Carmina Marciana e Libri Sibillini parte 2

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CARMINA MARCIANA E LIBRI SIBYLLINI
DIVINAZIONE E VATES. parte 2

segue da articolo precedente

Tuttavia posto il carattere espiatorio e legato alla contingenza del momento storico del lectisternium sembra generarsi un primo legame tra Apollo e l’età dell’oro, quasi “concorrenziale” alla saturnia aetas, proprio perché Apollo viene associato ad un rinnovamento complessivo, spirituale e materiale della civitas [1]. Altra tappa apollinea è nel 364. Ancora una volta una epidemia pestilenziale determinò la consultazione dei libri, da cui i decemviri sacris faciudis, ordinarono un lettisternio e per la prima volta a Roma l’allestimento di spettacoli teatrali [2]. Dunque i ludi scaenici vennero allestiti per questioni religiose in un contesto espiatorio, tale da supporre una funzione catartica del teatro. Come rileva Claudia Santi, tali catarsi era riferita non ai fruitori dello spettacolo, piuttosto al destinatario, visto che miravano alla placatio dell’ira deorum [3]. Eppure nel 364 la rappresentazione non venne ultimata a causa di un’esondazione del Tevere, che venne interpretata come segnale di un’ulteriore collera divina [4]. Ora c’è da supporre che nel 364 l’area teatrale fosse vicino al Tevere, probabilmente in campo Flaminio, dove non a caso nel 179 Emilio Lepido avrebbe fatto edificare un teatro e dove Augusto edificò il teatro di Marcello. L’area dunque fin dal V secolo ospitava un tempio di Apollo, che non a caso potrebbe ancora una volta essere chiamato in causa, come moderatore per il risanamento della popolazione, perché il Dio acquisirebbe la capacità di garantire salute e salvezza. Avremmo agio nell’asserire il frontone del tempio di Apollo medico, si affacciasse direttamente sulla cavea [5], dando l’impressione il dio partecipasse direttamente alla rappresentazione. Ma qualcosa andò storto; Livio dice letteralmente “gli dei si voltarono dall’altra parte”. Ora risulta evidente i romani verso il teatro e gli attori non avessero una buona considerazione; il teatro avrebbe determinato il diffondersi di luxuria ellenica, atta a contaminare e corrompere i costumi tradizionali[6]. Ora sempre da Livio sappiamo che i ludiones etruschi proposero coreografie molto sobrie, senza testi cantati, ma solo con musiche, dunque a determinare scandalo o indignazione non resta che supporre fossero gli abiti di scena. Già, proprio quel lusso appariva in netto contrasto con i sobri costumi romani, così valeva per ambiti funerari, nel campo del possesso di gioielli, suppellettili e vasellame prezioso (cfr. Cornelio Rufino da Plutarco vita di Silla), così come nel campo dell’abbigliamento, dove nel 217 una lex Metilia giungerà a punire le lavorazioni ed esibizioni in pubblico di stoffe lussuose. Viceversa nel mondo etrusco, il linguaggio figurativo contemporaneo mostra diffusamente, una vasta gamma di ricchezza nell’abbigliamento di artisti e danzatrici, basti pensare alle tombe di ambiente tarquinese, come si evince dalla tomba del gallo di poco precedente, con una danzatrice abbigliata con crotali e del ricco abbigliamento dell’auleta. Dunque proprio quei ludiones con il loro abbigliamento dovettero risultare, davvero in contrasto con la religiosità tradizionale. Dunque i Ludi vennero sospesi in quel 364, e successivamente pur rimanendo nel solco di Apollo subirono diverse modificazioni [7]. Eppure ad ulteriore riprova di quanto fossero i libri sibyllini a determinare la ricezione della funzione specifica di Apollo, constatiamo come nel 293, sempre a seguito di una pestilenza, i V.S.F. ordinarono di importare da Epidauro il culto del guaritore Esculapio, che appena fu possibile ottenne un santuario nell’isola Tiberina. Questa nuova introduzione svalutò Apollo della sua funzione moderatrice e terapeuta, avvicinandolo a funzioni liberatorie [8]. Per Georges Dumezil, la guerra annibalica rappresentò la prima grande prova per il sistema sincretistico romano, venutosi a formare tra V e IV secolo, attraverso le congiunzioni di vota magistratuali e piacula pubblici [9]. Seguendo la trattazione liviana, pur constatando una totale assenza di Apollo nel novero dei tantissimi prodigi del 218, egli è direttamente chiamato in causa all’indomani della disfatta di Canne, visto che è disposta una delegazione ufficiale, incaricata di consultare l’oracolo di Delfi, a cui porre due quesiti: -Quali divinità placare e con quali preghiere e sacrifici. -Quando sarebbe terminata la strage. Risulta quanto mai evidente i due quesiti fossero intimamente legati: la strage sarebbe terminata solo quando le divinità fossero state placate [10]. Ora coerentemente con la demitizzazione e con la divinazione romana, il ricorso in questo caso all’oracolo delfico, come in molti altri contesti il ricorso ad aruspici etruschi, non rappresenta una soluzione alternativa alla divinazione tradizionale; piuttosto si configura come supporto ad essa [11]. Seguendo il resoconto liviano, il responso della Pythia riferito alla legazione guidata da Fabius Pictor, inoltre è ancora particolarmente coerente i valori romani; infatti tale responso non contiene prospezioni future, ma una dettagliata enunciazione di divinità da placare con riti espiatori e in ultimo un precetto morale, cioè quello di “tenete lontana da voi ogni lascivia” [12]. Come rileva Claudia Santi, tale concetto di lascivia copre un contesto semantico, piuttosto definito, esprimente “voluptas animi”, quindi una mancanza di moderazione, ma anche “una ricerca di emozioni forti, in ogni senso e in ogni sfera della vita pubblica e privata” [13]. Sembra dunque che il precetto della Pythia sia assolutissimamente aderente alla funzione moderatrice che Apollo aveva assunto a Roma. Tuttavia, lo scoraggiamento e una data degenerazione psicologica, aveva colpito duramente i romani dopo il massacro subito a Canne; si cominciò a palesare una data sfiducia sull’efficacia dei riti tradizionali e cominciarono a divampare ovunque stregoni ed indovini; le forme della religione tradizionali vennero trascurate, a vantaggio di nuovi culti, nuovi oscuri rituali e nuove divinità. Il senato, stimando la situazione ormai stesse degenerando, decise di porvi un freno; il praetor urbanus, M. Emilio, ordinò la consegna di tutti i testi di predizione e la cessazione di riti e cerimonie che non fossero quelle tradizionali [14]. Il nuovo pretore del 212, Publius Cornelius Rufus, quando si trovò a dover vagliare un quantitativo enorme di testi di vaticini consegnategli, rinvenne in essi, due carmina, redatti da un esponente della gens Marcia; uno prediceva la battaglia di Canne, l’altro conteneva carattere espiatorio[15]. Il primo (che tratteremo poco oltre) non era di nessuna utilità, essendosi la battaglia di Canne già combattutasi ed avendo già dispiegato il suo effetto infausto; i romani non si erano tenuti lontano “dalla piana di Diomede” ed erano incorsi in una sconfitta drammatica; tuttavia questo carmen conferiva autorità al secondo che prescriveva ludi ad Apollo e sacrifici: Livio XXV, 12, 9-10: “ O’ romani, se volete cacciare dal vostro territorio i nemici, la piaga di genti che viene da lontano (vomicam quae gentium venit longe), dico che dovete fare voto di celebrare ogni anno fraternamente (comiter) giochi solenni in onore di Apollo, avendo il popolo dato una parte del denaro preso dal fondo pubblico e contribuendo i privati per sé e per la loro famiglia; all’allestimento di questi ludi presieda il pretore urbano; i decemviri celebrino sacrifici secondo il rito greco con vittime. Se farete tutto ciò in modo corretto, godrete sempre e la vostra situazione migliorerà; infatti questo dio, che rende prosperi i vostri campi, annienterà i vostri nemici” [16]. Il senato allora, dispose una consultazione dei libri sibyllini riguardo all’organizzazione dei ludi ad Apollo ed avendone ricevuto parere affermativo, ne predispose l’allestimento. Siamo di fronte ad un fenomeno di affiancamento nel contesto divinatorio romano, i carmina marciana infatti non sono alternativi ai libri sibyllini, piuttosto li affiancano; essi forniscono un responso inaspettato. Nessun prodigio vi era stato infatti, ma gratuitamente i testi del Macius vates offrono una nuova via espiatoria per i romani, per di più poi confermata dai Viri Sacris Faciundis. I carmina non apportano nessuna novità nella divinazione romana. Il primo carmen aveva sì, una componente predittiva, ma in termini pratici non apportava nessuna utilità, essendosi la battaglia di Canne già combattuta; aveva però il merito di accreditare la valenza espiatoria del secondo carmen. Dunque proprio il secondo carmen, quello che davvero venne tenuto in considerazione dai romani, si sposa coerentemente con il sistema divinatorio romano, perché non attiene ad avvenimenti futuri, nulla contiene di predittivo; viceversa, si configura come prezioso e foriero di indicazioni cultuali e espiatorie per affrontare una contingenza attuale, quel “vomicam quae gentium venit longe”; quindi istituire ludi e celebrare sacrifici, occorrevano per allontanare “la piaga delle genti venute da lontano” [17]. Quindi, i carmina marciana sembrano replicare la funzione riparatrice dei libri, sicché potremmo legittimamente supporre che essi fossero composti sul modello di questi [18]; in fondo il redattore di entrambi i carmina, componendoli sul modello dei testi contenuti nei libri sibyllini, avrebbe di fatto loro garantito una data autenticità. In fondo, i testi oracolari dei libri sibyllini, sembrano composti con la tecnica dell’acrostico, un tipico componimento poetico nel quale le lettere iniziali di ogni verso, prese in ordine verticale, formano una parola o una frase di senso compiuto. Il filologo L.Hermann, attraverso un’opera certosina di adattamenti e integrazioni, ha interagito sul latino del primo carmen liviano, secondo lo schema dodecasillabo del verso saturno, ottenendo con le lettere iniziali di ogni verso la formula Anci Marci, dunque il nome del re mitico capostipite, del vates inlustris: Anmen, Troiugena Roma, fuge Cannam Ne te allienigenae cogant Diomedis Campo consere manus, sed nec credes [Id mi] donec [illum] compleris sanguine campum, Multaque milia caesa deferet tua Amnis magnum in pontum ex terra frugifera; [Raptim] piscibus atque avibus ferisque Caro terricolis fuat esca tua namque Ita Iuppiter [fore] fatus est [mihi]. [19]. Ora questa ricostruzione, per quanto artificiosa, seppur coerente, può lasciar evincere come il richiamo alla tradizione tradisca la necessità da parte dell’autore di conferire autenticità alla poesia oracolare. In fondo, l’acrostico nei testi vaticinatori, era esso stesso garanzia di autenticità. Cicerone, infatti riferisce i libri sibyllini erano redatti con tale tecnica, anzi, a dir il vero, con una tecnica addirittura più complessa (non si può escludere il riferimento ciceroniano abbia come riferimento i libri ricostruiti dopo il 76): scrive l’arpinate che le lettere del primo verso, erano anche le lettere iniziali dei singoli versi del carmen; tale tecnica rappresentava un tratto tipico di un non invasato, di uno che si applica con diligenza e non di un folle [20]. Seguendo Cicerone abbiamo conferma di come l’adozione di tecniche come l’acrostico, fossero delle garanzia dell’autenticità del testo, del tutto inconciliabile con la mantica ispirata. Eppure, avendo poco sopra offerto una panoramica dettagliata della divinazione romana, nel contesto della demitizzazione, non possiamo non riconoscere che l’adozione dei Carmina Marciana, qualche segno di discontinuità lo abbiano lasciato. C’è infatti, per la prima volta un dato recupero di una componente vatica che avevamo visto prima, già in Ennio, essere stata relegata ad un mondo lontano e irrecuperabile; ma v’è di più. Nel secondo carmen, laddove vengono enunciate incombenze per l’allestimento dei ludi e per la celebrazione dei sacrifici, ci troviamo di fronte all’emergere di una figura altamente carismatica nella civitas. Nel resoconto liviano e dalla fonti, molto importante in questa specifica circostanza fu la figura del praetor urbanus e peregrinus del 212, Publius Cornelius Rufus, membro in più dei Decemviri sacris faciundis, personaggio designato a sovraintendere all’allestimento dei Ludi, ma altresì ad attendere al sacrificio secondo il rito greco, che il suo collegio doveva compiere. E non appare casuale che tale Cornelio Rufo, proprio per tale circostanza ebbe in sorte un cognomen esplicativo di Sibulla poi corrotto in Sullae [21]. Abbiamo così menzione di un primo diretto collegamento dei libri dei V.S.F. e la figura della Sibylla, attraverso un membro dei Corneli, che con tale cognomen, ottiene il prestigio riservato alla figura del vate [22]. Tuttavia tale collegamento tra i libri sibyllini e la sibilla, si realizzò essenzialmente in ambiente gentilizio, come denota la vicenda di Cornelius Rufus che divenne Cornelius Sibulla, ma non influenzò per nulla, l’immagine complessiva della divinazione a livello pubblico. Dunque i Ludi Apollinares prescritti dal secondo carmen e convalidati dal responso dei viri sacris faciundis, vennero allestiti sia con fondi pubblici e che privati. Claudia Santi, rileva come a leggere Livio i giochi in onore di Apollo “dessero l’impressione di essere una sorta di lectisternium allargato”. In fondo come occorso nel 399, anche per i ludi Apollinares, ricorre “comiter” cioè quello spirito di fraterna cordialità che pare riportare i romani ad una dimensione primordiale; eppure questi giochi del 212 sembrano evidenziare una modificazione nella ricezione di Apollo. Il dio Apollo comincia ad assumere i tratti di una divinità che può assicurare la vittoria, perché si fa garante della salus publica populi romani [23]. Se i ludi del 212 possono essere intesi con una funzione espiatoria, essi dal 208 divennero una ricorrenza festiva celebrata ogni 15 luglio. Da quella data il dio Apollo, non è più chiamato in causa in caso di pestilenze, ma va sempre più consolidandosi il suo legame con la vittoria, quasi l’aurea del dio, dalla valetudo si trasferisce nella salus, prerogativa atta a designare la pace che assicura Apollo, come assoluta e metastorica [24].

Giovanni De Santis

 

Bibliografia essenziale.

Claudia Santi, “Sacra Facere”, Bulzoni editore, 2008 (fonte centrale di questo articolo).

Dario Sabbatucci, “Divinazione e cosmologia”, 1989.

Tito Livio, AB URBE CONDITA.

NOTE.

  1. C. Santi, 2008.
  2. Livio VII 2, 2-3.
  3. C. Santi, 2008, pag. 146; l’autrice ripropone nel testo l’assunto aristotelico, secondo il quale la tragedia doveva produrre la catarsi di pietà e terrore, mediante la loro rappresentazione; tuttavia a Roma tutto si configura come un KATHARMOS piuttosto che KATHARSIS, perché si riferisce alla placatio dell’ira deorum. Per il carattere espistorio dei Ludi, cfr, Her.I -167,1-3 in merito ai cittadini etruschi di Agylla (Caere) che per aver lapidato i prigionieri focei, incorsero in una violenta pestilenza. Essi inviarono una legazione all’oracolo di Delphi e la Pithia ordinò loro di compiere annualmente solenni sacrifici e ad agoni ginnici ed equestri.
  4. Livio VII 3, 1-2.
  5. Gagè, 1955.
  6. Montanari “Il dinamismo della tradizione; Roma e la ricezione del dionismo”; nella cultura romana luoghi come il teatro o baccanali, vengono intesi come luoghi dove si fomenta l’eccesso, la smoderatezza, da ricondurre a misura.
  7. Nel III secolo a.C. i vincitori cominciarono ad essere premiati con un ramo di palma. Ciò comincia a contaminare la figura di Apollo del patrocinio dell’arte poetica e della vittoria. I primi ad essere premiati con il ramo di palma furono i vincitori dei Ludi Magni sacri a Iuppiter.
  8. Gagè, 1955.
  9. Dumezil, 1977, pag. 398.
  10. Livio XXII 1, 6-12.
  11. C. Santi, 2008; D. Sabbatucci, 1989;
  12. Livio XXIII 1-3, “lasciviam a vobis prohibetote”.
  13. C. Santi, 2008, pag. 158; Gagè, 1955, traduce lascivia come “l’abbandono compiacente ad emozioni troppo vive”, in primo luogo il riferimento è all’ambito sessuale.
  14. Livio XXV, 1, 6-12.
  15. Livio XXV 12, 2 -11.
  16. Livio XXV 12, 9-10.
  17. C. Santi, 2008.
  18. C. Santi, 2008; Gagè, 1955.
  19. L. Hermann “Carmina Marciana” in Hommage a Georges Dumezil, Bruxelles 1960; C. Santi 2008, cfr. note pagg.162-163.
  20. Cicerone, De Div. 54,112.
  21. Macrobio Sat. I. 17, 27; Montanari “L’uso dei cognomina nella nobilitas repubblicana” 2005.
  22. C. Santi, 2008; cfr. inoltre la monetazione di Publio Cornelio Sibulla figlio del praetor del 212, in qualità di tresvir monetalis, che fa coniare un denarius con una prua di nave e il volto della Sibilla a rimarcare l’azione carismatica del padre in occasione dei ludi ad Apollo.
  23. Montanari, 1998. 47. C. Santi, 2008.
  24. C. Santi, 2008.

 

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