Uno degli episodi più rilevanti per quanto riguarda la logica rituale, il valore delle parole scelte, e soprattutto il rapporto tra l’uomo romano e la divinità, si manifesta nel mito per cui Numa riesce -tramite riti precedenti- a far discendere dal cielo Giove, per interrogarlo su come far finire le calamità che stanno colpendo Roma:
“[…] Come riprese spirito [Numa si rivolse a Giove disceso sulla terra] <Re e padre degli Dei del cielo, se ho sempre toccato i tuoi altari con mani pure, se anche la mia richiesta è avanzata con lingua pia, dammi sicuri insegnamenti per scongiurare i fulmini>
Giove assentì alla preghiera, ma celò il vero con oscura perifrasi, e atterrì Numa con ambigue parole:
<Taglia una testa> disse.
<Obbedirò>, fu la risposta <dovrò tagliare una cipolla cavata dal mio orto>.
Giove precisò <di uomo>.
<La cima dei miei capelli> rispose il re.
Ma Giove chiede una vita;
e Numa dice <di pesce!>.
Giove sorrise, e soggiunse <con questi mezzi cerca di scongiurare i miei dardi, o uomo non indegno del colloquio con gli Dei. […]> […]”
“[…]ut rediit animus, <da certa piamina> dixit <fulminis, altorum rexque paterque deum,
si tua contigimus manibus donaria puris, hoc quoque quod petitur si pia lingua rogat.>
adnuit oranti, sed verum ambage remota abdidit et dubio terruit ore virum.
<caede caput> dixit;
cui rex <parebimus> inquit <caedenda est hortis eruta cepa meis.>
addidit hic <hominis>
<sumes> ait ille <capillos.>
postulat hic animam; cui Numa <piscis> ait.
risit, et <his> inquit <facito mea tela procures, o vir conloquio non abigende deum.[…]>[…]”
Ovidio, Fasti, III.333-344
Di questo episodio mitico ne abbiamo parlato a più riprese in diversi articoli precedenti.
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