I Sacerdoti Feziali: tra Religio, Diritto e Guerra

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Quello dei  Feziali era un antico collegio sacerdotale che risale, per tradizione unanime delle fonti a nostra disposizione, all’epoca della monarchia.

I sacerdoti Feziali, cooptati in numero di venti, erano specialisti nel campo delle procedure giuridico- religiose della dichiarazione di guerra e della stipula dei trattati, avevano sia compiti operativi sia funzione consultiva, fornendo al senato ed ai consoli i pareri di diritto internazionale loro richiesti.

La guerra costituiva certo una realtà ineluttabile e concreta nel mondo antico, e non sorprenderà certo che i romani, popolo pio per antonomasia, che nel corso della loro storia costantemente furono in guerra, disponessero di sacerdoti la cui funzione era quella di assicurare, in concordia con la Pax Deorum, che la guerra intrapresa da Roma fosse sempre bellum iustum.

Il concetto del bellum iustum è fondamentale per i romani, l’aggettivo iustum non implicava una connotazione etica, bellum iustum era la guerra dichiarata in conformità allo ius, nello specifico proprio allo ius fetiale.

Se nel cosmos romano tutto è volto a preservare la Pax Deorum, tramite una miriade di precisi riti da svolgere nel modo e nel momento consono, è naturale che in un ambito importante come quello della guerra pure esistessero precise formule e precisi rituali che consentivano allo stato romano di muovere guerra secondo ius, in un modo formalmente e legalmente ineccepibile, di modo da non inimicarsi i numi, dai quali dipendeva in ultimo la salvaguardia della Res publica.

Questo sacerdozio non fu una prerogativa romana: Livio sostiene che i Feziali furono “importati” dal popolo degli Equicoli (1), Dionigi di Alicarnasso aggiunge l’ipotesi per cui i romani importarono invece il collegio sacerdotale dalla vicina città laziale di Ardea (2), Livio riporta inoltre che anche la città latina di Alba (3)  e il popolo italico dei Sanniti avessero dei propri Feziali.

Queste risultanze, insieme alla pacifica nascita del collegio in epoca arcaica, portano a ritenere che questo sacerdozio abbia origine latino-italica.

Per quel che riguarda l’ambito romano le fonti a nostra disposizione sono concordi nel riconoscere al periodo monarchico la creazione del collegio ma sono discordi nell’individuare quale re lo istituì: per Dionigi di Alicarnasso e Plutarco la nascita del sacerdozio si deve a Numa Pompilio (4), Cicerone e Diodoro Siculo la fanno risalire a Tullo Ostilio (5), mentre Livio e Servio ne collocano la nascita durante il regno di Anco Marzio (6).

Il collegio era costituito da venti sacerdoti eletti per cooptazione (dal Re in età monarchica, dal Senato poi), inizialmente potevano farne parte solo i patrizi ma nella tarda repubblica anche i plebei potranno rivestire la carica.

Normalmente nelle loro missioni operative  al di fuori di Roma la sodalità inviava due membri: uno definito “Pater Patratus” che era titolato ad impegnare il nome di Roma e a pronunciare le sacre formule, ed un secondo sacerdote detto “Verbenarius” che lo accompagnava recando con sè le sagmina, erbe sacre raccolte sul Campidoglio, atte ad usi rituali ed a rinsaldare il legame mistico dei due sacerdoti con l’ager romano.

Le attribuzioni dei sacerdoti Feziali possono esser riassunte in tre diverse funzioni :

la Belli indictio (cioè la dichiarazione di guerra); la stipulazione di Foedera (trattati) a nome del popolo romano; la Deditio ( la consegna ad un popolo nemico dei cittadini romani  colpevoli di un particolare crimine, di modo che l’intera societas  non venisse contaminata dalle azioni di pochi empi).

Delle tre funzioni, che naturalmente sono strettamente collegate tra di loro, la belli indictio è forse la più importante.

La scelta tra la pace e la guerra (come vedremo più nel dettaglio) spetta ai magistrati, ma le cerimonie sacre che sole fondano misticamente tale decisione sono di spettanza dei  Feziali.

La procedura magico-giuridica che portava alla dichiarazione di guerra può essere suddivisa idealmente in tre fasi.

Per prima cosa i Feziali inviati in territorio ostile chiedono la restituzione delle cose (rerum repetitio) (7).

Il sacerdote, riporta Livio, con il capo coperto dal filum ( cioè un velo di lana) si ferma prima sulla frontiera (fines) e per la prima volta pronuncia  una formula solenne:

” Ascolta, o Giove, ascolta territorio dei  ( qui veniva poi specificato il nome del popolo che abitava quel territorio), ascolta ordinamento divino (fas): sono il portavoce  ufficiale del popolo romano, vengo quale ambasciatore secondo il diritto umano e divino, prestate fede alle mie parole!” (8)

Una volta recitata questa prima formula esponeva le richieste dello stato romano  e invocava su di sè una maledizione nel caso in cui le sue richieste fossero state inique ( iniuste impieque): “Giove! Se io chiedo contrariamente al diritto umano e divino che mi vengano consegnate quelle persone e quelle cose, non permettere che io riveda mai più la mia patria!”(9).

Dopodiché varcava solennemente i confini del territorio nemico e ripeteva ulteriormente la stessa formula sacrale dinnanzi al primo uomo che avesse incontrato, di seguito la ripeteva ancora prima di entrare nella città nemica, e infine la pronunciava di nuovo nel foro cittadino dinnanzi ai magistrati locali.

La formula fissa veniva di volta in volta integrata con la specificazione delle richieste dello stato romano: la restituzione del bottino di una razzia, la consegna di chi si era macchiato di crimini nei confronti del popolo romano ecc ecc

L’intervento dei Feziali poneva il popolo interlocutore dinnanzi ad un aut aut: ottemperare alle giuste richieste dei romani o non accondiscendere ed accettare quelle che potevano essere le estreme conseguenze: la guerra.

La rigida formularità che contraddistingue l’intervento dei Feziali non lascia aperte ulteriori ipotesi di negoziato, quanto si evince dalle fonti è che l’intervento di questi sacerdoti doveva seguire una precedente ambasceria “laica” che poteva trattare e cercare di ricomporre il conflitto, quando questa avesse fallito non rimaneva che il grave invio dei Feziali.

Se la comunità ostile non avesse preso un’immediata decisione le sarebbero stati concessi dieci giorni, che potevano esser prorogati per tre volte (quindi fino a raggiungere i trenta giorni ) (10)  per dare una risposta alle richieste romane.

Scaduto il termine senza una risposta, o con una risposta negativa, il Pater Patratus avrebbe pronunciato un giuramento le cui parole ancora una volta ci vengono da Livio: ” Ascolta Giove, e tu, Giano Quirino, e tutti voi dèi del cielo, della terra e dèi inferi, ascoltate: io vi chiamò a testimoni che questo popolo -nome del popolo- è ingiusto e non ci dà soddisfazione; ma su questo consulteremo in patria gli anziani ( il senato), per sapere in qual modo si possa far valere il nostro diritto.” (11)

Arrivati a questo punto i romani possono, presumibilmente con il favore degli dei che i Feziali hanno costantemente chiamato a testimoni nel rivolgere le loro pie e giuste richieste, dichiarare unilateralmente la guerra per riparare i torti subiti: è la fase della consultatio patrum.

In epoca monarchica il Re avrebbe chiesto ai singoli senatori uno per volta cosa si dovesse fare per avere soddisfazione, una volta che si fosse raggiunta la maggioranza la guerra sarebbe stata decisa.

In questa fase il sacerdote non ha funzioni attive, egli ha intimato secondo Fas e secondo Ius ai nemici di accogliere le richieste del popolo romano, i nemici hanno rifiutato; la procedura giuridico-religiosa di pertinenza dei Feziali è stata rispettata; ora la decisione spetta all’assemblea dei patres conscripti (12).

Infine una volta che l’assemblea ha deliberato la guerra deve, per poter essere iusta, cioè secondo ius, essere dichiarata nel modo proprio.

È la fase della indictio belli che si conclude con l’emissio hastae.

Il Pater Patratus si porta ancora una volta sulla frontiera con lo stato straniero: ripete ancora una volta solennemente le ragioni del popolo romano e l’ingiustizia dei nemici nel non adempiere alle sue pie richieste , dopodiché davanti agli dèi e a tre cittadini romani adulti che fungono da testimoni della correttezza della procedura, scagliava una lancia ( con punta in ferro o un giavellotto di corniolo rosso indurito dal fuoco e insanguinato, chiari richiami alle devastazioni portate dalla guerra) in territorio nemico sancendo così l’inizio delle ostilità (13) .

Una simile procedura se poteva essere più o meno agevolmente svolta in ambito italico, iniziò a diventare più dispendiosa quando le fortune di Roma la consacrarono a potenza mediterranea, un conto era inviare i Feziali  presso Alba, Veio o i Sanniti, altro sarà ripetere il complesso cerimoniale in teatri operativi al di là del mare.

Il finissimo ingegno giuridico romano porterà così dalle guerre pirriche in poi i sacerdoti ad utilizzare un’ingegnosissima fictio iuris.

Per evitare ai Feziali un lungo viaggio fino all’Epiro , i romani escogitarono questa soluzione: fecero acquistare un pezzo di terra vicino al tempio della dea Bellona ad un soldato di Pirro preso prigioniero;  questo campo divenuto “territorio quasi ostile” può essere così soggetto alla procedura dell’emissio hastae (14).

Altra fondamentale funzione del collegio dei Feziali era la stipula di trattati; dei quali, una volta che fossero stati conclusi, gli stessi Feziali erano custodi.

L’intervento dei Feziali può essere suddiviso in tre fasi anche per quel che riguarda la stipula deifoedera.

La prima fase vede come protagonisti il Rex e il Verbenarius ( cioè il Feziale incaricato di raccogliere l’erba sacra), il secondo pone una serie di precise domande al Rex (in epoca repubblicana il rex sarà sostituito in questa attribuzione dal senato):  gli chiede se acconsente a che venga stretto un accordo, gli chiede poi il permesso di prelevare la sacra sagmina dal Campidoglio; infine chiede di essere investito quale ” nunzio regio del popolo romano” (15).

Con l’investitura che sancisce la fine di questa prima fase si conclude il ruolo del Rex, ed entra invece in scena un secondo Feziale, che viene “creato” Pater Patratus dal Verbenarius che lo tocca sul capo con la verbena (16).

Infine il Pater Patratus davanti al suo omologo straniero, prendendo a testimoni gli astanti e gli dei, impegna Roma a rispettare le clausole del trattato (17); invocando su di essa l’ira di Giove se il popolo romano dovesse venir meno alla parola data (18).  Questa exsecratio si accompagna ad un rito che prevedeva la presenza di un maiale che veniva colpito con una selce (lapis silex) (19), mimesi della folgore divina che abbatte lo spergiuro, portata appositamente dal tempio di Giove Feretrio.

Quest’atto mette fine alla procedura e sancisce la felice conclusione dell’accordo.

L’ultimo istituto che prevede la partecipazione dei Feziali è la “Deditio”: istituto preposto a consegnare ad un altro popolo cittadini romani che non avevano rispettato il diritto delle genti o il diritto divino, così da evitare che le azioni di pochi potessero contaminare la collettività ed alterare il rapporto di collaborazione e fiducia che legava i romani agli dei.

Una circostanza tipica in cui si fece più volte ricorso alla Deditio fu quando un generale romano aveva stipulato un accordo con una popolazione nemica senza aver prima consultato il senato: così avvenne per esempio nel 320 aC in seguito all’ umiliante capitolazione delle Forche Caudine, il console Postumio consigliò personalmente al senato di consegnarlo ai Sanniti poichè aveva impegnato la parola del popolo romano senza averne il diritto. Il senato in quell’occasione  non ratificò l’accordo con i Sanniti, ma ciò non bastava a liberare i romani dall’impegno verbale: Postumio e i suoi compagni vennero quindi consegnati dai Feziali ai Sanniti.

La tradizione storiografica romana fa dipendere il sacco di Roma del 390 aC da una mancata Deditio e dalla seguente collera divina: l’anno precedente infatti l’ambasciatore romano Quinto Fabio aveva violato lo ius gentium  partecipando ad una sortita dei Chiusini, alleati dei romani, contro i galli ed uccidendo un comandante nemico.

Come ambasciatore infatti egli avrebbe dovuto, secondo lo ius gentium astenersi nel modo più assoluto dal combattere.

I Galli mandarono così un’ambasceria a Roma chiedendo la consegna di Quinto Fabio, i Fetiales si pronunciarono a favore della Deditio, ma l’assemblea popolare si oppose.

Così l’anno successivo gli dei concessero ai galli il saccheggio dell’Urbe che, naturalmente, suscitò poi tanto orrore nella storia romana.

Il collegio dei Feziali perse progressivamente importanza in seguito alle guerre civili ed al periodo del principato, gli specialisti del sacro diritto che governava i rapporti tra i diversi popoli,nella pace e nella guerra, furono lentamente ma inesorabilmente sostituiti nelle loro attribuzioni da legati imperiali “laici”.

Luca Corvi

NOTE 

(1)    Livio:  Ab Urbe Condita, 1.32.5;

(2)    Dionigi di Alicarnasso: Antichità Romane,  2.72.2;

(3)  Livio: Ab Urbe Condita, 1.24.7;

(4)    Dionigi di Alicarnasso: op. cit. 2.72.1, Plutarco: Numa, 12.4;

(5)    Cicerone: de re publica, 2.17.31; Diodoro Siculo: Bibliotheca Historica, 8.25.2;

(6)    Livio: op. cit. 1.32.5 Servio: Commentarii in Vergilii Aeneidos libros, 10.14;

(7)    La rerum repetitio è la richiesta della restituzione delle cose, si noti come  l’alto tasso di formalità e la scansione stessa dell’operazione in più fasi, di cui la prima consisteva appunto nel res repetere siano in pratica molto vicini alle forme dell’arcaico processo romano, che era operazione magico-religiosa prima che giuridica.

(8)   Livio: op. cit.  1.32.6: “<Audi, Juppiter, audite fines (precisazione del popolo straniero che vive oltre a quei confini), audiat fas. Ego sum publicus nuntius populi romani; iuste pieque legatus venio, verbisque meis fides sit>”;

(9)    Livio: op. cit.:  1.32.7: “< Si ego iniuste impieque illos homines illasque re dedier mihi exposco, tum patriae compotem me nunquam siris esse.>”;

(10) Alcune fonti propendono invece per undici giorni anziché dieci, se prorogati potevano portare a trentatre giorni in questo caso, anziché trenta come sopra riportato.

(11) Livio op. cit.  1,32,10: “<Audi, Iuppiter, et tu Iane Quirine, diique omnes caelestes, vosque terrestres, vosque inferni, audite: ego vos testor populum illum” – il nome del popolo nemico – “iniustum esse neque ius persolvere. Sed de istis febus in patria maiores natu consulemus, quo pacto ius nostrum adipiscamur>”.

(12) Se in età monarchica e nel periodo più arcaico della repubblica la potestà di decidere la guerra spettava al solo senato, a partire dal 427 a.C. (in occasione della guerra contro Veio) i tribuni della plebe ottennero che anche l’assemblea del popolo in armi, cioè il comizio centuriato, votasse sull’ opportunità dell’entrata in guerra. Da quel momento oltre ad ilsenatus censet occorrerà il populus iubet; 

(13) Anche l’emissio hastae ricorda la ritualistica processuale arcaica, nello specifico la festuca(bastone che simboleggiava, appunto, una lancia) con cui nella legis actio sacramento si rivendicava la proprietà di un bene.

(14) Lo stesso Ottaviano Augusto, fattosi cooptare Feziale, scagliò l’asta nell’ ager hostilis in prossimità del tempio di Bellona per dichiarare propriamente guerra a Cleopatra ed Antonio.

(15) Livio op.cit. 1.24.4-5: ” Fetialis regem Tullum ita rogavit: <Iubesne me, rex, cum patre patrato populi Albani foedus ferire?> Iubente rege, <Sagmina> inquit <te, rex, posco.> Rex ait: <Pura tollito.> Fetialis ex arce graminis herbam puram attulit. Postea regem ita rogavit: <Rex, facisne me tu regium nuntium populi Romani Quiritium, uasa comitesque meos?> Rex respondit: <Quod sine fraude mea populique Romani Quiritium fiat, facio.> “

(16) Livio op. cit.  1.24.6 “ Fetialis erat M. Valerius; is patrem patratum Sp. Fusium fecit, verbena caputcapillosque tangens. Pater patratus ad ius iurandum patrandum, id est, sanciendum fit foedus; multisque id    verbis, quae longo effata carmine non operae est referre, peragit. “

(17) Le formule che venivano recitate dopo la conclusione del trattato servivano a rendere nulla ogni tipo di riserva mentale o artificio dialettico con cui, in seguito, i contraenti avessero eventualmente voluto interpretare in modo difforme, da quanto sancito concordemente al momento della stipula, il trattato. (Si veda in proposito Dumezìl, La religione Romana arcaica, Bur, 96,97);

(18) Livio op. cit. 1.24.8: “<Si prior defexit publico consilio dolo malo, tum tu illo die, Juppiter, populum Romanum sic ferito ut ego hunc porcum hic hodie feriam, tantoque magis ferito quanto magis potes pollesque!>

(19) Secondo un’altra versione il lapis silex veniva gettato a terra e il Feziale diceva che avrebbe accettato di cadere esanime come la pietra se fosse venuto meno al giuramento.  (Per esempio in Polibio, Storie, 3.25.6-9);

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