[1] <I filosofi non mettono in pratica ciò che dicono>.
E’ già un buon metterlo in pratica il parlare ed il concepirlo con onestà di mente; se, per giunta, le loro azioni corrispondessero ai loro discorsi, quale essere risulterebbe più felice di loro? Dunque non è giustificato il tuo disprezzo per i buoni discorsi e per i cuori colmi di buoni pensieri.
La meditazione sulle proprie aspirazioni al bene è già lodevole, anche a prescindere dai risultati. [2] E’ meraviglia se non raggiungono la vetta, avviati come sono su un sentiero scosceso?
Se sei uomo, ammira chi tenta grandi imprese, anche se fallisce.
E’ impresa nobile il tentare non a misura delle proprie forze, ma di quelle della propria natura, l’attaccare vette eccelse ed il concepire disegni superiori anche alle capacità di chi è naturalmente magnanimo.
[3] un uomo si è proposto:
<Guarderò la morte con lo stesso volto che ho quando ne sento parlare. Mi assoggetterò alle fatiche, per grave che siano, sorreggendo il corpo con l’animo. Disprezzerò ugualmente le ricchezze che ho e quelle che non ho, senza rattristarmi se si trovano in casa d’altri, senza imbaldanzirmi se splendono attorno a me. Non risentirò della fortuna, né quando viene né quando se ne va. Guarderò tutte le terre come mie e le mie come di tutti. Vivrò con la coscienza d’essere nato per gli altri e sarà questo il mio titolo di gratitudine alla natura: in qualche altro modo, infatti, essa avrebbe potuto curare meglio il mio interesse? Ha donato me singolo a tutti e tutti a me.
[4] Del mio patrimonio non sarò né avaro custode né prodigo scialacquatore. Non riterrò di possedere nessun bene più sicuro di quelli che ho donato a proposito. Non valuterò i benefici a numero o a peso, ma soltanto in base alla stima di chi li riceve; non mi parrà mai grande dono fatto a persona degna. Non agirò per ottenere stima, ma soltanto per la mia coscienza; mi vedrò sotto gli occhi del popolo, quando compirò singole azioni delle quali sono conscio soltanto io.
[5] Mangerò e berrò per soddisfare il bisogno della natura, non per riempirmi e vomitare il ventre. Cordiale con gli amici, mite ed accessibile ai nemici, accoglierò le richieste prima che mi siano fatte e verrò incontro alle preghiere oneste. Saprò che la mia patria è il mondo ed i miei governanti sono gli Dei, e che essi stanno attorno a me e sopra di me con funzioni di censori sul mio operato e su quanto dico.
E quando la natura mi toglierà il respiro o la ragione lo congederà da me, me ne andrò rendendo testimonianza d’aver amato la buona coscienza e le buone aspirazioni, e che nessuno ha subito da parte mia diminuzioni della sua libertà, meno ancora io>
L’uomo che si proporrà, deciderà, tenterà di attuare questo programma, camminerà verso gli Dei e certo, anche se non li raggiunge, almeno cade nell’ardita impresa.
[6] Voi invece, con il vostro odio per la virtù e per chi la onora, non fate nulla di nuovo. Anche agli occhi deboli temono il Sole e gli animali notturni aborriscono lo splendore del giorno; al suo primo sorgere restano abbacinati e si ritirano in disordine nei loro nascondigli, si nascondono in qualche crepaccio, per timore della luce. Gemete e tenete la vostra miserabile lingua, insultando i buoni. Spalancate la bocca, mordete: vi spezzerete i denti molto prima di lasciare traccia di un morso.
1. ‘Non praestant philosophi quae loquuntur.’ Multum tamen praestant quod loquuntur, quod honesta mente concipiunt. Vtinam quidem et paria dictis agerent: quid esset illis beatius? Interim non est quod contemnas bona uerba et bonis cogitationibus plena praecordia: studiorum salutarium etiam citra effectum laudanda tractatio est. 2. Quid mirum, si non escendunt in altum ardua adgressi? Sed si uir es, suspice, etiam si decidunt, magna conantis. Generosa res est respicientem non ad suas sed ad naturae suae uires conari alta temptare et mente maiora concipere quam quae etiam ingenti animo adornatis effici possunt. 3. Qui sibi hoc proposuit: ‘ego mortem eodem uultu quo audiam uidebo. Ego laboribus, quanticumque illi erunt, parebo, animo fulciens corpus. Ego diuitias et praesentis et absentis aeque contemnam, nec si aliubi iacebunt tristior, nec si circa me fulgebunt animosior. Ego fortunam nec uenientem sentiam nec recedentem. Ego terras omnis tamquam meas uidebo, meas tamquam omnium. Ego sic uiuam quasi sciam aliis esse me natum et naturae rerum hoc nomine gratias agam: quo enim melius genere negotium meum agere potuit? unum me donauit omnibus, uni mihi omnis. 4. Quidquid habebo nec sordide custodiam nec prodige spargam; nihil magis possidere me credam quam bene donata. Non numero nec pondere beneficia nec ulla nisi accipientis aestimatione perpendam; numquam id mihi multum erit quod dignus accipiet. Nihil opinionis causa, omnia conscientiae faciam. Populo spectante fieri credam quidquid me conscio faciam. 5. Edendi mihi erit bibendique finis desideria naturae restinguere, non inplere aluum et exinanire. Ero amicis iucundus, inimicis mitis et facilis. Exorabor antequam roger, et honestis precibus occurram. Patriam meam esse mundum sciam et praesides deos, hos supra me circaque me stare factorum dictorumque censores. Quandoque aut natura spiritum repetet aut ratio dimittet, testatus exibo bonam me conscientiam amasse, bona studia, nullius per me libertatem deminutam, minime meam’ — qui haec facere proponet, uolet, temptabit, ad deos iter faciet, ne ille, etiam si non tenuerit, magnis tamen excidit ausis.
6. Vos quidem, quod uirtutem cultoremque eius odistis, nihil noui facitis. Nam et solem lumina aegra formidant et auersantur diem splendidum nocturna animalia, quae ad primum eius ortum stupent et latibula sua passim petunt, abduntur in aliquas rimas timida lucis. Gemite et infelicem linguam bonorum exercete conuicio, hiate commordete: citius multo frangetis dentes quam inprimetis.
Seneca, De Vita Beata, XX