Questo articolo intende mostrare l’ACTIO RITUALIS della DEVOTIO; prescindendo dunque da una dettagliata analisi del contesto estrinseco e storico del rito, ci concentreremo esclusivamente sulle pose ieratiche e calcolate [1], che il DEVOVENS era chiamato a rispettare nei minimi dettagli, pena l’inefficacia del rito stesso. Dunque ACTIO RITUALIS e CARMEN, rappresentavano tecnicamente un tutt’uno; un piccolo errore nella recita del carmen o nelle pose del DEVOVENS, avrebbero reso nulla la DEVOTIO; sono disposizioni, che il MAGISTRATUS CUM IMPERIO, riceve dal PONTIFEX MAXIMUS, figura somma del collegio pontificale, garante e sacro custode, delle prerogative giuridiche e religiose del popolo romano.
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il culto delle Fate nell’antica Roma
In un silenzio carico di aspettative, un bambino viene sollevato dal suolo da due braccia salde, sotto il solenne sguardo degli astanti. E’ questa una tappa fondamentale nell’esistenza di una persona, poiché quelle braccia appartengono al padre e quell’atto implica l’accettazione del nascituro in seno alla famiglia. Tale gesto, tollere liberos (“alzare da terra” 1), è il coronamento del parto. Trascorsi nove giorni, otto nel caso si tratti di una femmina, assistiamo ad un altro momento fondamentale, il Dies Lustricus (2) a cui presiede la dea Nundina: è la nascita sociale, non meno importante di quella biologica, poiché rappresenta l’ingresso effettivo nella collettività del nuovo nato con l’assunzione di un’identità propria. E’ in questo giorno, altresì chiamato Nominalia, che diventa un individuo a tutti gli effetti, tramite l’imposizione del nome e di una sorte, con l’invocazione delle Fata Scribunda, le Fate Scriventi (3). Continua la lettura di il culto delle Fate nell’antica Roma
La sacralità dell’avvoltoio
Tutti conoscono la storia della fondazione di Roma. Quando Romolo e Remo dovettero scegliere chi dei due sarebbe dovuto essere il Re fondatore della nuova città interrogarono gli Dèi. Questi mandarono sei avvoltoi a Remo, e successivamente dodici a Romolo, permettendogli così di ottenere il diritto a regnare. Il dettaglio degli avvoltoi ci viene riportato da numerose fonti.[1]
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Alla ricerca del dio Volturno: il vento, il fiume e l’avvoltoio
Il dio Velthurna è stato assimilato dai romani e reso col nome di Vertumnus[1] con la presa di Volsinii nel 264ac[2]. Di questa divinità ne ha già parlato il nostro M. Cefis in un suo ottimo articolo (qui), mentre sulla festa del dio, i Vertumnalia, ne ha parlato l’autore precedentemente (qui).
Riassumendo i precedenti si evince che Vertumno (o Vortumno)[3] è un dio di difficile identificazione, caratterizzato dall’essere trasformista. È il dio che tramuta la stagione estiva in invernale, posto calendarialmente all’opposto di Giano al fine di portare a compimento l’anno nel suo punto di massima ascesa, per poi rigirarsi (vertere o vortere) verso l’inverno.[4]
Il Flamen Dialis: un simulacro vivente di Giove
I Romani sono il popolo pio per eccellenza, vengono definiti da Sallustio “Religiosissimi
mortales” (1) il loro capostipite Enea è appunto il Pius per antonomasia.
Per loro l’amministrazione della res publica è cosa sacra, e tramite l’amministrazione dei
sacra si governa la res publica, la Religio stessa è cosa politica a Roma.
L’Urbe, ” nei templi della quale non si è lungi dal cielo” (2), è la più perfetta Continua la lettura di Il Flamen Dialis: un simulacro vivente di Giove
Maius, il mese delle cose maggiori
<Dopo il Caos furono dati al mondo i tre elementi,
e tutta la materia assunse nuove forme,
la terra si fece concava per il suo peso e attrasse il mare,
che la levità sospinse il cielo nell’altezza degli spazi;
anche il Sole e gli astri non trattenuti da alcuna pesantezza,
e voi, cavalli della Luna, balzaste in alto.
Ma la Terra non cedeva a lungo al Cielo, né le altre stelle
al febèo Sole: l’onore era uguale per tutti.
Spesso qualche divinità tratta dalla massa degli Dèi ordinari
osò sedere sul soglio che tu, Saturno, occupavi:
qualche dio straniero si affiancò all’Oceano,
e spesso Teti fu accolta nell’ultima sede,
finché l’Onore e la bella Riverenza dal placido aspetto
unirono i loro corpi in legittimo connubio.
Da essi nacque la Maestà che regge il mondo intero,
e fu sempre grande fin dal giorno che fu generata.
Subito alta si assise nel mezzo dell’Olimpo,
splendente d’oro e ammirevole nella purpurea veste;
le sedettero accanto il Pudore e il Timore. E avresti veduto
ogni altro nume atteggiare il volto a somiglianza del suo.
Subito penetrò nelle menti il rispetto degli onori:
si pregiano i degni di stima, ognuno cessa di compiacersi
soltanto di sé. Per molti anni durò tale stato del cielo,
finché il dio più antico per fato cadde dalla sua roccia.
La Terra partorì i Giganti, immani mostri,
che avrebbero osato assalire la casa di Giove. […]
ma Giove, scagliando fulmini dalla roccia del cielo,
rovesciò quell’immensa congerie su chi l’aveva ammassata.
Ben difesa da queste armi, la Maestà degli Dèi
saldamente resiste, e da quel tempo permane venerata.
Da allora siede accanto a Giove, di Giove fedelissima custode,
e a Giove assicura lo scettro da reggere senza contrasto.
Discese anche in terra: la onorarono Romolo e Numa;
poi di seguito gli altri, ognuno nel suo tempo.
Ella guarda ai padri e alle madri con dovuto onore,
ella viene compagna ai fanciulli e alle vergini,
ella conferisce decoro ai fasci portati dai littori e all’eburnea
sedia curule, ella alta trionfa sui cavalli incoronati.>
(Ovidio, Fasti VI, 11ss)
<Circa il nome di questo mese [Maggio ndr] le opinioni degli autori sono largamente contrastanti. Fulvio Nobiliore, nei Fasti che depositò presso il tempio di Ercole e delle Muse, dice che Romolo, dopo che ebbe diviso il popolo in anziani [maiores] e giovani [iuniores], in modo che i primi contribuissero con le decisioni alla salvezza dello stato ed i secondi con le armi, per onorare le due metà chiamò Maius questo mese e Iunius il seguente.
Aprilis, il mese che apre
«Alma Venere, madre di entrambi gli Amori»
La dea rivolse il suo sguardo verso il poeta, e disse:
«Cos’hai a che fare con me? Certo volevi cantare più gravi argomenti. Forse nel tenero petto conservi l’antica ferita?»
Risposi:
«Tu sai, oh dea, la mia ferita»
Sorrise, e subito il cielo intorno a lei si fece sereno:
«Sano o ferito ho forse mai lasciato le tue bandiere? Tu sei sempre stata il mio modello e il tema del mio canto. Senza colpa, come si conviene, scherzai nei miei giovani anni; ora i miei cavalli corrono un più vasto campo. Canto le ricorrenze e le cause, tratte dagli antichi annali, e il sorgere delle stelle, e il loro tramontare sotto la terra. Sono giunto al quarto mese, nel quale sommamente ti si onora: e tu, oh Venere, sai che il poeta e il mese sono tuoi.»
Commossa, toccò lievemente le mie tempi con il mirto di Citerea, e disse:
«Completa l’opera intrapresa»
Ebbi l’ispirazione, e d’un tratto mi si chiarirono le cause delle festività: mentre è concesso, e spirano i venti, corra la nave.>
Ovidio, Fasti IV, 1-18
Aprile, il cui nome deriva dal verbo aperire (aprire, schiudere, in riferimento allo sbocciare dei fiori), era il mese sacro a Venere, dea latina legata all’attrazione e ai venenia, cioè ai veleni ma anche alle pozioni ed al vino. Nel secoli queste sue caratteristiche originarie andarono perdute obliterate dall’identificazione con la greca Afrodite.
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Preghiera per i nuovi Consoli 1 Gennaio
Preghiera simile per il primo gennaio:
Sorto con lieti auspici, anno, tu vedi
Quale ai fasci d’Ausonio avventuroso
Principio arride. Alza il raggiante capo,
Sole eterno, e d’inusata
Luce vestito l’oriente inostra
Oh padre delle cose, anno, che tutto
In tua circulazion volgi dal mese
Sacro al bifronte dio fino al gelato
Dicembre; anno, ten vieni, e il sacro giorno
Tu nuovo mira dell’antico Giano.
Segui gli usati calli; e i vari tempi
Col variar dei dodici temprando
Celesti segni, nella tua rapina
Infatigabil ruota per convesso
Ciel travolto; sì che, intatti i dritti
Del dì serbando, ugual spazio di luce
A vicenda s’aggiunga e tolga al sole,
Finché di nuovo il suo lume rintegri
Al muoversi del verno. Orto ed occaso
Avvicendando volgerai la ruota,
Sin che tredici volte abbia riacceso
La luna il corno; e nel prescritto calle
De’ segni affrenerai del sole il corso.
Ausonio, Edyllia, 333 (9)
Decimo Magno Ausonio è considerato uno dei massimi eruditi del IVsec dell’era volgare, tuttavia i suoi due più famosi allievi, Ponzio Anicio Paolino e l’imperatore Gallieno, divennero l’uno vescovo di Nola e l’altro fortemente attivo in una politica antipagana. Tuttavia è evidente dagli scritti di Ausonio che egli era molto legato alla tradizione pagana, non ultima una lettera inviata al suo ex allievo, ormai vescovo di Nola, in cui lo sconsiglia di intraprendere la sua vita contemplativa.
ITEM PRECATIO KAL. IANUARIIS
Anne, bonis coepte auspiciis, felicia cernis
consulis Ausonii primordia: prome coruscum,
Sol aeterne, caput solitoque inlustrior almo
lumine purpureum iubar exere lucis eoae.
5anne, pater rerum, quas Iani mense bifrontis
volvis in hibernum glaciali fine Decembrem,
alme, veni et festum veteri novus adice Ianum.
coge secuturos bis sena per ostia menses;2 [p. 54]
sollemnes pervade vias bissenaque mundo
curricula aequatis varians per tempora signis
10praecipitem aeterna perfer vertigine cursum,
sic prono raptate polo, contraria Phoebus
ut momenta ferat servata parte dierum
et novus hiberno reparet sua lumina pulsu,
menstrua ter decies redeunt dum cornua lunae,
15exortus obitusque manu volvente rotabis,
legitimum Phoebi cohibens per signa meatum.
Preghiera per i nuovi Consoli 31 Dicembre
Preghiera d’ Ausonio eletto console nel prendere i fasci all’ ultimo di Dicembre
Vieni, o Giano, sol nuovo e rinato anno,
De’ Latini a veder su la curule
Console Ausonio. Non è forse ei degno
Spettacolo ai tuoi sguardi, ora che è fatto
Solo all’ augusta maestà secondo?
Di qui muovon, segnando agl’ immortali
Lor fasti il tempo, di Quirino i figli,
E il gran consiglio, cui fiammeggian cinte
Di porpora le toghe. Anno, con lieti
Auspicii sorto, lepid’ aure adduci
Nella salubre primavera, e piogge
Nell’ estivo solstizio, e boreali
Brezze al Settembre; le autunnali brine
Stempri sottil frescura, e declinando
Per misurati gradi il caldo ceda.
Umido Nolo la semente ammolli;
E sia nevoso il verno, infin che torni
Marzo, dell’anno antico padre. Spiri
Nuova grazia di fiori all’odoroso
Maggio; e Luglio con gli Euri il mar tranquilli,
E la messe maturi : il Cane incendi
Non accresca al Lion ; bella dispensi
Di color varianza e di sapori
Agli arbori Pomona; e ciò che adulto
La state fè, maturi autunno ; e il verno
Dell’offertagli dote in geniali
Ozii fruisca. Regni pace al mondo,
E poter di maligno astro non sia,
Che la conturbi. Penetrar le case
Non ardisca di Marte alcun pianeta
A lui nemico ; non la luna, o il ratto
Mercurio che vicino a noi si gira ;
Non tu, Saturno, che ti volgi estremo
Nel più remoto ciel : tu dall’ ignito
Marte diviso affretterai tranquillo
L’ etereo corso. ltene voi congiunti,
Giove, Stella felice, e Citerea,
Scorta del giorno ; e vi sia pur compagno
Talor Mercurio, agli ospiti cortese.
Vieni, o Giano ; sol nuovo, e rinato anno.
Domi i nemici laddov’ or correndo
All’omaggio lo Svevo al Franco misto,
Di vestir chiede de’ Latini il saio ;
E dove cogli erranti Unni divise
II Sarniata la patria ; e dove, stesa
Agli Alani la destra, ardiva il Gela
Mover all’Istro assalto ; ecco sen viene
(Giá la Vittoria su le rapid’ ali
Me ne reca l’annunzio) il grande Augusto
Ad onestar del suo saluto il mio
Grado, cui lieto avria con me diviso.
Vieni, o Giano; sol nuovo, e rinato anno.
II fulgor del tuo riso anche al venturo
Anno prolunga, o sul : d’ Ausonio i fasci
Cesare avra, della trinata veste
La quinta volta ornato. Oh! di quai lustro
La consolar mia porpora s’ abbella,
Poi che degna vestirla a me secondo
Il sommo Augusto! Odi con mite orecchio,
Nemesi, il vanto: più che nguat non sembra
Farmi Augusto a sé stesso, allor ch’a’miei
Fasci d’entrar consente innanzi a’ suoi?
Vieni, o Giano ; sol nuovo, e rinato anno.
Sospingi il corso de’ seguaci mesi
Per le dodici porte ; e fa che il sole
Al tropico s’affretti, e, a lui di nuovo
Dato il tergo, tramutisi all’opposto
Vernale cerchio; e senza posa scorra
Di tre segnali la quadrupla vicenda
Sprona gli estivi giorni e le brumali
Tarde notti, o promesso anno che il nome
Avrai da Augusto. Oh come io sarò lieto,
Se tanta ho vita ch’io ti veggia! Oh come
In lui d’aver parrammi un’altra volta
L’onor de’ fasci, e porrò in ciel la fronte!
Ausonio, Edyllia, 333 (8)
Decimo Magno Ausonio è considerato uno dei massimi eruditi del IVsec dell’era volgare, tuttavia i suoi due più famosi allievi, Ponzio Anicio Paolino e l’imperatore Gallieno, divennero l’uno vescovo di Nola e l’altro fortemente attivo in una politica antipagana. Tuttavia è evidente dagli scritti di Ausonio che egli era molto legato alla tradizione pagana, non ultima una lettera inviata al suo ex allievo, ormai vescovo di Nola, in cui lo sconsiglia di intraprendere la sua vita contemplativa.
PRECATIO CONSULIS DESIGNATI PRIDIE KALENDAS
IANUARIAS FASCIBUS SUMPTIS
IANE, VENI; NOVUS ANNE, VENI; RENOVATE VENI SOL,
consulis Ausonii Latiam visure curulem,
5ecquid ab Augusta nunc maiestate secundum
quod mireris, habes? Roma illa domusque Quirini
et toga purpurei rutilans praetexta senati
hoc apice aeternis signat sua tempora fastis.
IANE, VENI: NOVUS ANNE, VENI: RENOVATE VENI, SOL.
10Anne, bonis coepte auspiciis, da vere salubri
apricas ventorum animas, da roscida Cancro
solstitia et gelidum Boream Septembribus horis,
mordeat autumnis frigus subtile pruinis
et tenuata moris cesset mediocribus aestas,
15sementem Notus umificet, sit bruma nivalis,
dum pater antiqui renovatur Martius anni.
IANE, VENI: NOVUS ANNE, VENI: RENOVATE VENI, SOL.
Spiret odorato florum nova gratia Maio,
Iulius et segetes coquat et mare temperet Euris,
20Sirius ardentem non augeat igne Leonem,
discolor arboreos variet Pomona sapores,
mitiget autumnus, quod maturaverit aestas,
et genialis hiems parta sibi dote fruatur,
pacem mundus agat nec turbida sidera regnent.
IANE, VENI: NOVUS ANNE, VENI: RENOVATE VENI, SOL.
Nulla tuos, Gradive, offendat stella penates,
quae non aequa tibi; non Cynthia, non celer Arcas
finitimus terris; non tu, Saturne, supremo
ultime circuitu: procul a Pyroente remotus
30tranquillum properabis iter. vos comminus ite,
stella salutigeri Iovis et Cythereie Vesper:
non umquam hospitibus facilis Cyllenius absit.
IANE, VENI: NOVUS ANNE, VENI: RENOVATE VENI, SOL.
Hostibus edomitis, qua Francia mixta Suebis
35certat ad obsequium, Latiis ut militet armis,
qua vaga Sauromates sibi iunxerat agmina Chuni,
quaque Getes sociis Histrum adsultabat Alanis
(hoc mihi praepetibus victoria nuntiat alis):
iam venit Augustus, nostros ut comat honores,
40officio exornans, quos participare cupisset.
IANE, VENI: NOVUS ANNE, VENI: RENOVATE VENI, SOL.
Aurea venturo, Sol, porrige gaudia Iano:
fascibus Ausonii succedet Caesar in annum,
quintam Romulei praetextam habiturus honoris,
45ecce ubi se cumulat mea purpura (mitibus audi
auribus hoc. Nemesis) post me dignatur oriri
Augustus consul, plus quam conferre videtur
me sibi, qui iussit nostros praecedere fasces.
IANE, VENI: NOVUS ANNE, VENI: RENOVATE VENI, SOL.
50Tu tropicum soli da 1 cedere, rursus et illum
terga dare, ut duplex tropico varietur ab astro
et quater a ternis properet mutatio signis,
aestivos inpelle dies brumamque morantem
noctibus adceleret promissus Caesaris annus,
55illum ego si cernam, tum terque quaterque beatus,
tunc ero bis consul, tunc tangam vertice caelum.
IL CULTO DI NETTUNO (parte II)
Marco Vipsania Agrippa, di ritorno dalle vittorie di Mylae, Nauloco ed Azio, farà edificare la Basilica di Nettuno (6), restaurata poi da Adriano (7), situata alle spalle del Pantheon nell’attuale Via della Palombella (8). A Nettuno, in riconoscenza dell’esito dello scontro di Azio, saranno dedicati da Ottaviano i trofei navali (9). Al dio ci si rivolge più in generale per propiziare la via del Mare; che sia la felice conclusione di una carriera marittima, come per Tito Abidio Vero, vicecomandante della flotta di Ravenna (10), o che sia per aver ricondotto incolumi attraverso le tempeste, come nel caso dell’ignoto navigatore salvatosi nel mezzo dello stretto di Sicilia (11). Anche Marco Aurelio e Commodo si trovarono in balia dei marosi, e si rivolsero con ogni probabilità al Signore delle Acque; in questo modo si può spiegare l’offerta di un toro fatta a Nettuno nel 176, per la salute della famiglia imperiale da parte della confraternita religiosa dei Fratelli Arvali (12). Si tratta peraltro dell’unico sacerdozio in Roma che officiò dei riti a Nettuno di cui si abbia notizia, unitamente ad un’altra dedica, sempre da parte degli Arvali, fatta nel 101 in occasione della campagna in Dacia di Traiano. Il dio è invocato insieme ad altre divinità maggiori (Giove, Giunone, Minerva, Salus, Marte, Vittoria, Fortuna, Vesta ed Ercole) per la buona riuscita dell’impresa e per la salute dell’imperatore (13).
Anche questa volta gli viene offerto un toro. Si tratta di una delle offerte massime, nonchè una prerogativa quasi assoluta di Nettuno (14). Questo animale, come il già citato cavallo, presenta delle connessioni con il dio; anche lui è in grado, scalciando la terra, di far zampillare acqua dolce (15). Entrambi questi animali vengono sacrificati e offerti ai flutti, prima di salpare (16); si tratta peraltro di una consuetudine diffusa anche in Grecia, insieme a copiose libagioni di vino (17). La devozione nei riguardi del padre di tutte le acque si registra però ad ogni livello, fino a quello servile; l’unica discriminante è data dal sesso d’appartenenza. Salvo tre rarissime eccezioni (18), tutti i dedicanti sono uomini. Non dipende da un’interdizione sacrale, come nel caso di Ercole o Silvano, ma dal fatto che dalle categorie professionali che si rivolgevano a Nettuno (ufficiali di marina, pescatori, mercanti) erano escluse le donne.
In questo senso, Nettuno era invocato insieme ai Venti e a Tranquillitas (19); viene talvolta associato coi Dioscuri, divinità protettrici dei naviganti (20). L’accezione marittima del dio, ampliatasi con la trasformazione di Roma in una grande potenza navale, non soverchiò mai quella sulle acque interne. Non a caso, nel culto privato Neptunus viene posto in relazione con le Ninfe, le Vires, gli Dèi Acquatici e Benacus (21); sempre, tuttavia, menzionato prima di tutte le altre in ragione della sua importanza. Egli, insieme ad Apollo, è talora riconosciuto dagli scrittori come uno dei Penati, condotti alle coste laziali da Troia, di cui avrebbero innalzato le mura (22). Altra divinità connessa a Nettuno è Furrina, dal momento che le festività a questa dea si svolgono due giorni dopo i Neptunalia (di cui si è già discusso nel precedente articolo); si tratta di una divinità poco conosciuta ma verosimilmente connessa alle acque sotterranee, e dunque partecipe del dominio di Nettuno (23). Soprattutto, gli sono associate due paredre: Salacia, presente già
nelle antiche Comprecationes (formule d’invocazione sacerdotali, 24) e Venilia. Secondo gli antichi, Salacia sarebbe l’acqua che ritorna al largo, mentre Venilia quella che, spinta dal vento, torna a riva (25) e che verosimilmente facilita l’arrivo dei naviganti. In seguito all’assimilazione di Nettuno a Poseidone, il nome di Salacia si fece derivare da salum, “mare”, e specificatamente al fondale (26), oppure all’acqua salsa, ed essa fu assimilata ad Anfitrite e a Teti (27). Altra interpretazione possibile è che Venilia possa essere un altro nome per Furrina, e rappresentare l’acqua sorgiva che sale dalla terra, mentre Salacia le acque che zampillano sotto terra; questo avvicinerebbe Nettuno a divinità indoeuropee quali l’irlandese Nechtan/Nodens e l’indoiranico Apam Napat. Le prerogative di Salacia e Venilia restano tuttavia piuttosto oscure (28).
Ben documentato è il culto, sia in Italia che nelle province. Come già detto nel precedente articolo, il culto di Nettuno nell’Italia meridionale non è che una naturale prosecuzione del precedente culto di Poseidone. La venerazione di questi nel sud della penisola è suffragata anche da dediche votive, come ad Elea, nonché da riferimenti letterari o da prove archeologiche. Scorrendoli in maniera sommaria, a Paestum/Posidonia è evidente sin dal nome; Taranto, le cui origini son legate a Taras figlio del dio, era posta sotto la sua tutela (29). Templi a Nettuno sono attestati nel Lazio a Fregellae (30), in Campania a Baia (31), Sorrento (32) e ad Ercolano, dove sono stati di recente rinvenuti quattro rilievi marmorei pertinenti ad un tempio posto su di una terrazza sopra il mare; essi raffigurano Minerva, Nettuno, Mercurio e Vulcano (33). Templi a Nettuno si hanno a Formiae (34), a Ravenna (35), a Parentium (36) e a Tarentum (37). Estremamente fastosi erano i Neptunalia che si tenevano nei municipi , come le dediche da parte delle autorità locali che si registrano diffusamente (38). Stupisce l’assenza di dediche pertinenti alla Regione VII, l’Etruria, considerata l’importanza che vi ricoprì Nethuns.
Egli presiede infatti alla settima casella del Fegato, alla ventiduesima (insieme a Tin) e alla ventottesima. Risulta in particolare associato alla cistifellea: tale relazione trova conferma anche nelle fonti latine; pare che Ottaviano, il giorno della battaglia navale di Azio, ne abbia trovata una doppia su un unico organo (39). Nettuno è anche uno dei sedici Dèi del templum, occupandone la decima regione (40); ha inoltre la facoltà di inviar fulmini (41). Dell’importanza del dio dà conto anche il Liber Linteus: è un rotolo di
lino, il più lungo testo mai rinvenuto in questa lingua. E’ una sorta di calendario liturgico: senza entrare nel merito di questo documento, è significativo che Nethuns vi sia menzionato ben otto volte, destinatario di offerte sacrificali il 24 settembre (forse perché associato alle piogge autunnali); cosa che fa di lui, se non la principale, tra le più importanti divinità presente nel Liber Linteus. Le immagini del dio son piuttosto rare.
A queste testimonianze se ne possono aggiungere altre, meno esplicite. Monete di Vetulonia del III secolo a.e.v. recano gli attributi del dio, quali il tridente e i delfini. Spia della devozione nell’Etruria potrebbe essere suggerita anche dalla tradizione mitica: son detti figli di Nettuno sia Aleso, fondatore della città etrusco-falisca di Falerii, sia Messapo, il sovrano che nell’Eneide guida sul campo le popolazioni dell’Etruria sud-orientale (43). Più a nord, ad Orvieto, è documentato il gentilizio “nethu”, evidentemente connesso con il nome di Nettuno; tale città non è lontana peraltro da Todi, sulle cui monete venne raffigurato il tridente.
Per quanto riguarda la venerazione di Nettuno nell’Italia settentrionale, è stato proposto che fosse l’esito di un’interpretatio, ossia della prosecuzione di un culto di una divinità dalle competenze analoghe, propria del sostrato celtico. Questa tesi si scontra tuttavia con l’estrema penuria di dediche nelle province d’oltralpe: solo sette ne sono state finora rinvenute. E’ un’eventualità che si sposa meglio con altre province, come quelle africane. Ma al culto provinciale verrà dedicata una trattazione a parte.
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NOTE
1) Ad esempio, CIL VIII 27756: “NEPTUNO [AUG(USTO) SACR(UM)] / PRO SALUTE IMPERATOR(UM) / NOSTRORUM TOTIUSQUE D[OMUS DIVINAE]”.
2) Ad esempio, in CIL XIV 1: “LITORIBUS VESTRIS QUONIAM CERTAMIN[A] LAETUM / EX[H]IBUISSE IUVAT, CASTOR VENERANDEQUE POLLUX / MUNERE PRO TANTO FACIEM CERTAMINIS IPSAM / MAGNA IOVIS PROLES VESTRA PRO SEDE LOCAVI / URBANIS CATIUS GAUDENS ME FASCIBUS AUCTUM / NEPTUNOQUE PATRI LUDOS FECISSE SABINUS”.
3) Gaio Lucilio, Saturae I 3: “..nessuno senza eccezione è designato miglior Padre degli Dèi come Padre Nettuno, Libero, Saturno, Padre Marte, Giano, Padre Quirino”. A quest’elenco si aggiunge Giove, Apollo, Dite ed Enea.
4) CIL XIV 3558: “NEPTUNO / ADIUTORI / SACRUM / M(ARCUS) AEMILIUS / FLACCUS Q(UAESTOR)“.
5) AE 1948, 82: “N[E]PTUNO / REDUCI / L(UCIUS) PORCIUS / SEVERINUS / V(OTUM) S(OLVIT) L(IBENS) M(ERITO“. I.L. Alg. 2986: “
6) Cassio Dione LIII 27: “..in primo luogo, in onore delle vittorie navali portò a termine l’edificio chiamato Basilica di Nettuno, a cui aggiunse fulgore con gli affreschi raffiguranti gli Argonauti”.
7) Aelii Spartiani, De Vita Hadriani 19 [Historia Augusta]: “A Roma [Adriano] restaurò il Pantheon, i recinti del voto, la basilica di Nettuno, moltissimi templi, il foro di Augusto, le terme di Agrippa, e tutte queste opere consacrò coi nomi originali degli antichi fondatori..”
8) Filippo Coarelli, Roma pag. 281: “..una grande opera laterizia con nicchie e un’abside al centro, inquadrata da due colonne corinzie, costituisce quanto resta della Basilica di Nettuno (si noti il fregio marmoreo con delfini e tridenti, particolarmente adatto alla divinità titolare). L’aula, ora tagliata in due dalla Via della Palombella, era coperta da una volta a tre crociere, secondo uno schema che si ritroverà nella Basilica di Massenzio. Anche in questo caso, non si tratta più dell’edificio eretto da Agrippa, ma della sua ricostruzione adrianea. E’ possibile che l’edificio si identifichi con la cosiddetta Biblioteca del Pantheon, ricordata da un papiro del III secolo“.
9) Svetonius, Octavianus 18: “..fondò presso Azio la città di Nicòpoli, e in essa istituì giochi quinquennali; inoltre ingrandì l’antico tempio di Apollo e consacrò a Nettuno e a Marte il luogo dell’accampamento da lui usato, adorno di trofei navali”.
10) CIV V 328: “NEPTUNO DEISQ(UE) AUG(USTIS) / T(ITUS) ABUDIUS VERUS / POST SUBPRAEFECT(URAM) / CLASSIS RAVENN(ATIS) / TEMPLO RESTITUTO / MOLIBUS EXTRUCT(IS) DOMO EXCULTA / IN AREA D(ECRETO) D(ECURIONUM) / CONCESSA SIBI / DICAVIT”.
11) CIL X 3813: “NEPTUNO / SACRUM [..…] / […..] / […]US / VOTUM IN SICULO FRETU / SUSCEPTUM SOLVIT”.
12) AE 1950, 180: “..CO]MMODI [PR(INCIPIS)] IUVENT(UTIS) CO(N)S(ULIS) DESI(GNATI) / […] AVILLI […] CELSI […] / [… M ANTONIUS IU]VENIS TI(BERIU) IULIUS FRUGI / […] IOVI OPT(IMO) MAX(IMO) BOVEM MARE[M] / [IUNONI BOV(EM) FEM(INAM) MINERVAE BOV(EM) FEM(INAM) SA]LUTI BOV(EM) FEM(INAM) NEPTUNO T[AURUM] / [… GENIO L(UCI) AUR(ELI) C]OMMODI CAES(ARIS) BOVEM MAREM / [DIVAE FAUSTINAE PIAE] BOV(EM) FEM(INAM) GENIO IMPERATORI[S TAURUM …] / […] DECEMBR(…)”. Le ragioni di quest’offerta possono dipendere dall’episodio in questione, menzionato dell’Historia Augusta. Giulio Capitolino, Marco Aurelio 27, 2 [Historia Augusta]: “Mentre ritornava in Italia per nave, si trovò nel mezzo di una violentissima tempesta“.
13) CIL VI 2074: “Q(UINTO) ARTICULEIO [PAETO] SE[X(TO) ATT]IO SUBURANO CO(N)S(ULIBUS) / VIII K(ALENDAS) APR(ILES) IN CAPITOL[O PRO SALUTE ET REDI]TU ET VICTORIA IMP(ERATORIS) CAESARIS NERVAE / TRAIANI AUG(USTI) GERM(ANICI) [VOTA NUNCUPAVERUNT FRATRE]S ARVALES IN HAEC VERBA QUAE INFR(A) S(CRIPTA) S(UNT) .. NEPTUNE PATER QUAE IN VERBA I(OVI) O(PTIMO) M(AXIMO) PRO SAL(UTE) ET REDITU ET VICTOR(IA) IMP(ERATORIS) CAESAR(IS) DIVI NERVAE F(ILI) NERVAE TRAI(ANI) AUG(USTI) / GERM(ANICI) PRINC(IPIS) PARENTISQ(UE) N(OSTRI) PONT(IFICIS) MAX(IMI) TRIB(UNICIA) POT(ESTATE) P(ATRIS) P(ATRIAE) BOV(E) AUR(ATO) VOV(IMUS) ESSE FUTUR(UM) QUOD HODIE VOV(IMUS) ITA FACSIS TUNC / TIBI IN EADEM VERBA NOM(INE) COLL(EGI) FRATR(UM) ARV(ALIUM) TAURO AUR(ATO) VOV(IMUS) ESSE FUTUR(UM)..”
14) Virgilio, Eneide II 201: “Laocoonte, scelto a sorte per Nettuno come sacerdote, solennemente un toro enorme immolava presso le are”. III 118: “..sulle are immolò le vittime richieste: un toro a Nettuno, un toro a te, bell’Apollo, una nera pecora alla Bufera, e agli Zefiri propizi una bianca”. Servio, Ad Aen. III 118: “..la scelta delle vittime è operata in base alla natura delle divinità [..] a Nettuno e a Apollo viene immolato un toro”. Macrobio, Saturnalia III 10, 2: “..anche noi abbiamo nozioni di diritto pontificale; e da quanto ci è noto risulterà che Virgilio Marone era del tutto ignorante di questa disciplina giuridica. Infatti «al re dei celesti immolava un toro sulla spiaggia» [Eneide III, 21, ndt] come l’avrebbe potuto dire, se avesse saputo che è proibito immolare un toro a questo dio o se avesse appreso le conclusioni di Ateio Capitone? Ecco le sue parole, tolte dal libro I del Diritto Sacrificale: «Pertanto non è lecito immolare a Giove un toro, un maiale, un montone». Labeone nel libro LXVIII notò che non si immola un toro, eccetto che a Nettuno, ad Apollo e a Marte. Ecco il tuo pontefice, che ignora quali vittime si debbano immolare e presso quali altari: e dire che lo sanno perfino i sacrestani, e lo zelo degli antichi non ne fece certo mistero. Pretestato gli ribattè sorridendo: ‘A quali dèi si immoli il toro, te lo insegnerà Virgilio stesso, se vuoi consultarlo: «un toro a Nettuno e un toro a te, o bell’Apollo» [Eneide III 119, ndt].”
15) Claudio Rutilio Namaziano I 249: “Ci va di visitare le Terme che prendono il nome dal toro nè troppo tempo o fatica costa inoltrarsi tre miglia. Là le sorgenti non sono viziate da un gusto amaro, nè il loro specchio si scala turbandosi per zolfo fumante. Odore puro e sapore dolce, per chi si bagna, lasciano incerto quale ne sia l’uso migliore. Se si può credere alla fama, dobbiamo i bagni ardenti a un toro che ha portato la fonte allo scoperto scalciando in aria zolle, come fa quando prelude allo scontro e a testa bassa sfrega le corna su un duro tronco; o forse un dio non volle nascosti i doni del suolo bruciante e mentì fattezze ed armi di giovenco..” Virgilio, Georgiche III 232: “..muove all’assalto, lanciandosi a testa bassa sul nemico dimentico, come il flutto, quando comincia a biancheggiare in mezzo all’oceano, ancora lontano e dall’alto si gonfia e al rovesciarsi sulla terra smisuratamente rimbomba fra gli scogli, della rupe stessa non meno grande mentre scoscende; ma dal fondo ribolle il flutto di vortici e in alto scaglia nigror di arene..”.
16) Silius Italicus, Punica XVII 47: “Lo stesso Scipione si affrettò a salpare dalla Sicilia [..] Aveva placato il dio del mare con il sacrificio di un toro, e le sue viscere furono sparse galleggianti sull’acqua blu. Poi, provenienti dalla casa degli Dèi e volando attraverso il limpido cielo apparvero gli uccelli che reggono i fulmini di Giove, tracciando un sentiero sul mare che la flotta doveva seguire. Il suono delle loro strida fu auspicio di successo. Le aquile aprirono la strada attraverso il cielo limpido, mantenendosi ad una distanza tale che l’occhio dell’osservatore potesse ancora scorgerle, e le navi le seguirono fino a raggiungere le coste dell’infida Cartagine..” Cicerone, De Natura Deorum III 51: “..del resto i nostri comandanti quando si mettono in mare sono soliti immolare una vittima ai flutti”. Livio XXIX 27: “Non appena spuntò il giorno, Scipione fatto intimare il silenzio a mezzo di un araldo così parlò dalla nave ammiraglia: «O dèi e dee che abitate i mari e le terre, vi prego e vi imploro che quelle cose che furono compiute, si compiono e in futuro si compiranno sotto il mio comando, tutte per me, la cittadinanza e per la plebe romana, per gli alleati e per le genti di diritto latino, e per quelli che seguono la mia parte e quella del popolo romano, il mio potere militare e religioso per terra e per mare e sui fiumi, abbiano buon fine, e che quelle cose tutte, voi vogliate favorire e facciate aumentare con prosperi successi; manteniate sani e salvi i vincitori, sconfitti i nemici, ornati delle loro spoglie, carichi di preda e reduci trionfanti li riconduciate con me alle loro case; dateci la possibilità di trarre vendetta dei nostri avversari e dei nostri nemici, e vi prego di concedere a me e al popolo romano l’occasione di ripagare duramente la capitale cartaginese con quei castighi che il popolo cartaginese tentò di provocare contro la nostra città». Subito dopo queste preghiere, uccisa una vittima, gettò in mare le viscere crude come è costume e diede il segnale della partenza con la tromba. Partiti con vento favorevole piuttosto gagliardo..” Appiano, Pun. 13: “Nel frattempo Scipione, avendo portato a termine i preparativi in Sicilia, e avendo sacrificato a Giove e a Nettuno, salpò alla volta dell’Africa con cinquantadue navi da guerra e 400 da trasporto..” Civ. V 98: “Cesare [Ottaviano] da Dicearchia sacrificando e libando in mare dalla nave ammiraglia ai venti favorevoli, a Nettuno Tutelare e a Tranquillitas, perché fossero cooperanti con lui contro i nemici di suo padre”. Floro, Epitoma XVIII 3: “..[Sesto Pompeo] gettò in mare un cavallo vivo pur ornato d’oro come doni a Nettuno (così pensavano) affinché il dominatore del mare gli permettesse di regnare sulle sue acque”. ) Stazio, Silva III 2: “O dèi che avete a cuore di salvare le ardite navi e attutire i terribili pericoli delle onde sconvolte dai venti, placate la distesa del mare in tranquilla bonaccia e benevolo il vostro con sesso porga ascolto ai miei voti e che il mormorio dell’acqua non copra col suo rumore la mia preghiera: un grande e prezioso pegno noi consegnamo ai tuoi gorghi, o Nettuno”
17) A titolo d’esempio Diodoro Siculo, Biblioteca Storica XVII 104: “Ora [Alessandro] riprese il suo viaggio lungo il fiume ed entrò nell’oceano con i suoi compagni. Lì si imbattè in due isole e su di esse compì ricchi sacrifici. Gettò molte grandi coppe d’oro nelle acque subito dopo aver offerto libagioni con esse. Eresse poi altari a Teti e ad Oceano..” Arriano, Indica XVIII: “E quando Alessandro ebbe dato tutte queste disposizioni, sacrificò agli Dèi, sia a quelli del suo popolo sia a tutti quelli di cui i profeti gli avevano menzionato, sia a Poseidone ed Anfitrite e le Nereidi e allo stesso Oceano e al fiume Idaspe [..] istituì gare artistiche e atletiche, e le vittime per il sacrificio furono distribuite a tutto l’esercito..”
18) Sembra che il dio stesso apparve a Giulia Tyche, liberta ad Ostia, richiedendo questa dedica; AE 1992, 234: “IULIA TYCHE / EX IMPERIO / IUSSA ARAM / NEPTUNO FECI”. Le altre due dedicatarie femminili sono CIL XII 168 e CIL XIII 4713
19) Ad Antium, accanto ad un’ara consacrata a Nettuno (CIL X 6642), sono stati rinvenuti gli altari alla Tranquillità dei Mari ed ai Venti, rispettivamente CIL X 6643 e CIL X 6644.
20) Ammiano Marcellino XIX 10, 4: “..mentre Tertullo sacrificava ad Ostia nel tempio di Castore e Polluce, la bonaccia placò il mare e cominciò a soffiare un mite Austro per cui le navi, entrate a piene vele in porto, riempirono i granai di frumento“. Inno Omerico XXXIII 6-7: “..salvatori degli uomini che vivono sulla erra, e delle rapide navi”. Dediche congiunte a Nettuno sono ad esempio CIL XIV 1 (citata nella nota 1) e AE 1955, 166: “NEPTUNO / CASTORI / POLLUCI / L(UCIUS) CATIUS / CELER / PR(AETOR) URB(ANUS)”.
21) Con gli Dèi Acquatici CIL V 5258: “NEPTUNO ET / DIS AQUATILIB(US) / PRO SALUTE ET / INCOLUMIT(ATE) V(OTUM) S(OLVIT) L(IBENS) M(ERITO) / C(AIUS) QUART(IUS) SECUNDIN(US)”. Con le Vires da Brixia, CIL V 2285: “NEPTUNO / V(OTUM) S(OLVIT) L(IBENS) M(ERITO) VIRIBUS / V(OTUM) S(OLVIT) L(IBENS) M(ERITO). Con le Ninfe proviene una dedica da Roma, CIL VI 536: “NEPTUNO AUG(USTO) / ET NYMPHIS / SACRUM / T(ITUS) AELIUS AUG(USTI) LIB(ERTUS) / OLUMPAS PROC(URATOR) / VOTUM S(OLVIT) L(IBENS) M(ERITO)”. Altre cinque dediche dalle province. Nella Pannonia ad Emona, CIL III 13400: “NEPTUN(O) / ET NYMPH(IS) / PRO / CASSIA / CLEME/NTILLA / V(OTUM) S(OLVIT) L(IBENS) M(ERITO); Crumerum CIL III 3662: “NEPTUNO / ET NYMPHIS / PRO SALUTE IMP(ERATORIS) / CAES(ARIS) M(ARCI) AU/ REL(I) AUG(USTI) ANTO/NIUS [I]LIANUS / PRAEF(ECTUS) COH(ORTIS) V LU[C]E(NSIUM) / POSUIT” e da Vindobona CIL III 14359: “[I](OVI)] O(PTIMO) M(AXIMO) NEPTUNO [AUG(USTO)] / [S]ALACEAE N[Y]MPH[IS FLU]VIO ACAUNO DIS [DEAB] / [US]Q(UE) OMNIB(US) V[EXILL(ARII) LEG(IONIS)] / [VI]II AUG(USTAE) SUB C[URA 3] / A[U]RE[LI] SECUN[DI?] (CENTURIONIS] / [P]R(AEPOSITI) TRA(NS)LATI A LE[G(IONE) X G(EMINA) VII] / [P(IA) V[II] F(IDELI) IN LEG(IONEM) I [ITALICAM] / [GALLIENAM VII P(IAM) VII F(IDELEM) / AUREL(IO) MONTA[NO] / [V(ICES)] A(GENTE) LEG(ATI) L[E]G(IONIS) S(UPRA) S(CRIPTAE) [3 SA] / T[U]URN[I]N[O 3] / [E]T AUREL(IO] [3] / [L]NAVMA[3] / EQ(UITUM) F[EC(ERUNT) MARINIANO ET] / PATERNO CO(N)[S(ULIBUS) 3] / [3] MAIAS”. Dalla Narbonense CIL XII 4186: “] / ITEM TRIB(UNUS) LEG(IONIS) II[3] / GEMELLI PROC(URATORIS) [3] / NEPTUNO ET N[YMPHIS”. Da Capsa, nell’Africa Proconsularis CIL VIII: “NEPTUNO ET N[Y]MPHIS SACRUM / CN(AEUS) IUNIUS CN(AEI) FILIUS PAPIR(IA) [3]M AQUAE[DUCTUM] / F[O]N[TEMPQUE] SUA PEC[UNI]A FECIT / E[T DEDI]CAVIT [D(ECRETO) D(ECURIONUM)]“.
22) Macrobio, Saturnalia III 4, 6: “Anche riguardo agli dèi propri dei Romani, cioè i Penati, la sua opera è cosparsa di sottile acume, tutt’altro che trascurato. Nigidio nel libro XIX su Gli Dèi indaga se gli dèi Penati dei Troiani sono Apollo e Nettuno, che secondo la tradizione costruirono loro le mura, e se Enea li trasportò in Italia. Anche Cornelio Labeone a proposito degli dèi Penati fa la stessa ipotesi. Virgilio Marone segue tale opinione..” Arnobio, Adv. Nat. III 40: “Nigidio insegnò che gli Dèi Penati erano Nettuno e Apollo, che una volta dotarono Ilio delle sue mura. Sempre lui, nel suo sedicesimo libro e seguendo l’insegnamento etrusco, indica che ci sono quattro tipi di Penati; e che uno di questi appartiene a Giove, un altro a Nettuno, il terzo alle ombre sottostanti e il quarto agli uomini mortali, facendo alcune asserzioni inintelligibili”. 43: “Accorrete in aiuto, accorrete sempre in aiuto, Dèi Penati, tu Apollo e tu, Nettuno, con la clemenza del vostro nume allontanate tutti questi mali, che mi bruciano, mi atterriscono e mi tormentano”. Così anche Servio, Ad Aen. I 378, II 325, III 119.
23) Su Furrina poco aiuto ci viene dalle fonti classiche. Dumezìl (in Flamini e i Loro Dèi, Domenico Fasciano e Pierre Seguin, pag. 134), in base alla radice linguistica della dea e alla sua posizione in seno al Calendario Romano suggerisce che “..i Furrinalia riguarderebbero l’industriosa fabbricazione delle aperture attraverso le quali le acque interne sono, di forza, portate alla luce”, cosa che renderebbe Furrina “una patrona dei lavori di scavo dei pozzi” o, più in generale, una divinità con il compito di “..comandare le acque segrete, raggiungibili solo grazie all’operosità dell’uomo”. Sulla posizione del culto furrinale, vedi Filippo Coarelli, Roma pag. 476: “Un piccolo edificio, in cui si è voluto riconoscere un piccolo santuario delle divinità siriache, fu scoperto nel 1906 alle pendici meridionali del Gianicolo. Delle tre fasi che furono allora identificate, solo l’ultima ha lasciato strutture consistenti, ancora visibili. Un’iscrizione greca trovata sul posto contiene una dedica a Zeus Keraunios e alle Ninfe Furrine: nelle immediate vicinanze (probabilmente nella soprastante Villa Sciarra) era dunque il bosco sacro di Furrina, dove nel 121 a.e.v. Gaio Gracco si tolse la vita, dopo la sua inutile fuga dall’Aventino. Qui sgorgava una fonte sacra alla Ninfa Furrina, che fu canalizzata al di sotto del tempio.”
24) Aulo Gellio, Noctes Acticae XIII 23: “Le formule d’invocazione agli dei immortali proprie del rituale romano sono riportate nei libri dei sacerdoti del popolo romano e in numerose orazioni antiche Vi si trova tra l’altro: «Lua di Saturno, Salacia di Nettuno, Ora di Quirino, Viriti di Quirino, Maia di Vulcano, Erie di Giunone, Moli di Marte e Neriene di Marte»..“
25) Agostino, De civ. d. VII 22: “Nettuno già aveva per moglie Salacia che, a sentir loro, era l’acqua del fondale marino. A che scopo le è stata aggiunta anche Venilia? Certamente perché senza alcuna giustificazione mediante il solo desiderio degli indispensabili misteri si moltiplicasse per l’anima disonorata la provocazione dei demoni. Ma si citi l’interpretazione della illustre teologia che con la dovuta giustificazione ci trattenga da questa critica. Venilia, dice Varrone, è l’onda che viene alla spiaggia, Salacia quella che torna al mare..” Varrone, De l.l. V 72: “Salacia, la moglie di Nettuno, deriva il suo nome da salum [alto mare]. Venilia viene dal verbo venire e da quel ventus, di cui parla Plauto: come diceva quel tale trasportato da un vento favorevole sul mare tranquillo: «io godo ventum esse» [«che si sia venuti» e «che ci sia vento»].” Nel Mito, Venilia diverrà la madre di Turno e di Giuturna (divinità delle fonti), o di Canente, consorte di Pico. Virgilio, Eneide X 76: “Turno si saldi alla sua terra natale, lui che ha Pilumno per avo e la divina Venilia per madre..“. Ovidio, Metamorfosi XIV 333: “..“egli, trascurandole tutte, ama una sola ninfa, che si dice che una volta Venilia partorì sul colle Palatino a Giano dai due volti. Non appena questa fu matura per le nozze, venne data in sposa a Pico di Laurento preposto a tutti gli altri pretendenti, essa di rara bellezza, ma ancora più rara per l’abilità del canto, per cui fu chiamata Canente.”
26) Agostino, Civ. D. IV 10-11: “Perché dunque l’etere è affidato a Giove, l’aria a Giunone? Alla fin fine se loro due bastavano, perché il mare è affidato a Nettuno e la terra a Plutone? E perché anche essi non rimanessero scapoli, si aggiunge Salacia a Nettuno e Proserpina a Plutone. Ma come Giunone, rispondono, occupa la zona inferiore del cielo, così Salacia la zona inferiore del mare [..] nel mare Nettuno, nel fondo marino Salacia..”
27) Servio, Ad Aen. I 144: “Tritone, divinità marina, è figlio di Nettuno e di Salacia, dea marina che prende il nome dall’acqua salata“.
28) G. Dumezìl, Mythe et Epopee III, p. 81: “Ma Salacia non è sola, esiste una Venilia, con la quale gli antichi hanno pensato, e la maggior parte dei moderni pensa, che ella formi una coppia antitetica [..] Per precisare l’articolazione delle due entità, senza dubbio è sufficiente trasporre le formule varroniane dal più recente al più antico dominio di Nettuno, dal mare alle fonti, ai fiumi, ai laghi e sostituire la direzione dei movimenti cambiando dalle acque marine per il regime variabile del corso continuo delle acque terrestri“.
29) Taranto: Orazio, Carmina I 28: “..da Nettuno, che protegge Taranto”. Velleio Patercolo I 15: “..a Tarentum Neptunia”.
30) Giulio Ossequente, Prodigiorum Liber 2.56C: “A Fregelle il tempio di Nettuno si aprì durante la notte”.
31) Petronio, 104: “..la statua di Nettuno, quella che ho visto nel santuario di Baia”.
32) Silva II 2, 21: “Davanti a quella dimora fa la guardia il cerulo reggitore delle acque tempestose, custode di un pio focolare: di onde amiche spumeggia il suo santuario.” Il tempio, insieme a quello erculeo posto a tutela del porto, si trova nei pressi della villa romana di Pollio Felice.
33) M. Pagano, La nuova pianta della città e di alcuni edifici pubblici di Ercolano, in Cronache Ercolanensi pag. 237.
34) CIL X 6104: “M(ARCUS) CAELIUS M(ARCI) L(IBERTUS) PHILEROS ACCENS(US) / T(ITI) SEXTI IMP(ERATORIS) IN AFRICA CARTHAG(INE) AED(ILIS) PRAEF(ECTUS) / I(URE) D(ICUNDO) VECTIG(ALIBU) QUINQ(UENNALIBUS) LOCAND(IS) IN CASTELL(IS) LXXXIII / AEDEM TELL(URIS) S(UA) P(ECUNIA) FEC(IT) IIVIR CLUPIAE BIS FORMIS / AUGUST(ALIS) AEDEM NEPT(UNI) LAPID(IBUS) VARIS S(UA) P(ECUNIA) ORNAV(IT) / FRESIDIAE N(UMERI) L(IBERTAE) FLORAE UXORI VIRO OPSEQ(UENTISSIMAE) / Q(UINTO) OCTAVIO [MULIERIS] L(IBERTO) ANTIMACHO KARO AMICO”.
35) CIL XI 126: “FLAVIAE Q(UINTI) F(ILIAE) SALUTARI CONIUGI / RARISSIMAE L(UCIUS) PUBLICIUS ITALICUS DEC(URIONALIBUS) ORN(AMENTIS) / ET SIBI V(IVUS) P(OSUIT) HIC COLL(EGIO) FABR(UM) M(UNICIPII) R(AVENNATIS) [SESTERTIUM] TRIGINTA MILIA N(UMMUM) VIVUS DEDIT EX QUOR(UM) / REDITU QUOD ANNIS DECURIONIB(US) COLL(EGII) FABR(RUM) M(UNICIPII) R(AVENNATIS) IN AEDE NEPT(UNI) / QUAM IPSE EXTRU[C]XIT DIE NEPTUNALIORUM PRAESENTIBUS SPORT(ULAE) [DENARII] CENTENI QUINQUAGENI QUOD ANNIS DARENTUR UTEX EA SUMMA SICUT / SOLITI SUNT ARCAM PUBLICIORUM FLAVIANI ET ITALICI FILIORUM ET ARCAM IN QUA POSITA EST FLAVIA / SALUTARIS UXOR EIUS ROSIS EXORNET DE [DENARIS] VIGINTI QUINQUE SACRIFICENTQUE EX [DENARIIS] DUODECIM ET SEMIS ET DE RELIQ(UIS) IBI EPULENTUR / OB QUAM LIBERALITATEM COLL(EGIUM) FABR(UM) M(UNICIPII) R(AVENNATIS) INTER BENEMERITOS QUOD ANNIS ROSAS PUBLICIIS SUPRA S(CRIPTIS) / ET FLAVIAE SALUTARI UXORI EIUS MITTENDAS EX [DENARIIS] VIGINTI QUINQUE SACRIFICIUMQUE FACIUMDUM DE [DENARIIS] DUODECIM ET SEMIS / PER MAGISTROS DECREVIT”.
36) CIL V 328: “NEPTUNO DEISQ(UE) AUG(USTIS) / T(ITUS) ABUDIUS VERUS / POST SUBPRAEFECT(URAM) / CLASSIS RAVENN(ATIS) / TEMPLO RESTITUTO / MOLIBUS EXTRUCT(IS) / DOMO EXCULTA / N AREA D(ECRETO) D(ECURIONUM) / CONCESSA SIBI / DICAVIT”.
37) CIL I2 3168: “L(UCIUS) RUSTICELIS COS(MUS?) / AED(ITUUS?) NEPTUNO SAC(RAVIT)”
38) Ad esempio a Ravenna, vedi nota 34, e a Como. CIL V 5279: “L(UCIUS) CAECILIUS L(UCI) F(ILIUS) CILO / IIIIVIR A(EDILICIA) P(OTESTATE) / QUI TESTAMENTO SUO [SESTERIUM] N(UMMUM) QUADRAGINTA MILIA MUNICIPIBUS COMENSIBUS / LEGAVIT EX QUORUM REDITU QUOT ANNIS PER NEPTUNALIA OLEUM / IN CAMPO ET IN THERMIS ET IN BALINEIS OMNIBUS QUAE SUNT / COMI POPULO PRAEBERETUS T(ESTAMENTO) F(IERI) I(USSIT) ET / L(UCI) F(ILIO) SECUNDO ET LUTULLAE PICTI F(ILIAE) CONTUBERNALI / AETAS PROPERAVIT FACIENDUM FUIT NOLI PLANGERE MATER MATER / ROGAT QUAM PRIMUM DUCATIS SE AD VOS”. Ad Atria e ad Aquileia vennero erette dai magistrati locali delle statue di culto al dio; ad Anzio le are di Nettuno, dei Venti e della Tranquillità del mare furono verosimilmente dedicate dalla res pubblica degli Antiates.
39) Plinio XI 195: “Gli aruspici l’hanno consacrata a Nettuno e alla potenza dell’acqua; il divino Augusto ne trovò una doppia il giorno in cui vinse ad Azio”.
40) Marzianus Capella, De Nuptiis Philologiae et Mercurii I 54: “Inoltre, dalla decima [regione] vi radunaste voi, o Nettuno, e Lare Universale, e Neverita, e tu Conso”.
41) Cicerone, De Haruspicum Responsis 20: “..state attenti e porgete mente, non solo orecchio, alle parole degli aruspici: «ATTESO CHE NELLA CAMPAGNA LAZIALE SI E’ UDITO UN BOATO ACCOMPAGNATO DA UN FRAGORE». Lascio in pace gli aruspici, lascio in pace la loro antica dottrina che gli stessi Dèi immortali, stando alla tradizione, hanno rivelata agli Etruschi; non potremmo forse essere noi stessi degli aruspici? Si è udito nella campagna vicina, alle porte di Roma, un sordo boato accompagnato da un pauroso fragore d’armi. Quale di quei giganti che, secondo i poeti, portarono guerra agli Dèi immortali, sarebbe così empio da non riconoscere che con questo scotimento così insolito e forte gli Dèi annunciano e predicono al popolo romano qualche grave evento? Su questo prodigio il responso è in questi termini: «GIOVE, SATURNO, NETTUNO, LA TERRA E LE DIVINITA’ CELESTI ESIGONO RIPARAZIONE». Intendo bene quali sono gli Dèi che, oltraggiati, esigono riparazione..”. Anche Cassio Dione XXXIX 20 riferisce dei boati.
42) L. Bouke Van Der Meer, Votives Places and Rituals in Etruscan Religion, pp 229-230. Nancy Thomson de Grummond, Etruscan Myth Sacred History and Legend, pp. 145-146.
43) Servio, Ad Aen. VIII 285: “..dicono che i Salii vennero istituiti da Morrio re dei Veienti, affinchè con i loro inni lodassero Aleso, figlio di Nettuno”. Virgilio, Eneide VII 691: “Messapo, domator di cavalli, di Nettuno figliolo, che a nessuno con ferro o con fuoco è permesso atterrare, popoli pigri da tempo, schiere disavvezze chiama a un tratto alle armi e il ferro maneggia. Son fescennine falangi, son Equi e Falisci, son quelli che del Soratte hanno i borghi e i campi Flavini, e il lago e il monte del Cimino e i boschi Capeni.” IX 523: “Messapo domator di cavalli, prole nettunia..”. X 353: “..arriva, prole nettunia, Messapo dai bei cavalli”. XII 128: “..domator di cavalli Messapo, prole nettunia”.