M. Decio discorso contro Coriolano

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<Poiché, oh popolo, i patrizi hanno assoluto Marcio dalle parole dette in Senato, e dai fatti violenti e superbi che le seguirono: nè vi hanno lasciato mezzi con cui accusarlo; udite, non le parole, no, ma l’egregia cosa che questo valentuomo vi preparava; uditene l’orgoglio , il carattere soverchiante, e conoscete qual vostra legge egli, privatissimo uomo, violasse.


Voi tutti sapete che quante spoglie nemiche ci riesce di prendere col valore, tutte per legge sono dello Stato; e che nessuno, nemmeno lo stesso comandante, non che un privato, ne è l’arbitro. Sapete che il questore le prende, le vende, e, fattone danaro, lo versa nel pubblico erario. Or questa legge che nessuno, da che Roma è Roma, non solo non ha mai violato, ma nemmeno ha ripreso come non buona; questa già firmata, già invalsa, soltanto Marcio l’ha calpestata, appropriandosi delle prede che erano del comune, l’anno passato, e non prima.
Perciò essendo noi passati sulle terre degli Anziati, e preso prigionieri, e bestiami, e frumenti, ed altro in grande quantità. Egli non depositò già tutto nelle mani del questore: e nemmeno, alienandolo, ne mise il prezzo nell’erario, ma divise in dono agli amici suoi per accattivarseli, tutta la preda.
Io dico che questo è argomento certissimo di tirannide.
E come no? Costui beneficava col tesoro pubblico i suoi adulatori, i custodi della sua persona, i cooperatori della tirannide. E vi affermo che questo fu come un abrogare manifestamente la legge. E allora forza, che Marcio si faccia pure avanti, e dimostri l’una o l’altra cosa: o che egli non comparti le belliche prede a suoi amici; o che se bene ciò fece, non ruppe la legge.
Ma egli non potrà dire nessuna di queste due cose. Poiché voi sapete l’una e l’altra, la legge e l’opera. Nè mai potrete con la sua assoluzione, dimostrare di conoscere i diritti ed i giuramenti.
Lascia, o Marcio, le corone ed i premi, lascia le ferite ed ogni ostentazione, e rispondi a questo, su che ti concedo ormai che tu parli.>
Marco Decio
(Dion. Hal. VII,63)

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