De Divinatione

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<[1]È un’opinione antica, risalente ai tempi leggendari e corroborata dal consenso del Popolo Romano e di tutte le genti, che vi siano uomini dotati di una sorta di divinazione -chiamata dai greci mantikē-, cioè capaci di presentire il futuro e di acquisirne la conoscenza. Capacità magnifica e salutare, se davvero esiste, grazie alla quale la natura di noi mortali si avvicinerebbe il più possibile alla potenza degli déi! E come in altri casi noi romani ci esprimiamo molto meglio dei greci [modestamente n.d.r.], così anche a questa straordinaria dote i nostri antenati dettero il nome tratto dalle divinità, mentre i greci, come spiega Platone, derivarono il nome corrispondente dalla follia. [2] Non conosco, in verità, alcun popolo, dai più civili e colti fino ai più efferati e barbari, che non creda che il futuro si manifesti con segni premonitori, e che esistano persone capaci di comprenderli e di spiegarli in anticipo.>

<1Vetus opinio est iam usque ab heroicis ducta temporibus, eaque et populi Romani et omnium gentium firmata consensu, versari quandam inter homines divinationem, quam Graeci μαντική appellant, id est praesensionem et scientiam rerum futurarum. Magnifica quaedam res et salutaris, si modo est ulla, quaque proxime ad deorum vim natura mortalis possit accedere. Itaque ut alia nos melius multa quam Graeci, sic huic praestantissimae rei nomen nostri a divis, Graeci, ut Plato interpretatur, a furore duxerunt. 2 Gentem quidem nullam video neque tam humanam atque doctam neque tam immanem tamque barbaram, quae non significari futura et a quibusdam intellegi praedicique posse censeat.>

Cicerone, De Divinatione, I,1-2

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