giusto che oggi si possano onorare da parte di entrambi i sessi, queste prescrizioni specifiche (ripeto, per la salute individuale) vanno rispettate ancora oggi.

Si può pertanto concludere serenamente che quella che noi appare come “sottomissione” della donna era in antichità una necessità dettata dalla situazione economica e sociale dell’epoca, senza alcun valore di disprezzo verso il genere. A differenza della modernità, nella sua infinita decadenza, dove la donne è stata -e spesso è tutt’ora- sottomessa e disprezzata sulla base di un pregiudizio aprioristico, che ha origine nelle religioni monoteiste.
Ma se la ricerca è la felicità, di certo non può esservene nell’attuale tentativo di invertire i termini creando un “maschilismo al contrario”. Né vi può esistere felicità nella perenne competizione tra uomini e donne.>

Emanuele Viotti

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