Discorso Furio Camillo parte 2/3

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E’ vero, direte, ma d’astra parte è chiaro che qui tutto è contaminato, e non esiste alcun sacrificio espiatorio che valga a purificarlo; è la realtà stessa che ci costringe ad abbandonare una città devastata dagli incendi e dalle rovine, e ad emigrare a Veio, dove tutto è intatto, senza dover gravare la plebe, povera di mezzi, dal peso della ricostruzione.

Che però questo che si mette in campo sia più un preteso che un vero motivo, senza che ve lo dica io, apparirà evidente anche a voi, o Quiriti, io credo, perché voi ricordiate che prima della venuta dei Galli, quando ancora erano intatti gli edifici pubblici e privati, quand’era ancora in piedi la città, si discusse questa medesima proposta di trasferirci a Veio.
E vedete un po’ quanta differenza c’è tra il mio modo di vedere e il vostro, o tribuni. Voi pensate che, anche se non si doveva farlo allora, adesso lo si debba fare ad ogni costo; io invece .e non meravigliatevi prima d’aver ascoltato quale sia il mio pensiero-, anche se allora si fosse dovuto emigrare, ora non sarei dell’avviso che si debbano abbandonare queste rovine. Giacché  allora poteva offrirci un motivo per emigrare nella città conquistata la vittoria, gloriosa per noi e per i posteri; adesso invece questa migrazione sarebbe triste e vergognosa per noi, gloriosa per i Galli. Sembrerà infatti, non che abbiamo lasciato la patria da vincitori, ma che l’abbiamo perduta da vinti: che la fuga presso l’Allia, la presa dell’Urbe, l’assedio del Campidoglio ci abbiano posto nella necessità di abbandonare i nostri Penati e di condannarci all’esilio e alla fuga da quel luogo che non potevamo difendere. Dunque i Galli hanno potuto distruggere Roma, mentre i Romani daranno l’impressione di non aver saputo ricostruirla? Che cosa resta se non che, ove dovessero tornare adesso con nuove forze – giacché è noto che sono una moltitudine incredibile-, e volessero abitare in questa città, da loro conquistata e da voi abbandonata, voi glielo consentiate? E se questa decisione di trasferirsi a Roma non la prendessero i Galli, ma i vostri antichi nemici, gli Equi o i Volsci, vorreste ch’essi diventassero Romani e voi Veienti? Oppure preferireste che questo fosse un deserto vostro piuttosto che una città dei nemici? Non vedo davvero quale maggior delitto vi possa essere. E voi sareste disposti a sopportare queste scelleratezze, queste vergogne, perché vi infastidisce il ricostruire? Se in tutta la città non si potesse edificare nssuna dimora migliore né più ampia di quella capanna del nostro fondatore, non sarebbe meglio che abitassimo anche noi in capanne, come i pastori e  i contadini, fra i nostri sacrari e i nostri Penati, invece di esulare in massa? I nostri antenati, forestieri e pastori, quando in questi luoghi non c’erano che selve e paludi, edificarono in sì breve tempo una nuova città; e noi, quando ancora sono intatti il Campidoglio e la rocca, quando sono ancora in piedi i templi degli Dei, proviamo fastidio a ricostruire le case bruciate? E ciò che avremmo fatto singolarmente se fossero andate in fiamme le nostre case, ci rifiutiamo di farlo tutti insieme ora che l’incendio è stato generale?

 

 

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